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Perché scrivo?

L’altro giorno, in un commento a un post in cui mi lamentavo perché sto solo scrivendo del coronavirus, Lele mi ha fatto queste domande.

È obbligatorio parlare di qualcosa?
Parlaci dei motivi per cui tutti i giorni devi scrivere qualcosa, vabbé che nulla dies sine linea, ma secondo te tutto ciò che scrivi (qui) ha un senso, un valore per essere condiviso con chiunque acceda alla rete?
Perché lo fai?
Perché (qui) scrivi ogni giorno? Perché scrivi ad ogni costo?

Come gli ho scritto, sono “domande intelligenti”, nel senso che non c’è una risposta facile e ho dovuto pensarci un po’ su per trovare una risposta che abbia senso e non sia buttata lì tanto per dire qualcosa. Provo quindi a esprimere il mio pensiero.

No, non è obbligatorio parlare di qualcosa. Però credo che la domanda corretta sia un’altra: non è obbligatorio dovere parlare su qualunque cosa. Come dicevo l’altro giorno, io ho tanti interessi diversi ma non è che sia davvero un tuttologo, né ci tengo ad esserlo. Il punto è che però a me piace scrivere. Meglio: mi piace mettere nero su bianco i miei pensieri. Sì, mi piace anche raccontare le cose dal vivo: ma scriverle mi aiuta a focalizzarmi e quindi comprendere meglio cosa penso. Tante volte comincio a scrivere qualcosa e dopo una decina di righe mi accorgo che quello che penso è cambiato: lo sforzo di riordinare i pensieri mi ha fatto vedere le cose in un altro modo, e mi sono accorto che l’idea originale faceva acqua da tutte le parti.

Questo blog è ormai maggiorenne: non ci ho sempre scritto ogni giorno, ma quasi. Uno dei motivi per cui lo faccio è perché penso che comunque tra tutto quello che posto ci sia anche qualcosa di utile per qualcuno che passa di qui per caso. In effetti, prima del blog c’era già il sito, il che significa che in realtà è un quarto di secolo abbondante che vi ammorbo. Non credo di essere chissà quale maître-à-penser, ma ho la presunzione di scrivere di solito vedendo le cose da un punto di vista diverso da quanto faccia la maggior parte della gente, per tutta una serie di ragioni che vanno dal mio essere matematico (non praticante, ma la forma mentis mi è rimasta) agli insegnanti che ho avuto. Però, come dicevo, lo faccio soprattutto per me. Non credo affatto che quello che scrivo sia un valore per chiunque acceda alla rete: ma se ci avete fatto caso, io non mi faccio molta pubblicità. In pratica, i miei famosi ventun lettori sono persone che in genere sono capitate per caso e hanno deciso che quello che scrivevo poteva interessare loro. Scrivere regolarmente è una scelta per non perdere l’allenamento: tanto qualcosa di interessante dal mio punto di vista lo trovo sempre, e al più il vero problema è quando ci sono troppe cose tutte assieme :-)

Ultimo aggiornamento: 2020-03-30 15:09

Il coronavirus ci assorbe

C’è una cosa che forse non appare così immediata riguardo a quanto sta capitando queste settimane. Se scorrete gli ultimi miei post, vedrete che – a parte le recensioni di libri del sabato e i quizzini della domenica – sono praticamente tutti su temi legati al coronavirus. Lo stesso per le mie vignette che non fanno ridere: le eccezioni sono il ricordo di due morti per altre cause…

Il fatto è che io scrivo delle cose che leggo oppure che vedo in giro. In giro non ci posso andare, e i media parlano solo della pandemia: che altro posso fare? Beh, non avete idea di quanto questa cosa mi scocci. A me piace scrivere delle cose più disparate; questo appiattirmi su un tema mi intristisce ancora più della forzata impossibilità di uscire.

A questo punto lancio la palla ai miei ventun lettori, o almeno tra quelli di loro che mi conoscono abbastanza. Di che cosa vi piacerebbe che io vi parlassi? Magari mi viene voglia di scrviere qualcosa di diverso :-)

Quarantena e batteria del telefono

Mi è durata tre giorni. Il telefono l’ho anche usato per fare call; ma evidentemente quello che è pesante dal punto di vista del consumo è il display, e qui a casa non mi serve usarlo….

