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La fusione Repubblica-Stampa

La storia si ripete. Nel 1998, in un periodo di fusioni bancarie, il San Paolo si fuse (o meglio, assorbì…) l’IMI; nel 2007 il Sanpaolo-IMI si fuse (o meglio, venne assorbito…) dal gruppo Intesa. Stavolta il primo passo non è stato romano ma ligure, con la Stampa che meno di due anni fa si fuse (o meglio, assorbì…) il Secolo XIX mettendo le azioni in mano a Itedi, e il secondo passo non è stato lombardo ma romano, con Itedi che si fonde (o meglio, viene assorbita…) dall’editoriale l’Espresso.

Intendiamoci: in tutto il mondo la carta stampata va male, e in Italia va peggio. È notizia della scorsa settimana che l’Espresso non esiste più, o se preferite viene venduto solo la domenica in abbinamento a Repubblica a un prezzo complessivo di due euro: insomma, è diventato un supplemento dove si può mettere su carta patinata quel poco di pubblicità residua che ancora arriva. E anche senza leggere l’editoriale di Ezio Mauro, che poi prima di essere stato direttore di Repubblica lo era della Stampa esattamente come Mario Calabresi, è ben noto che le firme del quotidiano torinese passavano spesso e volentieri a quello romano. Pensate a Barbara Spinelli: oppure, nel mio piccolo di amante delle rubriche di giochi, prima a Giampaolo Dossena poi a Stefano Bartezzaghi. Insomma, dal punto di vista strettamente giornalistico e da quello industriale l’accorpamento ha senso.

Quello che io almeno trovo strano è che La Stampa sia finita con Repubblica e non con il Corriere, di cui FCA da metà 2013 deteneva la quota azionaria maggiore con il 20% del capitale. La famiglia Agnelli ce l’ha almeno da quarant’anni con Carlo De Benedetti (che nel 1976 è stato AD della Fiat…), e l’unica ragione che vedo in questa completa dismissione dalle attività editoriali italiane – anche la quota in RCS viene infatti passata ai vari azionisti FCA – è che a John Elkann, a differenza del nonno Giuanin Lamiera, dell’italica stampa interessi meno che zero. D’altra parte Fiat è appunto FCA, e quindi non ha più tutto quel bisogno di spiegare agli italiani perché Fiat è brava bella e buona. Molto meglio l’Economist. Il risultato finale, nonostante le testate manterranno formalmente la loro indipendenza, sarà inevitabilmente il declino della testata piemontese che diventerà poco più del dorso torinese di Repubblica. Noi piemontesi affezionati alla Busiarda non la prenderemo troppo bene, mi sa.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-03 12:14

Percentuali e PIL

Oggi al Sole-24 Ore è stata pubblicata questa infografica, che io ho prontamente salvato. (Ora l’articolo è stato corretto, ma dalla sua URL si può ancora intuire la genesi iniziale).

Il grafico di quell’articolo mostra come è aumentato il debito pubblico dei PIGS (stranamente senza l’Irlanda) e per confronto quello di Germania e Francia a partire dal 2007, cioè prima della crisi. Si può vedere come l’Italia non ha poi fatto troppo male: risulta messa un po’ meglio della Francia e un po’ peggio della Germania, soprattutto a causa degli ultimi tre anni, ma molto meglio degli altri malati economici europei. Peccato che appunto quell’infografica mostra l’incremento del debito e non il rapporto debito/PIL, come invece era scritto nel titolo iniziale («Debito pubblico in Europa. Italia al 133,20% del Pil, peggiore la Francia con 149,38%») e corretto in corsa («Debito pubblico in Europa: la corsa di Spagna, Portogallo e Grecia.»). Addirittura nell’articolo originale si affermava che «Il debito italiano, infatti, dai 133,20 punti percentuali sul Pil del 2015», cioè il numeretto che hanno visto nel grafico (il vero valore è 12,8%). Il nostro grande problema è appunto che partiamo da un debito altissimo, e quindi anche un incremento percentuale ridotto porta gravi danni, mentre per esempio la Spagna nel 2007 aveva un rapporto deficit/PIL molto basso (il 34%) e ha potuto così permettersi una crescita percentuale enorme.

