Dopo avere sentito tutte le polemiche bipartisan contro l’intervento di Travaglio sabato sera da Fazio, ho deciso di sapere esattamente cos’era successo, e sono andato a vedermi il video. Per chi avesse fretta e non volesse sorbirsi il video, ecco qua sotto la trascrizione delle parti che riguardano Schifani. La prima, quella che mi pare sia stata taciuta da tutti i commentatori nei giornali:
[alla domanda se ci sono dei motivi di originalità, parlando appunto di Schifani:] «questa parabola a precipizio… dopo c’è solo la muffa, probabilmente. [pausa a effetto, e ripresa meditabonda:] dalla muffa si ricava la penicillina, però: è un esempio sbagliato.» [risata sguaiata in platea]. Non so, ma a me questa frase mi pare molto più pesante di quelle incriminate.
Nella seconda parte, dove si parlava dei giornalisti (notare la frase sulle notizie: «La gerarchia la decidono i politici», spiegando che Commissione di Vigilanza, CdA e Authority sono tre organismi politici e i giornalisti sanno che ci sono loro sopra di essi), parte l’attacco.
«È chiaro che se il clima politico induce… a un rapporto diciamo di distensione tra l’opposizione e la nuova maggioranza? Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi? Io non scrivo che Schifani ha avuto delle amicizie con dei mafiosi [Fazio in sottofondo: “È stato scritto”] perché non lo vuole né la destra né la sinistra. E io che c’entro con la destra e con la sinistra? Loro prendano le posizioni politiche che vogliono, ma io devo fare il giornalista. Io devo raccontarlo. L’ha raccontato Lirio Abbate nel libro che ha scritto con Gomez [è questo – .mau.] e viene celebrato giustamente come un giornalista eroico minacciato dalla mafia. Allora: o hanno il coraggio di dire che Lirio Abbate è un mascalzone, è un mentitore, oppure hanno il coraggio di prendere nota di quello che scrive della seconda carica dello Stato e chiedere semplicemente alla seconda carica dello Stato di spiegare quei rapporti con quei signori che sono stati poi condannati per mafia. Invece noi andiamo purtroppo a rimorchio del clima politico. Se ci fosse scontro qualcuno dice “vabbè, alla sinistra fa comodo, lo scrivo”. Oggi che nemmeno la sinistra vuole sentir parlare di queste cose non ne parla più nessuno. È un dramma.»
Fazio replica: «Sai qual è la certezza? La certezza con te è che si rispetta sempre la par condicio. Cioè che non c’è mai qualcuno che esce bene, e questo ci aiuta, perché siamo in tempi ancora di par condicio perché noi sino alla stagione prossima non possiamo avere uomini politici anche per replicare a te. Quindi rimandiamo l’appuntamento, natural… a cominciare dalla seconda carica dello Stato, all’autunno prossimo.» e senza nessuna pausa continua «Tifi ancora Juventus?», al che Travaglio risponde «Ho smesso per quindici anni quando c’era Moggi» e finisce tutto lì.
Quello che mi viene da dire dopo avere visto il dialogo è innanzitutto che Fazio sapeva perfettamente che cosa avrebbe detto Travaglio, e da questo punto di vista mi chiedo che cosa significhino le sue scuse di ieri. Tanto sono certo che i politici sanno benissimo che dietro il faccino così gentile ed educato Fazio dev’essere un mastinaccio. Sulle altre frasi, Travaglio ha sicuramente gettato il sasso nascondendo la mano. Notate il periodo ipotetico implicito, la successiva attribuzione delle frasi ad Abbate, e il dire “ma queste cose non le si possono dire”. Naturalmente, però, nessuno si è chiesto se le frasi in questione siano vere o false – immagino siano vere, visto che non ho notizia di denunce per diffamazione nei confronti di Abbate. Per la precisione, la “notizia” è che qualcuno abbia affermato che ci siano state queste frequentazioni: non avendo letto il libro di Abbate e Gomez non so se c’è stata a riguardo una sentenza di qualunque grado di giudizio. Mi sarebbe però piaciuto che i politici di destra e di sinistra, invece che fare i soliti alti lai contro Travaglio, fossero entrati nel merito della questione, e avessero chiesto esplicitamente dell’esistenza o no di questi contatti (o, nel caso di Schifani, un’affermazione esplicita e ufficiale di non avere mai avuto contatti con tali persone: troppo banale limitarsi ad affermare «Si tratta di fatti inconsistenti o manipolati che non hanno nemmeno la dignità per generare sospetto». Così sono solo chiacchiere inconsistenti). Ma questo come al solito è troppo per la nostra Italietta. Molto più redditizio parlare di Grandi Sistemi e Grandi Attacchi!