#lascuolaconta

Come avevo raccontato, gli amici di MaddMaths! hanno pubblicato un appello dicendosi pronti a fare il possibile per la didattica a distanza in queste settimane di chiusura delle scuole, ma soprattutto per ricordare che una volta finita l’emergenza bisognerà rimboccarsi le maniche e rivedere il modo con cui la società si rapporta con la scuola. Nel contempo, hanno lanciato il tag #lascuolaconta, invitandoci a descrivere perché e come la scuola ha contato nella nostra vita. Oltre a cercare di fare qualcosa per la prima parte – non aspettatevi grandi cose, spiegare ai liceali è facile ma farlo a bambini e ragazzi molto meno – vi racconto una mia esperienza personale… che non riguarda affatto la matematica.

Io ho frequentato lo scientifico dai salesiani, a Torino Valsalice. Ai tempi i professori erano praticamente tutti preti, chi più bravo e chi meno a insegnare. Voglio però parlare del nostro professore di italiano nel triennio, don Ernesto Bellone. Diciamola tutta: io di letteratura italiana non è che ne sappia così tanto. Per la capacità di scrivere (silenzio, su in loggione!) diciamo che si è affinata in questi quasi vent’anni in cui tengo il blog; non ho mai avuto problemi a buttare giù un testo, ma non è che la sua leggibilità al tempo fosse eccezionale. Però don Bellone mi ha insegnato molto di più. Le sue lezioni generalmente partivano dall’argomento del giorno, ma viravano quasi immediatamente su temi apparentemente diversissimi, dalla storia dell’arte medievale (la materia che insegnava all’università) agli avvenimenti del giorno, per poi tornare a bomba al punto di partenza. La sua idea – e questo l’ho capito solo dopo aver terminato il liceo – era che noi adolescenti dovevamo imparare a non compartimentalizzare lo studio, pensando semplicemente all’interrogazione, bensì comprendere che la conoscenza non è fine a sé stessa ma serve per comprendere anche il mondo.

Ma c’è di più. Ogni tanto usciva con espressioni spiazzanti, contro il pensare comune: me ne ricordo ancora qualcuna. L’abbonamento studenti ai mezzi pubblici non serviva per risparmiare, ma perché i genitori potevano così essere certi che i figli non provassero a viaggiare a scrocco per tenersi i soldi; durante un’emergenza sanitaria in cui si chiedeva di donare sangue commentava che donare sangue è un’ottima cosa, ma che questa richiesta non serviva tanto per l’emergenza quanto per riuscire ad avere scorte in generale. (Poi seguiva con il suo leitmotiv, che tutto questo era “romanticismo”, nella sua scherzosa guerra con don Pederzani che ci insegnava storia e filosofia). Bene. Per me la scuola serve anche a questo: a insegnare a non accettare ciecamente le notizie, ma usare la nostra testa per vedere se forse le cose possono essere diverse da quello che sembrano, pur senza cascare nel complottismo. Matematica me la sarei potuta studiare per conto mio e spesso l’ho fatto, ma la scuola serve anche per formare le persone, al di là del voto nelle verifiche. Ed è per questo che il materiale didattico prodotto in questo periodo è importantissimo, ma non potrà mai supplire del tutto al ruolo della scuola. Ricordiamocelo per quando l’emergenza sarà finita.

Sono finalmente su Wikidata :-)

Come i miei lettori sanno, io sono una persona borderline. No, non nel senso di essere ai limiti del patologico – o almeno non solo così – ma in quello di essere sufficiementemente importante per avere una voce su di me in Wikipedia, in qualità di saggista. Si potrebbe discutere se le recensioni dei miei libri che sono apparse sui grandi quotidiani italiani siano sufficienti o no: ma il fatto stesso che io sia la “voce” di Wikimedia Italia fa sì che sia meglio evitare conflitti di interessi e stare al di fuori dell’enciclopedia. Tanto se qualcuno ha bisogno di avere informazioni su di me le trova lo stesso.

Però esiste anche Wikidata, che è la base dati nata per conservare tutte le informazioni che potranno poi essere usate nei progetti Wikimedia ma non solo. Wikidata non è molto noto, ma la sua importanza è fondamentale. Bene: finalmente c’è un’entry su di me in Wikidata. Non che uno se ne faccia molto, ma volete mettere?