Parlare male di Giovanni Catanzaro, capo dei vigili urbani romani che è stato amabilmente filmato mentre lascia la sua Alfa rossa fiammante in una via con divieto di sosta e rimozione forzata, ma con un pass disabili fasullo piazzato sopra, è troppo facile. Chissenefrega.
Per chi non avesse seguito la storia, qua c’è il resoconto del Messaggero e qua la replica dell'(ex?) comandante. Bene. Supponiamo pure per un attimo che Catanzaro non sapesse che la sua compagna avesse usato un permesso scaduto, ufficialmente smarrito, e per un’altra targa per portare a fare dei controlli l’anziana e disabile mamma. Portarla tra l’altro con un’Alfa Brera… ma magari l’auto per cui aveva il permesso era una Porsche, ancora più scomoda per entrarci. Supponiamo anche che sia vero che in via Santa della Croce il divieto di sosta non sia permanente, come afferma Catanzaro, e quindi alle 20 si poteva parcheggiare, come si è affrettato in un secondo momento ad asserire, forte della sua conoscenza del codice della strada. (Beh, conoscenza non esattamente perfetta, visto che in una strada senza marciapiede bisognerebbe lasciare almeno un metro di spazio per il passaggio dei pedoni, cosa che dall’immagine non appare proprio); non essendo a Roma non posso andare a verificare. Peccato che per dirlo sia dovuto andare a ricontrollare il cartello, il che fa immediatamente pensare che quando ha parcheggiato non si era affatto curato di sapere se era o no in divieto di sosta. Niente male per uno che fa il capo dei vigili, vero?
Resta infine il solito piagnisteo italiano del “perché devo pagare più degli altri”. È buffo che in Italia l’unico momento in cui si facciano grandi professioni di uguaglianza è quando si viene colti in flagrante.
(a proposito: ma tutti gli altri che hanno parcheggiato lì? una multicina per loro, niente?)
Una gita a… Torino
Devo sfruttare tutti i modi possibili per tornare nella mia natia città. Così ieri ce ne siamo andati al PalaIsozaki dove si teneva l’edizione torinese 2007 di Golosaria. Fino a sabato, visto il tempo, la gita sembrava in forse: ma qualcuno lassù in alto mi vuole bene, e anche se a Milano, quando a mezzogiorno siamo partiti, il cielo era ancora coperto, a Torino ci siamo trovati una bellissima giornata. Rispetto all’anno scorso, quando gli stand erano a Stupinigi, gli spazi erano molto più ampi, anche se mancava chiaramente la bellezza del luogo. Anna si è molto lamentata per l’assenza del banchetto dove si poteva – pagando il giusto – comprarsi le ostriche da mangiare al volo, ma credo se ne sia comunque fatta una ragione, visto che alla fine avremo speso sì e no cento euro di prodotti vari.
Dopo questo simpatico modo per aiutare l’economia italiana, ci siamo diretti verso il Lingotto, dove siamo stati raggiunti da Maria e Yagoub, per vedere la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli: insomma, qualche quadro – no, ci sono anche due statue di Canova – di quelli che Giuanin Lamiera teneva a casa sua. Sono venti quadri o giù di lì, ma sicuramente meritano. Certo che però va bene che ti dicano che l’ingresso è a partire dalla galleria di negozi 8 Gallery, ma magari un paio di indicazioni in più per capire che devi salire al primo piano e poi lanciarti oltre il cinema non sarebbero state così male. C’era anche una mostra temporanea, di titolo Why Africa? e dedicata alla “Pigozzi collection”, creata da Jean Pigozzi, che si è fatto i soldi con il venture capital e si è dedicato all’arte africana contemporanea. Ah, naturalmente era sottolineato che è di origine torinese… ma per noi sabaudi non c’è nulla di strano ad aggiungere queste note. Non sono riuscito a farmi fotografare vicino alla Bicicletta rurale, visto che come si sa in Italia i musei hanno paura non si sa bene di cosa.
Il bonus non scritto nello spendere i sette euro del biglietto è che si ha la possibilità di uscire sulla pista sopraelevata del Lingotto. Ieri, con il cielo terso dopo la pioggia dei giorni scorsi, era davvero uno spettacolo: c’era un tramonto con dei colori incredibili, e poi garantisco che la curva parabolica è davvero inclinata… se uno è in macchina e non pesta sull’acceleratore si ribalta immediatamente.
Per terminare il pomeriggio e spendere ancora un po’ di soldi – per uno sconto del 5% Anna si è comprata sei bottiglie di vino – siamo finiti ad Eataly, quella che non piace a vb. Io però vorrei plaudire a come hanno rimesso in sesto il vecchio stabilimento della Carpano, un recupero industriale davvero ben riuscito.
Ma che cosa pensano gli afghani?
