Burn After Reading – A prova di spia (film)

[locandina]Sabato scorso, nonostante l’influenza che mi stava per arrivare, sono andato al Plinius a vedere l’ultima opera dei Fratelli Coen, Burn After Reading; insomma il film che ha messo insieme Brad Pitt e George Clooney, immagino per la gioia delle fanciulle di tutto il mondo occidentale e segnatamente di Anna e Marina che erano con me. A parte che ci ho perso una buona mezz’ora a capire che il tipo con quella brutta barba che lo faceva sembrare un mediorientale era George – ma mi è stato detto che era tutta invidia – passiamo alla trama del film. In poche parole, abbiamo come cornice una storia dove ci sono una serie di relazioni extraconiugali (tutte rigidamente eterosessuali, però!) che nemmeno Novella 2000, e dei supposti documenti segreti CIA che vengono trovati per caso e sono sfruttati dagli scalcinati Brad e Frances McDormand per farsi un po’ di soldi; lei, soprattutto, ha bisogno dei soldi per “riprogettarsi”, leggasi sottoporsi a una serie di interventi di chirurgia estetica. Il tutto con un pressapochismo totale da parte dei vari personaggi.
Ci sono dei momenti carini nel film, e la scena finale col capo della CIA è da salvarsi; però non è uno di quei capolavori che si può immaginare di tenere nella propria cineteca. Diciamo che può comunque valere la pena di andare al cinema, a meno che non amiate le scene splatter (ce n’è un paio) e cerchiate scene esplicite di sesso.
I siti ufficiali: USA, italiano.

Oggi assemblea!

Non è esattamente il miglior periodo per fare un’assemblea in Telecom Italia, visto cosa sta succedendo alle azioni. Però c’era stato un (mezzo) accordo tra azienda e sindacato per le 5000 persone da far fuori – gli “esuberi”, come ormai si dice, forse perché la parola assomiglia a “esondazione”, e quindi sono iniziate le assemblee per votare sul (mezzo) accordo.
Perché “mezzo”? Perché – ammetto di non essermene accorto – la SLC-CGIL non ha firmato la parte dell’accordo relativo al piano industriale; e in effetti ieri mi era arrivato un comunicato Fistel-CISL che si lamentava con i colleghi dell’altra parrocchia. Bisogna dire che mi sono piacevolmente stupito del fatto che nonostante tutto abbiano messo in piedi un’assemblea unitaria e i sindacalisti delle due sigle non si siano picchiati nemmeno metaforicamente, limitandosi a riconoscere le differenze e a presentare il proprio punto di vista. In Italia è ormai diventata una cosa così rara da essere incredibile. Altro stupore l’ho avuto notando che la partecipazione era piuttosto alta, anche se mi sa che sia legata alla paura di cosa possa accadere. L’età media è semre quel che è, considerando che un riferimento a Catalano per un’ovvietà è stato tranquillamente compreso dai presenti, ma quello lo si sa già.
Dopo una non-votazione (non ho esattamente capito cosa sia successo, una “approvazione vocale con alzata di mano”?) ce ne siamo tornati in ufficio: non so bene cosa avesse fatto col suo badge il tipo che era uscito, ma ci siamo visti abbassarsi la serranda che chiude l’ingresso alla nostra sede. Sì, in attesa che la receptionist capisse che fare abbiamo fatto il giro dalla rampa per il cortile: resta il tatto che continuo a trovarmi davanti brutti presagi.

Qualcosa non mi tornava

Tremonti afferma: «Tuteliamo i consumatori, non i manager che hanno sbagliato». Poi uno scopre che nella legge di conversione del decreto salva-Alitalia “per essere perseguiti penalmente per una mala gestione aziendale è necessario che l’impresa si trovi in stato di fallimento.” (e la legge serve apposta a impedire i fallimenti delle grandi aziende, commissariandole prima). Geronzi e soprattutto Tanzi ne saranno sicuramente felici. Non notate una piccola discrepanza?
Poi mi sono letto cosa ha davvero affermato Tremonti: si prevede la «tutela del contribuente il cui capitale viene integrato nelle banche. Ma non il sostegno ai manager che hanno sbagliato nella gestione». Detto in altro modo, se proprio proprio proprio va bene il manager verrà gentilmente invitato a farsi da parte. Probabilmente lasciandogli la buonuscita, ma senza fornirgli un fondo di compensazione per la disoccupazione.
Aggiornamento: (11:00) Tremonti non ci sta. Vediamo che succede adesso, e se ci sarà un emendamentino all’emendamentone.

