Il filosofo del Monopoli

[Via Vicolo, Milano] Se scrivo “corsi e ricorsi storici” a molti dei miei acculturati lettori verrà in mente il nome del filosofo napoletano Giambattista Vico. Ve lo dico subito: non ricordo null’altro di lui se non la frasetta e il secolo in cui è vissuto, ma tanto Wikipedia è la nostra amica. Resta il fatto che Vico è un personaggio sufficientemente noto per avere varie strade intitolate a lui: ad esempio, a Milano via Vico è una parallela di viale Papiniano, costeggiante il carcere di san Vittore. Quindi ci si può immaginare che qualcuno usi Google Maps per cercare “Via Vico, Milano”. Già c’è un problema di base: a Milano tutte le vie dedicate a persone devono essere indicate con nome e cognome, altrimenti ti viene mostrata una qualche via della provincia. Ma supponiamo che uno sappia che il nome ufficiale della strada milanese sia “via Gian Battista Vico”, con lo spazio tra “Gian” e “Battista”: niente da fare, non la troverà lo stesso. Eh sì, il nome con cui Google conosce la strada è via Vicolo, come si può vedere nel pezzo di cartina che ho mostrato in cima a questa notiziola. Buffo, vero? Ma oggi, mentre cercavo un indirizzo novarese, ho scoperto che anche nella ridente cittadina fintapiemontese ci sarebbe via Vico, ma per Google c’è via Giovanbattista Vicolo. A questo punto ho proseguito la ricerca, e ho scoperto che anche a Torino abbiamo una via Giambattista Vicolo. (A Napoli, per curiosità, non la si vede scritta esplicitamente, ma garantisco dell’esistenza di Piazza Gian Battista Vicolo).
L’ipotesi del titolo, che qualche amante del Monopoli abbia voluto divertirsi così, è ovviamente uno scherzo: molto più probabile che qualche intelligentone abbia scoperto che in molte città si abbia la denominazione “vico XXX” invece che “vicolo XXX” e abbia lanciato una bella sostituzione globale totale sulla base dati degli indirizzi, dimostrando a un tempo di ignorare sia le nozioni base di filosofia che quelle di informatica. Più che altro mi stupisco che nessuno abbia mai avvisato il signor Google. Io non ci tengo affatto, ve lo dico subito.

Scherzi da Divo

Ieri ci siamo corsi il rischio di veder morire Andreotti in diretta: qui la cronaca. Interessante notare che ieri pomeriggio, mentre repubblica.it ha subito messo il video con il senatore bloccato in modalità “risparmio energetico” – e in effetti uno potrebbe anche chiedersi quanti neuroni occorrano funzionali per essere intervistati da Paola Perego – corriere.it non ha scritto nulla per un bel po’. Scelte misteriose.
Ma mi pare più interessante notare due cose. La prima è che nonostante tutto, anche il Divo Giulio potrebbe non essere immortale (ma tanto ormai c’è Sìlviolo che ci sta pensando su seriamente. È un pensiero incredibile per quelli della mia generazione e anche di quella precedente, che sono così abituati ad avere Andreotti che la sua dipartita sarà uno choc anche per chi gli ha augurato millanta volte di morire. La seconda è più cattiva: la parabola discendente del Nostro. Diciamocelo: non ci sarebbe stato nulla di strano a immaginare un suo malore fatale durante una seduta al Senato. Non dico nel mezzo di una votazione palese, quello forse sarebbe troppo, ma in una lunga seduta magari sì. Pensare a un malore durante un talk show è sicuramente un sintomo di decadenza: ma magari è lo specchio dell’Italia attuale.

Quisss della settimana: qual è la tua filosofia etica?

Non avete mai capito nulla di filosofia? Per voi, “etica” è quello che l’eco risponde quando urlate “Unione Sovietica”? Beh, con questo quisss, se sapete l’inglese, potrete scoprire chi è il vostro filosofo perfetto, almeno per quanto riguarda l’etica: su tutto il resto non si sa.
Io sono uscito fuori perfettamente kantiano, con un 100% di affinità, il che mi preoccupa molto perché non sono mai riuscito a capire la filosofia kantiana. Al limite capisco il 95% di affinità a Stuart Mill, ma mi stupisce che Aristotele (49%) mi sia più vicino che Platone (22%) e parallelamente San Tommaso (61%) vinca su sant’Agostino (46%). O non ho capito le domande o non ho capito me stesso.
Per i curiosi, ecco il link alla mia classifica completa (come sempre non potete cliccarci via feed, vi avviso subito).
(via il tumblr di kchico)

Ci sono o ci fanno?

Leggo da Leibniz che il nuovo palazzo della Bocconi è stato votato World Building of the Year. Qui il reportage della CNN al riguardo.
Sulle prime, soprattutto guardando la foto del palazzo, mi sono chiesto che cosa diavolo ci trovassero in una roba come quella. Poi ho letto l’articolo, ho notato che il direttore del World Architecture Festival ha elogiato l’edificio «for its close relationship with its resident city of Milan e mi è venuto in mente che c’era qualcosa di perverso in questa affermazione.