Che Daniele Paladini, il soldato italiano ammazzato oggi vicino a Kabul, stesse costruendo con i propri commilitoni un ponte per la comunità afghana credo proprio sia vero: perlomeno, lo dice anche la BBC, anche se c’è quella frasetta “la polizia afghana ha smentito che gli italiani abbiano aperto il fuoco dopo l’attentato” che suona strana.
Quello che mi chiedo – seriamente, anche se so che non potrò mai avere la risposta – è se la popolazione afghana stia o no apprezzando il lavoro degli italiani nel paese. Non parlo ovviamente dei kamikaze, ma di tutto il resto della gente, che rischia la vita a causa loro. Per dare un’idea, trent’anni fa avevamo le Brigate Rosse, ma la stragrande maggioranza della gente, dopo qualche tentennamento iniziale (chi si ricorda i “compagni che sbagliano”?) si è schierata decisamente contro di loro, permettendo una lenta ma sicura vittoria. Ma lì non so davvero cosa stia succedendo: a volte mi pare di ricordare la battuta del boy scout che costringe una vecchietta che non ne aveva affatto intenzione ad attraversare la strada perché lui deve fare la buona azione quotidiana… Il mondo non è mai troppo facile da comprendere.
Qualcosa non mi torna
Oggi in Italia sarebbe il giorno della colletta alimentare. In quasi tutto il resto del mondo, oggi sarebbe il Buy Nothing Day.
Ian Stewart a Torino
Sempre per la serie “presentazioni varie”, ho appena saputo da uno dei miei ventun lettori che Ian Stewart sarà a Torino (Colosseo, 6 dicembre, 17:45) per ritirare il premio Peano per il miglior libro di divulgazione matematica, e tenere un incontro per i Giovedì Scienza («Sei Gradi di Separazione. La teoria delle reti dai computer alla biologia». Si vede che ormai Jack Cohen l’ha rovinato del tutto :-) )
Onestamente, il libro vincitore (Lettere a una giovane matematica) non è che mi sia piaciuto troppo; avrei piuttosto votato per il suo L’assassino dalle calze verdi, ma mi sa che i libri di problemi logico-matematici non sono considerati “divulgazione”. Però potrebbe essere interessante, anche se prima devo convincere Anna che si può prendere un treno per Torino alla vigilia di Sant’Ambroeus…
Terry Pratchett (presentazione)
Dopo la presentazione tenuta a Bologna (trovate la recensione da BolsoBlog: è fatta molto meglio della mia, quindi se avete fretta andate a leggere lui) ieri Terry Pratchett era a Milano, presso la libreria Mondadori di via Marghera, ufficialmente per presentare Stelle cadenti che è appena stato tradotto da Salani.
Essendo la presentazione alle 18:30, sono arrivato alle 18:10; metà delle sedie erano già occupate, e le altre hanno trovato un proprietario in cinque minuti. Alla fine, quando Pterry è arrivato (con una ventina di minuti di ritardo) oltre alla sessantina di persone sedute ce n’erano almeno altrettante in piedi o per terra, compreso qualche lettore delle mie notiziole che si appaleserà sicuramente tra i commenti – eccetto MdI, che si sa che la sua religione glielo vieta. C’era solo un cappello da Wizzard; in compenso molti libri, con una proporzione direi quattro contro uno tra inglese e italiano, nonostante l’hint del banchetto di libri in fondo alla sala; alcuni dei libri in italiano erano poi copie di Buona apocalisse a tutti che è edito dalla concorrenza…
L’introduzione di Ranieri Polese è stata molto breve, per lasciare spazio a Pratchett. Terry ha una voce molto acuta, che non mi sarei aspettato. Parlava abbastanza lentamente; io, che considero l’inglese puramente una lingua scritta, capivo sui due terzi del tutto. Interessante comunque notare come tutti ridevano direttamente alle battute in inglese; o abbiamo una generazione di anglofoni convinti, oppure sono tutti molto bravi a seguire la mimica. La parte della “cacca di cavallo”, compresa la storia di lui bambino povero che non aveva gli acquarelli con oro e argento e doveva pagare un penny ai bambini più ricchi per potere intingere il pennello nei loro colori, è stata uguale a quella bolognese: da noi ha detto in più che stava pensando di usare “Cacca di cavallo” all’interno di un qualche libro del Discworld. Altre informazioni:
– L’anno prossimo festeggerà il venticinquesimo anniversario del Discworld non scrivendo un libro della saga. Vorrebbe scrivere un libro per bambini non-discworld “perché ci si può mettere dentro roba truculenta, e gli editori sono felici”.
– Gli piacerebbe fare un romanzo Discworld sul mondo del calcio, anche se afferma di essere nato senza il gene calciofilo e quindi ha dei problemi a capire il piacere delle lotte.