sono un bloggher irascibile
Il quisss della settimana (se volete farlo anche voi basta che clicchiate sul disegnino qui a sinistra) vuole tirare fuori in poche domande La Tua Vera Anima Di Bloggher.
Con me il commento ottenuto è stato questo: «Hai uno spirito tagliente che i bloggher segretamente temono. Ed è per questo che leggono i tuoi post non appena possono!»
A dire il vero, io ero convinto che il motivo per cui tanta gente mi legge è che sono dei compulsivi, tanto che c’è chi si lamenta se per due giorni di fila non scrivo :-P
(come sempre, via Annarella, anche lei irascibile)
È proprio vero
Fiera del Libro
Guarito a tempo di record dalla faringite – purtroppo con i cannoni, leggasi antibiotici – stamattina mi sono fiondato a Torino per la Fiera del libro, sprezzante di tutti i pericoli. L’idea iniziale era di prendermela comoda e andare col treno delle 11:15, sapendo che il vincolo era rientrare con quello delle 17.50 perché avremmo avuto a cena i genitori di Anna; poi il fato ha voluto che una coppia di imbecilli citofonasse alle sette in punto del mattino, svegliancodi del tutto. Dopo mezz’ora di rigirii nel letto, ho pensato bene di alzarmi, preparare colazione e dispormi a prendere il treno precedente, delle 9:15. L’idea si è rivelata fruttuosa: a parte il trovare un picchetto di agenti al binario – che però mi sa tanto volevano solo controllare che queli che andavano alla manifestazione antiisraeliana avessero almeno pagato il biglietto del treno – il regionale è stranamente arrivato in orario e ho potuto prendere la coincidenza per il Lingotto, inteso come stazione ferroviaria. Qui ho scoperto che c’è sì la Passerella Olimpica (molto carina, così come molto carino è il Villaggio Olimpico: hanno fatto proprio un bel lavoro) ma che é ben decentrata rispetto alla stazione, e ci vogliono venticinque minuti a fare tutto il giro. Dire che basterebbe fare un’uscita del sottopasso della stazione dall’altro lato e si risparmierebbero come minimo una decina di minuti: il risultato estetico sarebbe ben minore, ma mi stupisce quasta perdita del sano pragmatismo subalpino.
Ad ogni modo la Fiera è la solita bolgia. Come tutti gli anni ho saltato a piè pari gli stand dei grandi editori, che tanto basta andare giù in Feltrinelli in Duomo per vedere le ultime loro uscite, e mi sono ordinatamente sciroppato i tre padiglioni principali con il mio famoso percorso a serpentina, per assicurarmi di non perdere nulla. Come tendenze, ho notato un numero più o meno costante di banchetti assolutamente fuori tema – a meno che la penna stilografica con inciso il tuo nome serva per scrivere libri; una sempre fortissima presenza dell’editoria cattolica, anzi cristiana in genere (la Società Biblica di Ginevra vendeva Bibbie a un euro e mezzo, se qualcuno fosse curioso); molti stand di regioni italiane, ma nulla di europeo se non uno stand francese e uno piccino piccino della… Lituania (non fossi un timidone, avrei scambiato qualche parola con la standista :-) per sapere il perché della loro presenza). La vera differenza rispetto agli altri anni è data dagli editori di print on demand (ne ho visti almeno quattro: Kimerik, Lulu, e altre due di cui mi sfugge il nome: sapete, la mancanza di interesse…) e dalle librerie online. Bol non l’ho vista, ma c’erano sia IBS (più rutilante) che Deastore, che ha preferito andare sugli incontri con gli scrittori ma non so quanto sia riuscita a sfondare sul grande pubblico. Di ebook intesi come hardware ho visto solo quelli venduti da Tombolini con la sua Simplicissimus, dove tra l’altro sono riuscito a salutare Daniele Minotti anche se purtroppo non ho potuto sentire la sua presentazione del Minottino causa treno da prendere. Nel giro mi sono anche imbattuto in Zop che stava facendo delle per me improbabili inteviste (poi saranno serissime, intendiamoci!). Però, sarà l’età che mi sta facendo perdere le sinapsi o i residui della febbre dei giorni passati, sono riuscito a dimenticarmi di dare uno squilo di telefono a Luigi che sapevo essere alla mostra, e vedere Aragno, dirmi “ah sì, devo chedere loro di Flatterland, ma li becco al prossimo giro della serpentina”, e dimenticarmene del tutto.