Parole matematiche: ordine, ordinale, ordinata, ordinamento

(la lista delle parole matematiche si trova qua!)
La parola “ordine” è onnipresente nella lingua italiana: la possiamo trovare in politica, con gli “uomini d’ordine”, l'”ordine pubblico”; tra le casalinghe, che vogliono avere “la casa in ordine”; nei teatri, che si tengono gli ordini di poltrone; in botanica e zoologia per definire un essere vivente, e in architettura per indicare il tipo di colonne. Riesce persino a mettere d’accordo fanti e santi, rispettivamente con l’ordine cui ubbidire e l’ordine religioso cui appartenere, o con gli ordini che un prete prende. Insomma, una parola davvero per tutti gli usi. Eppure non se ne conosce l’origine. Sì, deriva dal latino ordo, ordinis, e fin qua ci si arriva. Ma la parola latina è di incerta origine: il DELI pensa derivi da un termine tecnico per indicare i fili dell’ordito, che poi è passato a “fila”, “posizione nella fila”, “posizione nella battaglia”, “comando”. Si vede che già i latini la usavano molto. Per etimo.it, invece, la radice or- è la stessa di “iniziare” (origine, oriente…), e quindi starebbe per “modo di procedere”. Vabbè. In ogni caso è chiaro che sono stati i matematici a rubare la voce al linguaggio comune, visto che il significato di “disposizione armonica” è attestato addirittura prima del Trecento e quello di “ordine religioso” si trova nel Boccaccio.
In matematica si usa direttamente la parola “ordine” in vari contesti. L’ordine di un gruppo è il numero di elementi del gruppo stesso; una relazione d’ordine, parziale o totale, è quella dove dati due elementi di un insieme puoi generalmente dire se uno è “prima” o “dopo” l’altro, e quindi metterli in ordine (magari non completo, se la relazione è parziale); la logica del primo ordine è quella ad esempio dei sillogismi, dove “se ogni uomo è mortale, e Socrate è un uomo, allora Socrate è mortale”. Ma tutti questi sono esempi dalla seconda metà dell’Ottocento in poi. Più interessante vedere che già intorno al 1750 venivano usati dei derivati del termine. Abbiamo infatti l’ordinata, che è la sorella dell’ascissa, quindi l’asse verticale quando facciamo il grafico cartesiano; e soprattutto l’ordinale, che è “il numero che indica la posizione di un elemento in un insieme ben ordinato”; il numerino romano dopo il nome dei re e dei papi nel linguaggio comune, e uno dei due modi di contare i numeri interi assieme ai cardinali. I modi sono due perché appunto negli ordinali li si mette tutti in ordine, mentre nei cardinali si fa il mucchio e ci si accontenta che siano distinti. Non è un problema di pignoleria, perché non appena si arriva agli insiemi infiniti si scopre che infiniti numeri ordinali corrispondono allo stesso numero cardinale. Ah, sì: a proposito di numeri infiniti, un’altra frase moderna è il buon ordinamento, dove si riesce a mettere un insieme in ordine in modo che ogni suo sottinsieme abbia un elemento “primo della fila”. Teoricamente va benissimo, in pratica nessuno è mai riuscito a trovare un buon ordinamento dei numeri reali tra 0 e 1, il che fa capire che non dev’essere un concetto così banale.
Abbiamo insomma una parola davvero versatile, non solo nella lingua comune ma anche in quella dei matematici! E dulcis in fundo, una chicca straniera. In francese il calcolatore (che per me dovrebbe essere un elaboratore, ma tant’è) si dice ordinateur. È sempre il nostro ordine! Ehm… non quello ufficiale, visto che la persona che mette in ordine sarebbe al più un ordonnateur: al limite ordinateur potrebbe essere stato un vescovo. Ma non sottilizziamo.

