Stranamente, in questi giorni di tragenda per il debito pubblico greco, non ho visto nessuno che parlasse di cosa succede in California, dove il deficit è schizzato alle stelle e Schwarzy non sa cosa fare per arginarlo. Ho fatto molta fatica per trovare questo vecchio post dell’Aspen Institute – sezione italiana, che naturalmente ha un’opinione diametralmente opposta alla mia.
La California ha un deficit pubblico enorme, epperò nessuno si preoccupa più di tanto, a differenza della Grecia. Eppure la California conta negli USA molto più di quanto la Grecia conti nell’Eurozona. Allora? La risposta di Aspenia, che il debito californiano è molto minore di quello greco, non mi convince: il debito pubblico greco è comunque poca roba in Eurolandia. Per come la vedo io, la differenza è che il governo federale USA è appunto un governo e ha delle politiche monetarie, cosa che in Europa non capita certo. E la speculazione fa esattamente quello che faceva con lo SME: sceglie una nazione e comincia a tirare spallate, sapendo che gli altri lasciano fare.
Il punto è che non credo che la Grecia abbandonerà l’Euro: è più probabile che a lasciarlo alla fine siano… i tedeschi, scocciati dal dover sganciare soldi per aiutare gli altri paesi.
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Tempi lunghi
Giovedì scorso, arrivato a casa, mi sono trovato due raccomandate dell’INPS, datate 9 aprile. Apro quella più grande, e scopro che la mia domanda al fondo di previdenza telefonici per il riscatto dei quattro anni di università è stata accolta, e dal 30 giugno avrei potuto iniziare a pagare. Se qualcuno si stesse chiedendo chi me l’ha fatto fare a voler dare una spataffiata di soldi all’INPS, mi affretto ad aggiungere la data in cui ho fatto domanda: il 3 settembre 1988. Ventun anni e mezzo per accettare una domanda non è malaccio, vero?
Il significato pratico è che i soldi che devo versare – calcolati sul mio stipendio alla data di presentazione della domanda – non sono poi tanti: 12300 euro in 60 rate mensili. Per dare un’idea, nel 2009 ho pagato 8000 euro di contributi previdenziali, più quelli che Telecom ha versato per conto suo. Questi soldi fanno poi parte della quota retributiva della mia sperata pensione e non della contributiva, quindi hanno un certo qual peso. D’altra parte, è chiaro che prima di compiere 65 anni io in pensione non ci potrò andare, e probabilmente dovrò aspettare il 67 anni: avendo iniziato a lavorare a 23 anni e mezzo, se nessuno mi licenzierà supererò di botto i 40 anni di contributi anche escludendo questi quattro anni di università. Né con due giovini a carico potrei comunque permettermi il lusso di andarmene in pensione. Mo’ insomma ci devo pensare su.
Ah, la seconda lettera mi avvisava che i dati della prima lettera sono errati, perché il tasso di interesse è sceso rispetto a quanto calcolato. Fare tutto con un’unica raccomandata era evidentemente troppo complicato.
funzionerà?
il casco in bicicletta
Vittorio Sgarbi si lamenta sulle pagine del Giornale: la Legge vuole imporre ai ciclisti l’obbligo di usare il casco e lui, «nato a Ferrara, dove andare in bicicletta è un rito che pertiene alla civiltà della conversazione», non ci sta.
Io non faccio molto testo: pedalo col casco dopo che Anna mi ha ingiunto di farlo per gli allora non ancora nati gemelli, ma ritengo che il casco dovrebbe essere obbligatorio solo per i minorenni, a differenza dei giubbotti riflettenti che dovrebbero essere portati da tutti. Però il ragionamento sgarbiano è (ma chi l’avrebbe mai detto?) completamente fallato. L’ineffabile dice infatti che «un ciclista può essere investito ma non corre i rischi tipici di chi va a motore per il quale, in automobile, è prescritta la cintura di sicurezza e, in motocicletta, è previsto il casco. Un ciclista non si può far male cadendo più di quanto si possa far male chi andando a piedi inciampa», cosa che mi fa pensare che non sia mai andato in bicicletta fuori da Ferrara.
È relativamente vero che se un ciclista cade per conto suo in genere non si fa tanto male più di un pedone che inciampa, anche se a dire il vero io cammino a 6 km/h e pedalo a 25 km/h. C’è però una piccola differenza: un pedone generalmente cammina sui marciapiedi mentre un ciclista pedala per strada. Certo, quando il pedone attraversa la strada è a rischio, ma la probabilità è molto minore. E se un’auto ti prende sotto in bici, è la sua velocità che conta, non la tua.
Ma d’altra parte credo che il vero problema di Sgarbi sia evidenziato da un’altra sua frase: «Il casco per i ciclisti è come il preservativo per la testa» (preceduta dal pippone dove i poveri studenti che vogliano fare sesso sono costretti a usare il preservativo)… Diciamo che il critico d’arte ha mostrato ancora una volta un certo tipo di equipollenza che vale nei suoi riguardi.
La SIAE e l’inno di Mameli
Premetto che per quanto mi riguarda se la SIAE andasse a fuoco arriverei con una tanica di benzina. Detto questo, vorrei aggiungere due parole sul fattaccio la cui onda lunga ieri sera è arrivata anche sui blog: il presidente del Consiglio comunale di Messina, Giuseppe Previti, che ha scritto a Napolitano lamentandosi perché la SIAE esige i diritti per le pubbliche esecuzioni dell’inno di Mameli. Ora nella nostra simpatica nazione non si può mai escludere nulla, e posso anche immaginare che qualche solerte funzionario abbia provato a estorcere un po’ di soldi che servono sempre alle disastrate casse dell’associazione. Però credo che la storia sia molto più burocraticamente semplice; provo così a raccontare un po’ di cose come non le vedrete in giro da molte parti.