Israele? Mah. Gli organizzatori hanno letteralmente rinchiuso in un angolo la parte relativa, e quando ci sono passato c’erano lì vicino cinque o sei poliziotti: a fare figura, perché era chiarissimo che la vera sicurezza era stata appaltata a guardie private probabilmente israeliane in borghese, con giusto una spilla che indicava più o meno cosa facevano, e con l’aria non esattamente amichevole. Da un certo punto di vista la cosa è stata un po’ deprimente: ho avuto la possibilità di saperne di più sulla letteratura israeliana nelle altre edizioni della fiera. Dagli altoparlanti hanno avvisato un paio di volte di rimuovere “per ragioni di sicurezza” le auto parcheggiate in via Genova e piazza Filzi: cosa sia poi successo non lo so, almeno mentre sto scrivendo questa notiziola in treno, rientrando a Torino.
Poi vabbè, c’era lo stand “beppegrillo.it”. Non scherzo, l’aveva messo ovviamente su Casaleggio ma il nome ufficiale era beppegrillo.it. Per la cronaca, era vicino alle edizioni Baha’i.
Avrò speso una settantina di euro in libri, nemmeno poi troppi a dire il vero. Forse è peggio il fatto che non mi sia segnato nessun titolo da cercare con calma, però: sto proprio invecchiando. Ah: entrare in Fiera è stato relativamente facile: uscirne, no. A un certo punto, per disperazione, mi sono fatto strada tra quelli che cercavano di andare a un incontro e sono uscito da una porta di sicurezza aperta e presidiata. Invece la mia t-shirt beatlesiana è stata molto apprezzata, a partire dal giovinotto alla reception che mi ha chiesto dove l’avevo presa…
Primo giorno di governo
Stamattina, sul treno regolarmente in ritardo da Milano a Torino, ho avuto un po’ più di tempo del solito per riuscire a leggere il giornale (la Busiarda, claro) e scoprire cosa vogliono fare i ministri del Silvio IV. Tralascio solo la coppia Simpli(fi)cius-Bossi e il loro siparietto con Gheddafi, anche se mi sa che il Senatur abbia ragione quando afferma che è Tripoli a favorire i flussi dei migranti.
Ignazio La Russa, costretto a fare un commento sulla situazione in Libano, riesce a dire «Quand’ero solo un politico ho detto che le regole d’ingaggio andavano modificate. Ora, prima di ripetere quella frase ho bisogno di informazioni piu approfondite». Detto in altro modo, un politico può dire tutte le idiozie che vuole, tanto si sa che non contano un tubo. Ci ha messo qualche decina d’anni per accorgersene, ma meglio tardi che mai.
Renato Brunetta, al grido “Banda larga per tutti”, inizia col dire che vuole dare al cittadino la possibilità di svolgere tutte le pratiche pubbliche per via telematica, e ciò è molto bello. Peccato che poi, novello Napoleone, si faccia prendere la mano e affermi di volersi tagliare i ponti alle spalle, eliminando l’accesso tradizionale: «sarà la piu grande rivoluzione, una rivoluzione gioiosa e giocosa». Io penso alle persone anziane e mi auguro che la cosa faccia il paio con l’occhettiana “gioiosa macchina da querra” del ’94. (ah: con il suo piano, parte della struttura pubblica diverrà “eccedentaria”. Anche parte del lessico italiano, mi sa)
Secondo Ugo Magri, poi, correrebbe la voce che i sottosegretari che Berlusconi vorrebbe nominare (solo 38) siano troppo pochi, perché bloccherebbero il lavoro delle commissioni – dove a quanto pare deve esserci necessariamente un membro del governo, a fare non si sa bene cosa: dare l’augusta benedizione ai lavori? Spero non si superino i centoun membri del governo Prodi II, ma sappiate già sin d’ora che la colpa non è di Silvio!