_Strani universi 2_ (libro)

[copertina] Il romanzo breve non è un genere molto apprezzato in Italia, nemmeno nella ristretta famiglia della fantascienza. Io personalmente trovo la cosa un peccato, e ho molto apprezzato questa raccolta dell’Editrice Nord (AA.VV., Strani universi 2, Editrice Nord 1999, pag. 303, ISBN 9788842911012.JPG, trad. Luca Landoni) con i cinque finalisti dei premi Hugo 1999. Le cinque opere presenti sono di stile molto diverso tra loro, il che è in fin dei conti naturale visto che la SF non è certo un blocco monolitico. Catherine Asaro in Aurora a quattro voci fa il suo compitino di SF hard, che sarebbe senza infamia e senza lode se non fosse stato massacrato dalla traduzione. Non c’è nulla di male a non sapere di matematica, ma quando la matematica è il filo che tiene su la storia tradurre pedestramente ad esempio “integral numbers” con “numeri integrali” fa perdere tutta la poesia. Greg Egan con Il culto degli oceani (il vincitore dell’Hugo in quell’anno) ci porta a vedere lo scontro tra una religione quasi speculare a quella cristiana e la scienza che arriva a far distruggere tutte le certezze della fede, inserendoci già che c’è un pizzico di fisiologia non-umana. Terry Bisson, con In chiesa per tempo, è un fantastico esempio di fantascienza scanzonata, che fa tornare in mente il Fredric Brown dei tempi migliori. Forse può sembrare la trama di una sitcom, ma la storia è assolutamente godibile, pur con certi accenni a un universo diverso dal nostro, ma non troppo; e il problema non è scoprire che a New York non ci sono più ritardi oppure vedere che c’è chi è pronto a lanciare le farfalle a tempo debito perché gli uragani capitino nel weekend quando ci sono meno notizie da dare. Di tutt’altro genere Le isole dell’estate di Ian MacLeod: abbiamo qui un’ucronia ambientata negli anni ’40, dove gli sconfitti nella prima guerra mondiale sono stati gli Alleati e il nazismo si è formato in Gran Bretagna. Infine La storia della tua vita di Ted Chang, un esempio di storia basata sulla xenolinguistica che parte piuttosto lentamente ma poi riesce ad attrarre il lettore (anche perché fortunatamente qui gli svarioni matematici non sono su punti essenziali). In definitiva una bella raccolta, non c’è che dire.

Google StreetView

[casa]
Quella che vedete qui sopra è la finestra di camera mia. Stranamente la macchina di Google StreetView è anche passata sotto casa, e quindi adesso che anche Milano è mappata c’è quest’immagine, di cui ovviamente non me ne faccio nulla (né ve ne fate molto voi, visto che il post non è geotaggato :-) )
La cosa più interessante è che per quel poco che ho visto gli amici di google sono riusciti a cancellare tutte le targhe e le facce delle persone. Chissà se è stato fatto con un sistema automatico…

Ma che ci fanno sui nostri PC?

I computer qua in ufficio sono più o meno gestiti in remoto, nel senso che ci vengono inviati gli aggiornamenti di non si sa bene cosa. Di per sé la cosa non mi fa né caldo né freddo. Però stamattina mi sono trovato il computer praticamente bloccato, anche se il task manager mi diceva che la CPU se ne stava a far nulla per l’80% del tempo. Già il pc a mia disposizione è vecchiotto e lento di suo, ma così era impossibile. A un certo punto vedo l’iconcina “nuovi aggiornamenti pronti – si prega di riavviare il pc”; ci clicco sopra e aspetto un paio di minuti prima che il sistema operativo si degni non dico di ripartire, ma almeno di dare segni di avere capito che deve farlo. Mentre mi alzo per sgranchirmi le gambe, sento i colleghi dell’open space che dicono “ma anche a voi il PC va così lento?” Insomma, questo simpatico aggiornamento ha fatto sì che tutto il mio gruppo di lavoro fosse bloccato. È vero che cinque mesi faci dissero di spegnere i PC la notte per risparmiare corrente, ma forse mandare una mail dicendo “stanotte lasciatelo pure acceso, che vi installiamo del nuovo software” potrebbe essere un miglioramento. Magari ci arriveranno anche.

_Giochi Matematici – enigmi e rompicapi_ (libro)

[copertina] Credo che Ian Stewart sia ormai relativamente noto anche in Italia, per quanto possa essere noto un matematico che si occupi di matematica (Piergiorgio Odifreddi quindi non conta :-) ) RBA Italia recupera un suo vecchio libro (Ian Stewart, Giochi Matematici – enigmi e rompicapi [Game, Set and Math], RBA Italia – Sfide Matematiche 5 – 2008 [1989], pag. 247, € 9.99, trad. Angela Iorio) , che contiene una serie di articoli scritti nella seconda metà degli anni ’80 per Pour la Science, l’equivalente francese di Le Scienze. Ora, si dà il caso che io possegga da una quindicina d’anni l’edizione inglese Penguin, quindi abbia potuto fare un confronto diretto. Per quanto riguarda i temi trattati, sono sicuramente accattivanti, e non troppo complicati per un lettore appassionato di matematica ricreativa ma senza un Ph.D.; la classica ripartizione tra curiosità e problemi è rispettata, lasciando la giusta varietà. Bisogna però aggiungere che hanno fatto di tutto per rendere le cose difficili al lettore italiano. Le immagini hanno una qualità assolutamente degradata, tanto che non è possibile ad esempio capire come sono fatti gli anelli borromei; ma quello che è peggio è la traduzione. D’accordo: Stewart ha esagerato con i giochi di parole – e poi osa anche lamentarsi che la traduzione francese di Philippe Boulanger fosse “parecchio liberale”. Non pretendo di trovarmi una resa del gioco di parole del titolo: in fin dei conti per quindici anni, nonostante una prominente palla da tennis piena di formule matematiche in copertina, mica me n’ero accorto. Né pretendo che il dialogo tra Stewart e Pierre de Fermat sia scritto con quest’ultimo che usa termini similseicenteschi, anche se non sarebbe stato così difficile. Se però si “traduce” «to give the die a quarter of turn» con «facciamo a turno per lanciare il dado», risulta assolutamente impossibile risolvere il gioco proposto. E allora che ricreazione matematica è?
(Sulla pagina di aNobii indicata nel link in alto, come sempre, la lista degli errata corrige che ho trovato)