Ho due domande, una ai miei lettori e una invece retorica. Qualcuno ha copia dell’articolo apparso sulla versione cartacea del Sole-24 Ore, per capire chi è stato a fare quello svarione? E come è possibile che il maggior quotidiano economico italiano riesca a pubblicare qualcosa del genere, proprio sul loro campo? Non hanno nessuno che legga quello che viene scritto?

Aggiornamento: nel corpo dell’articolo avevo erroneamente scritto “deficit” al posto di “debito”.

Ultimo aggiornamento: 2016-02-10 18:34

Leggere attentamente le avvertenze

Il Sole-24 Ore è stato tra gli ultimi giornali (ma c’erano stati anche parecchie persone su Facebook che ne avevano parlato) a raccontare dei 52 posti da visitare secondo il New York Times, e a lamentarsi perché per l’Italia c’è solo Torino, per di più solo in trentunesima posizione.

Se prima di lamentarsi avessero scorso tutta la lista, avrebberto trovato in fondo all’articolo del NYT un collegamento a un altro articolo, How We Picked the 52 Places to Go in 2016, dove si spiegano i criteri scelti:

We aim for a selection of places that we expect to be particularly compelling in the coming year; reasons might include a museum opening, a new transportation option or a historical anniversary

(“Abbiamo cercato di scegliere luoghi che pensiamo saranno particolarmente interessanti in questo nuovo anno: i motivi possono essere l’apertura di un museo, un nuovo tipo di trasporto o un anniversario storico”). Torino è entrata nella lista perché è stato rinnovato il Museo Egizio: d’altra parte l’anno scorso il primo luogo della lista è stato Milano, a causa dell’Expo. Evidentemente in Italia nel 2016 non si è trovato null’altro di nuovo: da un importante quotidiano mi sarei aspettato che si partisse da questo punto e si elencassero le novità italiane del 2016, non una semplice traduzione+piagnisteo. Ma tant’è.

Ultimo aggiornamento: 2016-01-08 15:44

Paywall per il Corsera: funzionerà?

Ieri l’amministratore delegato di RCS, Laura Cioli, ha affermato che entro fine gennaio verrà introdotto un paywall parziale per l’accesso alla versione elettronica del giornale: in pratica dopo un certo numero di articoli gratuiti al mese bisognerà pagare per vederne altri. Secondo Cioli, “I contenuti ad alta qualità devono essere pagati”.

Il concetto di per sé ha pienamente senso. Quello che a me manca è il concetto di “contenuto ad alta qualità”. Non ho dati precisi al riguardo, ma ho il sospetto che già adesso non è che io apra chissà quanti articoli del Corsera: più facile che legga quelli del Giornale. (Libero no, la mia religione vieta i clickbait. Scorro più spesso Repubblica, ma anche lì ormai gli articoli su cui clicco sono ben pochi). Ci sarà un’inversione di tendenza sui contenuti disponibili, ancorché a pagamento?

Il famoso costruttore Average

average Come potete vedere da questo post, Repubblica (cartacea) ha “spiegato” ieri come ci sono marche i cui consumi sono molto maggiori di quelli dichiarati, mentre altre marche sono nella media: tra queste ci sono Bmw, Renault, Ford, Volkswagen, e… Average.
Ma anche Libero aveva più o meno lo stesso testo (ora l’hanno corretto e non avevo pensato a salvarlo su archive.is, per quello non ne avevo parlato prima). Evidementemente ieri è arrivata un’agenzia e almeno due quotidiani hanno preso il testo e l’hanno dato a qualche stagista dicendogli di cambiare giusto una parola qua e là. Non è stato evidentemente chiesto loro di leggere né tanto meno di comprendere il testo: altrimenti si sarebbero accorti dell’altra castroneria, dove sembra che Fiat e Toyota consumino su strada meno che nei test; in realtà anche loro consumano di più, ma la differenza rispetto al dichiarato è minore di quella di altre marche e ovviamente della media (cioè dell'”average”).
I giornalisti avrebbero una funzione importantissima in un mondo con sempre più dati e informazione ma meno conoscenza. Peccato non la vogliano assumere.