Per par condicio dovrei anche parlare del monocolore ombra creato da Uòlter: non vorrei però farmi troppo del male. Il governo ombra funziona (forse) nel Regno Unito, dove c’è un gentlemen’s agreement tra maggioranza e opposizione e quindi il ministro ombra ha dei dati su cui lavorare per fare delle proposte: qui da noi è al massimo un modo per far credere ai trombati che contano ancora qualcosa…
Aggiornalmento (12 maggio): per completezza devo aggiungere che non ho nulla da dire contro l’intervista a Giorgia Meloni.
Una gita a… i forti di Genova
Domenica scorsa, sfruttando il fatto che mi ero preso il lunedì di ferie, Anna e io abbiamo preso un simpatico treno (di cui ho parlato in altra notiziola) che ci ha portati a Genova. Programma della giornata era fare un pezzo del percorso dei Forti di Genova, che lo scorso gennaio avevamo rinviato causa neve. Abbiamo assoldato due guide locali (Guido e Marta) a cui abbiamo anche affidato il servizio di catering, dopo che ci avevano fatto notare che lassù non si sarebbe trovato nulla da mangiare, gettandomi così nello sconforto. Alla comitiva si è aggregata anche Marina, che arrivava dal Ponente.
Arrivati in congruo ritardo a Genova Principe, siamo usciti dalla stazione giusto in tempo per vederci partire il bus che ci sarebbe servito. Nessun problema, per fortuna, visto che avevamo sufficiente tempo per riuscire comunque a prendere il trenino per Casella, una ferrovia a scartamento ridotto segnalata nelle varie guide di itinerari turistici. Purtroppo né l’azienda che gestisce i treni su quella linea né i tagger hanno una qualsivoglia idea di cosa significhi “attrazione turistica”, come si può capire dallo stato in cui sono ridotti gli esterni delle carozze: in compenso abbiamo scoperto che anche l’idea di “orario ferroviario” è piuttosto labile, e mantiene al suo interno un certo tempo per far fare improbabili manovre a locomotore e vagoni, un po’ come in alcuni problemini matematici. Ma tutto è improbabile, a dire il vero, anche il controllore che passa da un vagone al’altro passando bel bello en plein air. Tanto non si parla certo di Alta Velocità.
Scesi a Campi – nome assolutamente incongruo per la località – e scartata la mia proposta di associarci al locale circolo aderendo contestualmente a una grigliata, ci siamo incamminati verso Forte Diamante. Dopo qualche centinaio di metri di strada asfaltata abbiamo visto il forte svettare, e abbiamo improvvisamente compreso l’etimologia del verbo: deriva da “vetta”, e il forte era proprio in alto. Tanto in alto. Estremamente in alto. E come capita spesso, la vicinanza è solo apparente, e dopo un po’ ci si accorge che la distanza rimane sempre la stessa. Guido, da quel momento in poi soprannominato “Stamby”, era l’unico che non si preoccupasse più di tanto della cosa: c’è voluta l’alleanxza di tutto il resto della comitiva per fermarlo e concederci di fare picnic su un pianoro. Ma la sosta è state di breve durata, e subito ci ha preceduti di un bel po’ in cima al forte, che era tra l’altro relativamente pieno di gente. La ragione l’abbiamo scoperta dopo: sull’altro versante il sentiero era sì più lungo, ma molto meno ripido e più ampio, praticamente una mulattiera. In effetti, dopo aver passato Forte Fratello Minore, arrivati a Forte Puìn abbiamo trovato un cavallo, che se ne stava lì immobile che sembrava quasi impagliato. Sarà stato un cavallo genovese, che risparmiava sulla fatica? Ah, il gruppo si era sgranato nel frattempo, con Guido che faceva l’uomo solo al comando e Marina e io a chiudere la comitiva molto flemmaticamente.