Sono settecentoquarantanovesimo in classifica!

Purtroppo non mi ricordo chi me l’abbia segnalata, comunque esiste un'(altra ancora) classifica dei blog: quella – di origine spagnola e leggibile unicamente in castigliano – di Bloguzz. Se ho letto bene le faq, dovrebbe essere un esempio di “Tramezzino Marketing”, come direbbe CiaoFabio:
«Ponemos a disposición de las marcas una selección de bloggers expertos en su sector dispuestos a hablar de sus productos y facilitamos a los bloggers el acceso a productos de su interés para que comenten en sus blogs su experiencia en primera persona.».
In effetti, vedere che al sesto posto della classifica assoluta italiana (completamente diversa da tutte le altre che avete visto finora) ci sia Il blog di Giuseppe Turani fa pensare.
Ad ogni modo, non so come, sono catalogati 5817 blog in lingua italiana, e queste Notiziole sono oggi in posizione 749, dopo essere rimasto nell’ultimo mese sempre esattamente allo stesso “nivel de buzz” (e ci credo, visto che afferma che non ci sono “ultime notizie”. I miei ritagli si comportano meglio, trovandosi in posizione 565 e perfettamente aggiornati con quanto ritagliato mezz’ora fa. Non siamo tutti felici? Possiamo aggiungere un altro numerino alla nostra collezione!

Cossiga mi preoccupa

Come forse ricordate, se uno legge gli editoriali della Stampa dal feed RSS non sa chi sia l’autore. Ma in questo caso non c’erano dubbi: l’autore era il Presidente Emerito degl’Italiani. Per me leggere un testo di Cossiga è sempre un divertimento: non tanto per quello che dice direttamente – ad esempio, in questo caso l’articolone si può riassumere nella frase del titolo, “Io davo soltanto buoni consigli”, con la chiosa “e il presidente della Repubblica deve fare solo quello e non il decisionista, a differenza di Scalfaro e Ciampi” – ma per tutte le chiose che aggiunge, e che continuo a pensare essere messaggi trasversali. Su alcuni punti, tipo il fatto che il Regno di Sardegna, partito come “costituzionale” (nel senso che Carlo Alberto aveva graziosamente promulgato una costituzione) si tramutò man mano in sistema “parlamentare”, dove si risponde al Parlamento e non al Capo dello Stato, sono sostanzialmente d’accordo. Su altre, come quando dice «l’opposizione o anche la maggioranza di sinistra è sempre a favore di un’espansione dei poteri del Capo dello Stato per limitare i poteri del governo», non concordo: è più corretto dire che dipende dal carattere del Presidente, si veda ad esempio con Einaudi che di sinistra proprio non era.
Stavolta però mi sono preoccupato per le cantonate che ha preso Cossiga. Iniziamo con l’incipit dell’articolo, letterariamente perfetto: «Sia per i miei studi che per aver avuto una certa esperienza pratica delle nostre istituzioni repubblicane, penso di potere fare una chiosa a quanto scritto nel quotidiano da lei diretto, che mi è caro perché pubblicato nell’Antica Capitale del nostro regno: il Regno di Sardegna, cui sia lei che io apparteniamo anche se per non antiche annessioni per via diplomatica, ma pur sempre importanti dato che la Sardegna, Genova e il Genovesato, oltre che il Principato del Piemonte e il Ducato d’Aosta erano ben più grandi dello Stato originale, e cioè il Ducato di Savoia, che esse fecero regno.». Ora, Genova e il Genovesato furono annesse al Regno dopo Napoleone, e quindi non c’entrano un tubo. E soprattutto nessuna di quelle terre fecero regno il Ducato di Savoia: il titolo di re arrivò nel 1713, con la pace di Utrecht, e l’assegnazione… della Sicilia. Nel 1718, con uno swap diplomatico, la Sicilia fu poi scambiata con la Sardegna. Ma anche più giù, quando afferma «così il presidente del Consiglio italiano, unico caso credo al mondo, può nominare i ministri ma non revocarli!», Cossiga mi casca su una buccia di banana. Il PresConsMin, a dire il vero, non nomina ma propone i ministri, che sono nominati dal Presidente della Repubblica: vedi articolo 92 (no, la Costituzione non ve la linko. Dovreste averla tutti tra i vostri favoriti).
Mi devo preoccupare? La sanità mentale intellettiva di Cossiga sta davvero vacillando?