Ultimo aggiornamento: 2015-09-30 16:46

Bambini soldato

Anna mi segnala che secondo Repubblica (archivio) Dean Jones, nato nel 1931, avrebbe combattuto nella seconda guerra mondiale.
(Ho controllato su Wikipedia: dalla versione di fine agosto a quella di stamattina c’è sempre stato scritto “Guerra di Corea”. La notizia arriva da un’altra fonte, insomma)

Ultimo aggiornamento: 2015-09-03 11:29

Chiude il Corriere Mercantile

Ho sentito oggi su Radio Popolare che quello odierno è l’ultimo numero del Corriere Mercantile, quotidiano genovese. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso, da quando La Stampa aveva annunciato la fusione con Il Secolo XIX, il principale quotidiano della città della Lanterna. Storicamente, infatti, il Corriere Mercantile era venduto nel Levante ligure in abbinamento alla Stampa, che aveva un’edizione propria solo per il Ponente. Dopo la fusione, a Ponente c’era un’eccedenza di giornalisti ma a Levante quello in eccedenza era direttamente il giornale.

Poi è chiaro che uno prendeva il Corriere Mercantile solo per leggere le notizie del paesino (anche se il tentativo di uscire a un euro con solo la cronaca locale non ha avuto successo). Però questo significa che evidementente andremo a perdere le notizie di questo tipo che avevano comunque un senso – e che sono più difficili da recuperare che i grandi pipponi di commento, che possiamo preparare stando tranquillamente seduti sulla scrivania con un bel condizionatore acceso. Sicuramente il citizen journalism non è mai decollato: possiamo chiederci se c’è davvero così tanta gente interessata alle minuzie locali, ma quella è un’altra storia.

occhei, mi sono perso

Ho cercato di capire cosa intende dire questo articolo, ma non ci sono mica riuscito. La prima frase, attribuita a tal Roberto Brambilla “ideatore del Centro studi” (quale?) ha un senso, in effetti:

«nel 2013 l’Italia ha sostenuto una spesa pensionistica complessiva di ben 214 miliardi, ma l’anno scorso le entrate contributive effettive ammontavano a 189 miliardi. Logico, quindi, il disavanzo (che lo Stato copre a consuntivo) di circa 25 miliardi l’anno».

Poi però leggo

Bene, su quei 214 miliardi di spesa pensionistica effettiva, i soldi concretamente utilizzati per pagare 18 milioni di pensionati ammontano a 171 miliardi. La differenza, pari a ben 43 miliardi di euro, vanno a finire nelle casse dello Stato, rappresentando una partita di giro e un incasso.

e l’articolo finisce lì. Qualcuno che ha studiato riesce a capire cosa vuol dire quella frase?

Certo, uno magari guarda l’inizio dell’articolo, due righe che si perdono tra titolone e immagine: «Quarantatre miliardi di euro. A tanto ammonta la “tassa” che lo Stato intasca sulle pensioni.», e poi legge «Il dato emerge dal secondo rapporto sul “Bilancio del sistema previdenziale italiano”, redatto dal Comitato tecnico scientifico di Itinerari previdenziali.». Se è un rompipalle come me va a vedere che cos’è “Itinerari previdenziali ®” («una realtà indipendente che opera nel campo della comunicazione, formazione e informazione nell’importante settore economico e sociale del welfare e dei sistemi di protezione sociale pubblici e privati.») e poi scopre qui che i 43 miliardi corrispondono alle tasse pagate dai pensionati. Immaginiamo pure che la parte di tasse che i pensionati pagano su redditi extrapensionistici sia irrilevante: quindi lo Stato ha pagato 171 miliardi e ne ha presi 189, quindi il presunto guadagno è solo di diciotto miliardi. Guadagno presunto, perché se quei soldi non fossero stati versati come contributi sarebbero comunque stati tassati, ma non complichiamo vieppiù le cose.

Insomma, è peggio che al Giornale non sappiano fare i conti oppure che non sappiano scrivere un articolo che sia comprensibile senza dover andare in giro a cercare informazioni?

Ultimo aggiornamento: 2015-04-16 10:59