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matematto non praticante

la cattiva reputazione della matematica

[attenzione! la matematica è rischiosa!] In ufficio c’è un firewall per uscire su Internet. Fin qui nulla di strano. Il firewall ha una serie di regole per bloccare siti “pericolosi”: per esempio, immagino che youporn non sia accedibile (ah, ho controllato: è in effetti bloccato, come categoria “pornography” e “minimal risk”).

Bene: il firewall mi ha appena bloccato l’accesso a una pagina del sito Math Munch. Il sito è indicato come “Malicious” e “High Risk”; la regola attiva è “Destinazioni bloccate per cattiva reputazione”. Che diavolo può esserci di così perfido in quel sito? Semplice: si parla di matematica, come potete vedere facilmente da voi (se non siete bloccati da un firewall): il suo titolo è ”
A Weekly Digest of the Mathematical Internet”. Direi che quel messaggio di avviso la dice lunga.

(ah: se vado sulla home page del sito posso tranquillamente leggere tutto il post…)

gli “inconvenienti” del copyright

L’Agenzia delle Entrate ha un sito, l’Osservatorio del Mercato Immobiliare, con delle bellissime mappe, di quelle vettoriali e non raster (il che significa che si possono scalare a piacere, perché edifici e altro non sono delle immagini ma sono calcolati con le coordinate). Questo sito è il fiore all’occhiello dell’Agenzia, tanto che nel 2010 il suo creatore, Sogei, ne tesseva le lodi. Facile, direte voi: quelli lì hanno tutti i dati catastali e li hanno sfruttati per la creazione delle mappe.

Macché. Sogei ha comprato lo stradario Navteq – e fin qui passi, dopo tutto le vie non sono accatastate – e l’ha appiccicato sopra le mappe prodotte dai volontari di OpenStreetMap, l’alternativa libera e costruita dal basso alle mappe di Google, di Virgilio o di Michelin. Come faccio a saperlo? Semplice: Simone Cortesi, vicepresidente di Wikimedia Italia e attivista OSM, si è accorto che quelle mappe contenevano il giardino e lo stagno di casa sua, che lui aveva aggiunto alla mappa per divertirsi. Eh sì, perché nel sito non c’era traccia dell’attribuzione di quelle mappe. Eppure usarle è assolutamente permesso, e non costa nulla: gli unici obblighi sono quelli di indicare da dove sono state prese le mappe e di lasciare i risultati con la stessa licenza. Dopo due mesi di infruttuosi tentativi di contattare l’Agenzia delle Entrate – dovete sapere che nell’Italia Digitale esiste la Posta Elettronica Certificata che è legalmente equivalente alle raccomandate; peccato che a tre mail PEC non è mai giunta risposta – gli amici di OSM hanno preparato un sito di accusa, intitolato “Agenzia Uscite” per una ragione che spiegherò dopo, e hanno iniziato uan campagna di informazione, alla quale ha anche contribuito il vostro affezionato bloggher scrivendo questo comunicato.

Risultato? Sogei è stata costretta a scusarsi ufficialmente, come si può leggere qui. E in effetti ora le mappe riportano anche il copyright OpenStreetMap, secondo la Open Database License. Tutto a posto, dunque? No. Leggetevi quel comunicato. A parte tutta la sbrodolata autopubblicitaria, Sogei «si scusa per l’inconveniente relativo all’uso di OpenStreetMap». Una violazione di copyright loro la chiamano “inconveniente”. Ovvio, no? Se mai qualcuno di voi verrà rinviato a giudizio, può sempre provare a spiegare al giudice che si è solo trattato di un inconveniente.

Ma quello che a me dispiace di più non riguarda Sogei ma l’Agenzia delle Entrate; non per nulla il comunicato di Wikimedia Italia era diretto a loro e non a chi aveva prodotto il software. L’Agenzia ha a disposizione una serie di dati, quelli catastali, che sono pubblici e dovrebbero essere liberamente utilizzabili da chiunque: se questi dati fossero disponibili, OpenStreetMap potrebbe migliorare ancora più la qualità delle proprie mappe, e tra l’altro sarebbe possibile scoprire finalmente la quantità di edifici non accatastati, con un vantaggio anche per l’erario. Lo scopo principale della campagna “Agenzia Uscite” era proprio questo: “usciteci questi dati”, in un italiano sgrammaticato ma sicuramente efficace. Paradossalmente, il successo dal lato Sogei ora bloccherà quest’altro tentativo. Sappiamo tutti che il ministero dell’Economia non lascerà certo la presa su quei dati, e l’unica speranza che abbiamo è un bombardamento mediatico: bombardamento che ora è impossibile (e se qualcuno pensa che la risposta così rapida di Sogei, che è controllata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, sia stata fatta pensando a questo non sarò certo io a smentirlo…)

allagamenti

[un po' d'acqua] Erano dieci anni che non vedevo un allagamento così a Milano. Quando sono uscito per portare i bimbi a scuola, la mia via era bloccata da auto che andavano contromano, perché evidentemente piazzale Istria e via Taormina erano entrambe allagate – e d’altronde questo è piazzale Caserta, a trecento metri da casa. Vabbè, tanto da me era praticamente asciutto: prendo i bimbi e faccio il giro dall’altra parte per sicurezza, sapendo le pozzanghere che potevo trovare sulla strada solita. Vedo che i tram sul 4 non sono i Sirietti ma i vecchi jumbo, e immagino che un qualche deposito ATM abbia avuto dei problemi ma nulla più.