Hai l’occhio fino?

Se ti piacciono i giochini flash e pensi di saper valutare bene le figure, puoi andare su The eyeballing game. Ti vengono presentate alcune prove “geometriche”, come costruire un parallelogramma dati due lati e un angolo retto, trovare la bisettrice di un angolo, il centro di un cerchio, l’incentro di un triangolo (il centro del cerchio inscritto, cioè il punto equidistante dai tre lati), il punto medio di un segmento e il punto in cui tre rette convergono. Si fanno tre tentativi per ogni tipo di prova; viene calcolato l’errore per ciascun tentativo, e il tuo punteggio è l’errore medio, che ti viene mostrato relativo alla distribuzione (una binomiale asimmetrica) di tutti coloro che hanno provato il gioco.
Io mi sono comportato abbastanza male: mentre i migliori hanno un risultato tra 2 e 2.5, ho iniziato con oltre 6, per scendere a 5,1 al secondo tentativo e a 3,98 al terzo. Poi ho smesso, avrei anche da lavorare.
(via layos)

Non facciamoli più soffrire

Ieri sera al microfono aperto di Radio Popolare c’era come ospite Valentino Parlato del Manifesto, che chiedeva l’aiuto degli ascoltatori della radio per l’ultima “ultima chiamata”: la non so più quantesima raccolta di fondi per evitare la chiusura del quotidiano. Nella decina di minuti in cui sono rimasto ad ascoltare, gli interventi – e ricordo che stiamo parlando di ascoltatori di una radio della sinistra dura e pura – sono stati tutti contrari, anche da parte di lettori e abbonati che quindi i soldi li stavano già cacciando: e non posso negare che ogni tanto ridacchiavo.
Due premesse. Le tendenze politiche dei miei ventun lettori sono assolutamente di tutti i tipi: so che uno ha creato un gruppo Facebook “Salviamo il Manifesto” (io non mi iscrivo a nessun gruppo colà, lo ammetto subito), e d’altra parte so che ci sono degli iperliberisti. È anche vero che Anna mi dice sempre che le mie posizioni politiche sono quelle del Manifesto: tutto nacque con l’assoluzione di Andreotti per il delitto Pecorelli, quando a colazione le dissi come la pensavo io sulla cosa e poi alla rassegna stampa scoprimmo che l’editoriale del quotidiano comunista era sulla stessa linea. In realtà non sono così a sinistra, ma non è così importante.
Quello che io so è che saranno quindici anni che si va avanti a richieste di fondi, il che significa che il Manifesto è strutturalmente in perdita. In effetti nessuno ci vieterebbe di fare un Bad Manifesto e trovare dei capitani (ma anche solo caporali) coraggiosi che ripartano da capo con gli asset che hanno ancora un certo valore: ma non credo che la cosa comunque funzionerebbe. Banalmente, non c’è una massa critica di persone interessata a quello che scrive il giornale; e aggiungerei “a come lo scrive”, perché è chiaro che se uno lo acquista non è per sapere cosa è successo al reality ma per avere un certo tipo di visione di cosa sta accadendo nel mondo: però posso garantirvi che le volte in cui mi è capitato di comprarlo ho fatto fatica a seguire buona parte dei pipponi. In secondo luogo, evidentemente non ci sono aziende che pensano che sia utile pubblicizzarsi tra quei lettori.
A questo punto, i casi sono due: o si inventa una legge Bacchelli anche per le cooperative di giornalisti finite in indigenza e non solo per gli artisti finiti in indigenza, oppure si ha il coraggio di chiudere e basta. E secondo me è la seconda, la scelta giusta. Triste, perché è chiaro che non è bello pensare che Libero lo compri almeno il triplo delle persone, ma tant’è. È un po’ come il proverbio che dice che non si possono raddrizzare le gambe a un cane.