– Nonostante sia coautore di vari libri (Good Omens, The Science of Discworld…) si ritiene uno scrittore solitario. A una mia domanda su come si fosse trovato a scrivere con Jack Cohen e Ian Stewart, ha raccontato delle rispettive lauree honoris causa alla University of Warwick e alla Unseen University, compreso il latinorum che si traduceva più o meno come “per avere una capigliatura simile a quella di Albert Einstein”.
– I suoi personaggi preferiti sono Tiffany Aching, Granny Weatherwax, e soprattutto Vimes. Per la prima, si aspetta che in breve diverrà strega a tempo pieno, quindi finirà la saga dei Wee Free Men; sugli altri due dice che gli piace il contrasto tra loro che si ritengono misantropi mentre in realtà non lo sono. Si sente anche simile a Vimes.
Il giro finale di firme è stato con la gente che praticamente si inginocchiava, visto che Pratchett era seduto… in un certo senso un degno finale.
conferme
Avete presente le intercettazioni sull’inciucio Rai-Mediaset? sì, quelle che sono state tirate fuori per impedire che il Partito del Popolo possa raggiungere il 35% dei voti che i sondaggi gli stanno già dando? Bene, Paolo Guzzanti scrive su Il Giornale, e riblogga a casa sua, i suoi ricordi: che quando era a La Stampa c’erano le telefonate serali per mettere a posto tutte le prime pagine e non solo dei giornali per uniformarsi; e prima sul “quadridente” Repubblica, Espresso, Raitre e Tg3. Occhei, questo quadridente era al massimo un bidente, visto che Repubblica ed Espresso erano della stessa proprietà, così come Raitre e Tg3; ma “bidente” probabilmente non era una bella parola. Per il resto, ricordo anch’io Paolo Liguori, che nella sua rubrica televisiva “Fatti e misfatti” continuava a tuonare contro l’uniformismo delle prime pagine dei principali quotidiani italiani, e gli si doveva dare ragione.
Detto tutto questo, uno potrebbe anche rallegrarsi per il coming out di Guzzanti, che rievoca «Quando ero a Repubblica (di cui sono stato un fondatore, redattore capo e inviato per 14 anni) assistevo ammirato alla formazione del quadridente» e che giunto a un’età in cui si fanno i primi bilanci decide di confessare i propri peccatucci e peccatoni di gioventù. Peccato che non sia così. Tutta la tiritera guzzantesca serve solamente a cercare di coprire quanto è emerso dalle intercettazioni; non solo con il sistema “tutti delinquenti, nessun delinquente” tanto caro al buonanima del Bettino Craxi, che a far così sono capaci tutti, ma con il capovolgimento di fronte “oggi non è successo nulla: ma gli altri avevano invece fatto così per davvero” del quale in questi anni abbiamo avuto altri fulgidi esempi. Per me questa è la miglior conferma della realtà di quello che è capitato in Rai.
basta non avere fretta
A Milano è tornata la Fiera Campionaria. A dire il vero è tornata a Rho, ma qua è vietato sottilizzare.
Ovviamente qualche marchettarticolo bisogna pure scriverlo, perché il volgo sappia delle Grandi Novità. Così rep.it ci dice che hanno inventato la “casa da 100000 euro”, a cui è associato lo slogan “50 mila li paghi tu, 50 mila li paga il sole”: la “casa ecologica” ha infatti i pannelli fotovoltaici sul tetto. L’marchettarticolo spiega che «settanta metri quadrati di tetto coperto di pannelli danno 3 mila chilowattora all’anno. Si spendono 18.681 euro per l’impianto e si guadagnano (tra la vendita dell’elettricità e il risparmio) 1.860 euro l’anno. Dieci anni e il gioco è fatto: l’impianto è ripagato e da quel momento in poi si trasforma in rendita.»
Non ho abbastanza dati per fare le pulci ai numeri scritti qui sopra, anche se mi sembrano un po’ campati in aria. Prendendo un valore di irraggiamento di 1500 KWh/mq annui (vedi qua e un rendimento del 15% (da wikipedia) a me escono fuori 15 mila KWh per anno; e il fatto che il guadagno sia esattamente il 10% del costo suona anche molto strano. Ma diamoli per buoni. Resta il fatto che non si sa da dove arriverebbero i 50000 euro indicati. Sono forse 27 anni di uso della casa? E a qualcuno è venuto in mente che – a parte che non si sa come sarà il costo dell’energia in futuro – da un lato il rendimento dei pannelli fotovoltaici casa, e dall’altro i soldi che risparmi tra vent’anni sono in valuta corrente molto di meno?
Traduzione pratica: un po’ di numeri messi a caso fanno sempre in modo che nessuno si metta a leggere cosa c’è scritto, e tutti prendano per buoni i risultati.