Consegnati i bimbi all’asilo, con i soliti problemi con Jacopo (che già che c’era è riuscito a rompere il suo armadietto… santo ragazzo) inforco la bici. Il percorso normale, più lungo ma meno trafficato, oggi mi sembra da evitare, quindi decido di passare per la pseudo pista ciclabile di viale Marche. Stranamente non mi trovo nessuno che ci si piazza sopra, tranne una che ha pensato bene di bloccare un incrocio: solo che quando arrivo all’angolo con via Lario mi trovo davanti un lago. Vabbè, giro da lì invece che da viale Zara: ma il lago peggiora, tanto che sono costretto a salire sul marciapiede, quasi cascando dalla bici. Supero via Nava e arrivo in viale Stelvio: anzi non ci arrivo, come da foto quassù. Ritorno mestamente indietro, passo da via Paolo Bassi e riprendo via Farini: da lì passo il cavalcavia, costeggio Garibaldi, passo sotto le torri Cesar Pelli (dove un *$%^%& con la Car2Go non rispetta la precedenza e cerca di stendermi) e rientro su viale Tunisia (dove un’auto ha steso uno scooter). Una tranquilla mattinata, insomma.

Commistioni varie

Non ho ben capito come mai ieri sia finita in prima pagina su tutti i quotidiani italiani la storia di Oppido Mamertina e dell'”inchino” della statua della Madonna delle Grazie (non l’Annunziata: quella immagino faccia la processione il 25 marzo) davanti alla casa del (nonno del) boss della ‘ndrangheta, probabilmente uno dei maggiori contributori per la festa. Mi spiego: la cosa curiosa non è tanto l’inchino, e nemmeno il fatto che se ne siano accorti solo ora. Da quello che si legge, i carabinieri avevano infatti avvisato sin dall’inizio del’anno di evitare l’inchino, e l’abbandono plateale della processione era con ogni probabilità previsto. La cosa curiosa è appunto che quest’anno la cosa sia diventata pubblica e non sia rimasta nelle pagine interne.

Quella che purtroppo non è curiosa, prendendo per buono il virgolettato di Repubblica, è la risposta del sindaco. (Sono andato a vedere il sito del comune, ma della risposta non c’è traccia…) Domenico Giannetta si “indigna e colpisce nel suo profilo personale e istituzionale” perché la processione è stata rovinata dall’inconcepibile abbandono della processione da parte dell’Arma, e che lui il corteo – pardon, il Corteo – non l’ha abbandonato “per non creare disagi a tutta la popolazione oppidese”. Chissà quali (e per chi…)sarebbero stati i disagi: se sei in processione per la Madonna, il problema dovrebbe essere al più della Madonna, no?
Il sindaco dichiara poi che è andato a chiedere lumi a uno dei sacerdoti, che gli avrebbe risposto che “la ritualità è prassi consolidata da oltre trent’anni” (si vede che il boss abita lì da un bel po’ di tempo…) La risposta a quanto pare gli è sembrata sufficiente, ed evidentemente nessuno gli aveva segnalato le note che i carabinieri avevano inviato mesi fa, visto che “non gli è dato capire come mai l’episodio ha assunto un significato diverso rispetto ai precedenti”. E dire che la cosa doveva essere nota anche in Curia: leggendo la nota del vescovo si nota un inciso “e a ritentarlo” che mi pare piuttosto eloquente: chissà che succederà ora.

Mah, anche questa è Italia, mi sa.

Tutti per uno

Oggi Il tamburo riparato compie tre anni (tra gli auguri ci trovate anche un mio racconto, per gli amanti del genere). Ma oggi si festeggiano anche i cinquant’anni dell’uscita del primo film dei Beatles, A Hard Day’s Night. Le due cose non sono poi così in contrapposizione, considerato che Juhan ha parlato del film proprio la scorsa settimana.