Da Forte Puìn parte la linea di mura che è stata conservata, il che è stata una fortuna o una sfortuna. Fortuna, perché il sentiero più che vederlo lo si doveva immaginare, e le mura ci davano un’idea della direzione da prendere; sfortuna, perché mi sa tanto che abbiamo preso il lato sbagliato delle mura. Ad ogni modo siamo riusciti ad arrivare senza soverchi problemi a Forte Righi, dove “si ritorna alla civiltà” secondo le parole di Guido, e ci siamo infatti beccati un’esercitazione della Croce Rossa e una festa di Legambiente, festa che è stata un po’ un controsenso visto che buona parte della gente era arrivata fin lassù… in macchina. (E tra l’altro qualcuno dovrebbe dire loro che su qui e qua l’accento non va).
Per ritornare al livello del mare abbiamo poi sfruttato completamente il costoso biglietto del trasporto pubblico: funicolare, bus, ascensore (dopo una pausa granita, apprezzata da tutti e soprattutto da me che avevo i piedi fumanti causa concomitanza di scarpe poco adatte), ancora bus – purtroppo il 20 sarebbe stato gestito con filobus a partire dal giorno dopo – e finanche treno, quando dopo avere salutato Marina siamo arrivati a Sampierdarena per fermarci a mangiare un boccone da Guido e Marta. corendo anche il rischio di perdere il treno di ritorno ipnotizzati da Report. Tra l’altro sono salito in moto per la prima volta da quasi trent’anni, e per la primissima come passeggero: lo scooterone di Marta è sì tranquillo, ma ero piuttosto preoccupato lo stesso ancorché cecato (gli occhiali li avevo messi nel marsupio) e continuavo a non rendermi conto dello spazio occupato dal casco.
A parte la stanchezza e le vesciche che mi sono trovato il giorno dopo devo però dire che la parte montagnosa di Genova è davvero bella, e ancora di più se fatta in ottima compagnia come noi. Dovrei fare il buon proposito di essere un po’ meno pigro :) Ci sarebbero anche delle foto, ma dovete aspettare ancora qualche giorno!
Aggiornamento: (25 maggio) Le foto che ho scattato stanno su Picasa.
Giro d’Italia
Il Giro d’Italia inizia domani, e già oggi c’è il primo squalificato per doping. Bisogna dire che le cose le fanno bene.
In compenso, dopo il successo dell’anno scorso con il Tour, Guillaume Prébois triplica, e si fa Giro, Tour e Vuelta sempre senza aiutini chimici. In bocca al lupo!
_Breve storia di (quasi) tutto_ (libro)
Bisogna sempre darsi degli orizzonti ampi. E non si può dire che il giornalista Bill Bryson non se li sia dati. Una volta che decise di voler sapere (quasi) tutto sul nostro pianeta, si è imbarcato in una ricerca che l’ha portato a scrivere questo librone (Bill Bryson, Breve storia di (quasi) tutto [A Short History of Nearly Everything], Tea 2008 [2003], pag. 589, € 9, ISBN 9788850215492, trad. Mario Fillioley) che spazia dalla fisica alla cosmologia alla geologia all’evoluzione per vedere come siamo potuti arrivare ad esistere. Lo stile è forse un po’ troppo americano per i miei gusti, quando ad esempio comincia a dire degli esperti che ha incontrato descrivendoli fisicamente, e soprattutto verso il fondo mi pare che l’editing non sia stato dei migliori, con frasi riscritte quasi uguali a distanza di alcune righe: il traduttore ha opportunamente consultato molti esperti ma si è poi dimenticato di spiegare che i trilioni e quadrilioni sono da intendersi all’americana. Ma complessivamente il libro è scritto in maniera davvero accattivante, e i pettegolezzi su come sono state fatte le varie scoperte scientifiche – comprese quelle che oggi crediamo vere ma non lo sono affatto – permettono di capire come le scoperte scientifiche sono sempre frutto di più idee e come non sia detto che il nome che noi associamo a una scoperta sia quello della persona che l’ha fatta davvero. Una lettura che vale la pena.