Il testo del Canto degli Italiani scritto da Goffredo Mameli (morto nel 1849) e la melodia composta da Michele Novaro (morto nel 1885) sono nel pubblico dominio, dato che «I diritti di utilizzazione economica durano per tutta la vita dellautore e fino a 70 anni dopo la sua morte» e «trascorso tale periodo lopera cade in pubblico dominio». (Tutti i virgolettati sono presi dal sito stesso della SIAE, non mi invento nulla). Un’opera caduta nel pubblico dominio non si fa affatto male, al limite fa male alle casse SIAE: infatti «Lopera caduta in pubblico dominio è liberamente utilizzabile senza autorizzazione e senza dover corrispondere compensi per diritto dautore». Tutto bene, allora? No. La frase seguente nelle FAQ della SIAE è infatti «Ciò purché si tratti dellopera originale e non di una sua elaborazione protetta.»
A questo punto i miei ventun lettori, che sono molto svegli, hanno capito cosa sta succedendo. È evidente che non ci sono registrazioni ufficiali dell’Inno di Mameli ai tempi della Repubblica Romana; quando così si suona l’inno all’inizio di una manifestazione si prende una sua elaborazione (detto in altro modo, un disco o un MP3) e subito l’avvoltoio… ehm, il funzionario SIAE arriva a chiedere la sua libbra di carne. Tutto legalissimo. Ma deve per forza essere così?
La soluzione, dal mio punto di vista, è semplicissima. Sono ragionevolmente certo che la Presidenza della Repubblica ha la possibilità di pagare un’orchestra per una registrazione ufficiale dell’inno, e nel caso voglia anche le parole possa anche pagare un coro; tanto la parte istituzionale è solo la prima strofa che non è così lunga e a volte riesce a essere memorizzata persino da un calciatore. A questo punto il Quirinale prende la registrazione (di cui ha acquistato i diritti economici di elaborazione), rinuncia esplicitamente ai suoi diritti e la lascia a disposizione di tutti i cittadini senza alcuna distinzione. Sarebbe preferibile porla nel pubblico dominio, ma anche solo una cessione a titolo gratuito dei diritti di esecuzione sarebbe sufficiente. Tutti quelli che vogliono eseguire l’inno lo prendono, lo suonano e salutano l’ominio SIAE.
Se io fossi un consigliere della Presidenza della Repubblica andrei anche oltre, e troverei un modo per rendere liberamente disponibile tutto il materiale istituzionale pubblicizzando nel mentre la cosa: ma sono un utopico utopista. Però questo primo passo non è così difficile, e renderebbe (quasi) tutti felici: no?
Aggiornamento: (12:15) Specifico meglio il concetto di “elaborazione protetta”. Le parole dell’inno sono nel pubblico dominio. La melodia dell’inno (quello che si canta, insomma: re – re mi re, si – si do si, e così via) è nel pubblico dominio. Un qualunque arrangiamento del brano, che sia suonare l’inno in versione orchestrale, reggae, heavy come fece Jimi Hendrix con l’inno americano, è una elaborazione. A questo punto l’elaborazione è una cosiddetta “opera derivata” e gode degli stessi diritti dell’opera originale; se io pubblico uno spartito con il mio arrangiamento dell’Inno, posso chiedere i diritti di esecuzione. Questa è la definizione di protetta.
Due cuori e un fornello (libro)
Premessa: conosco la signorina Fiamma – anche se a dire il vero conosco meglio il Convivente – e abito a trecento metri da casa loro. Premessa due: ho saltato a piè pari tutte le ricette. Diciamo che non sono certo il target dei lettori probabili di questo libro (Ilaria Mazzarotta, Due cuori e un fornello, Kowalski 2010, pag. 255, € 13.00, ISBN 978-88-7496-778-0), dove il cibo e la cucina sono non solo il filo conduttore ma il vero e proprio perno intorno al quale tutto il resto gira. Detto questo, lo stile di scrittura della Mazzarotta è davvero piacevole. Non garantisco l’autenticità di tutto quello che ha raccontato, ma l’ha sicuramente scritto bene, ed è venuta voglia persino a me di mettermi a provare alcuni dei suggerimenti – quelli che non richiedono di entrare in cucina e usarla per preparare qualcosa, claro!
P.S.: la foto in terza di copertina è somigliantissima!
io l’avevo detto
Il mese scorso avevo ipotizzato che Google si fosse recuperato i dati della mia ADSL, visto che quando sono nella casa nuova e mi connetto via wifi il suo Google Maps mi dice che sono nella casa vecchia.
Ora leggo dal Register che in Germania si stanno parecchio arrabbiando perché le automobili di Street View hanno scansionato le reti WLAN private registrando i MAC address dei PC.
Va a finire che ci avevo azzeccato davvero!
gioco della domenica: Seekee
Finalmente un giochino facile, che ci riesco a giocare anch’io (al livello più basso, intendiamoci).
In Seekee, da Gameshot, bisogna spostare e attaccare i vari globuli per metterli nei buchi indicati nei vari schemi. Nei due livelli superiori i globuli possono, anzi devono, essere ruotati: lo si fa con un movimento rotatorio del mouse, che dicono essere quello usato nell\ iPhone. Capisco perché non lo sopporto, l’iPhone :-)
(via Passion for Puzzles)