Visto che nel post di Juhan c’era il link a un video di YouTube col film sottotitolato in italiano, ho provato a darci un’occhiata, almeno per rivedere le scene quando Ringo se ne va; e ho scoperto che i sottotitoli dovevano essere d’epica, per quanto oggi appaiono ridicoli. Rispetto al doppiaggio, i sottotitoli non hanno problemi di sincronizzazione labiale; i guai ci sono solo nel caso di vattute pronunciate molto in fretta. Questo lascia qualche grado di libertà in più al traduttore, che però in questo caso non li ha sfruttati bene. Passi per il ragazzino che dice a Ringo “Sei proprio burbero!”, ed è subito un manuale di conversazione di cinquant’anni fa; ma non ha nessun senso tradurre letteralmente un gioco di parole. Quando gli altri tre si accorgono della scomparsa di Ringo, uno – John? – dice infatti “We now are a limited company”, che nei sottotitoli è diventato “Ora iamo una società per azioni”, lasciando penso perplesso lo spettatore. La cosa buffa è che si poteva far finta di nulla e inventarsi una battuta diversa, chessò “Non siamo una società a responsabilità limitata!” che avrebbe reso comprensibile il perché subito dopo sono andati in cerca dell’amico.

Ma la cosa più divertente è stato vedere che il nonno di Paul, definito “a troublemaker” nell’originale, è diventato “intrigante”. D’accordo, in questo mezzo secolo la parola “intrigante” ha cambiato completamente significato; ma anche al tempo l’aggettivo significava “che ordiva intrighi”… Certo che all’epoca i sottotitoli non erano mica considerati come adesso!

_Cildo Meireles_ (mostra)

La mostra che sta per terminare all’Hangar Bicocca (chiude il 20 luglio) è una personale dell’artista brasiliano Cildo Meireles. Ora, come sapete, l’arte contemporanea ha tutto un suo modo di porsi, che spesso si può commentare con un’unica parola: bah. In questo caso, però, devo riconoscere che ho trovato la mostra divertente. Per esempio Cruzerio do Sul, una delle sue prime opere, non è altro che un cubetto di legno di un centimetro circa di lato lasciato sul pavimento, giusto con un faretto spot che lanciava un fascio di luce più o meno nella posizione. Ho come il sospetto che di quei cubetti ce ne sia qualche dozzina, e quando la sera si scopre che qualcuno ha accidentalmente scalciato via l’opera d’arte essa venga surrettiziamente sostituita da una nuova copia (cosa che tra l’altro è ininfluente: l’opera d’arte concettuale esce infatti dagli angusti confini del materiale con cui è stata prodotta, ed entra in relazione con lo spazio e il fruitore). Meno piacevole Através, dove si cammina letteralmente sui vetri rotti – probabilmente spaccandone a nostra volta qualcuno…, e non mi ha detto nulla Olvido, un tepee realizzato con 6000 banconote di paesi americani e circondato da un muro di 70000 candele di paraffina che racchiudono, oltre al tepee, tre tonnellate di ossa di bue. Diciamo che preferivo il minimalismo, e se proprio bisogna fare le cose in grande allora era meglio Amerikka, con 22000 uova di legno sulle quali camminare (senza scarpe) mentre in alto ci sono 55000 proiettili (svuoltati…) che puntano verso di noi. Ma ci si diverte di nuovo con Abajur, con un panorama che ruota lentamente… perché c’è sotto della gente che fa girare una ruota. Il massimo secondo me sarebbe stato il dover girare noi la ruota perché gli altri vedessero il panorama cangiante: dite che dovrei suggerirlo a Meireles?
Ci sono anche altre opere: mi limito a lamentarmi che per Entrevendo non c’erano più i due pezzetti di ghiaccio da mettere in bocca per sentirli sciogliere dal ventilatore con l’aria calda. Peccato.

superiorità

Io sono ragionevolmente convinto che il Mossad sappia chi sono i coloni ebraici che hanno rapito Mohammad Abu Khdeir, il ragazzo bruciato vivo qualche giorno fa nei territori amministrati dall’ANP. E se non lo sanno, penso proprio che non ci metterebbero troppo a saperlo. Ecco: mi piacerebbe che segnalassero i nomi all’Autorità palestinese. Ma non solo: vorrei che lo facessero pubblicamente, per mezzo del governo israeliano. Perché? Per una ragione banale: rimarcare la superiorità di chi vuole che si seguano le leggi. Anche se quel ragazzo fosse stato un bombarolo, non è che ci si possa fare giustizia da soli e ammazzarlo così: non parliamo poi se rapimento e uccisione fossero stati una pura rappresaglia. Ribadisco: la grandezza di una nazione si vede soprattutto da come sa comportarsi in questi casi.

_The Tokyo Puzzles_ (libro)

0584103573 Mentre stavo facendo shopping di libri matematici usati mi sono trovato davanti questo titolo (Kobon Fujimura, The Tokyo Puzzles, Biddles 1981, pag. 184, ISBN 9780584103571) e ho pensato “vabbè, costa poco, vediamo com’è”. Diciamo che non ho sprecato molti soldi, ma non consiglierei comunque il libro.
Il problema non è naturalmente il fatto che molti dei 98 problemini del libro mi fossero già noti: quella è una cosa che ci si può – o meglio ci si deve – aspettare da un testo come questo. Quello che speravo era trovare un tocco di “giapponesità” nella forma in cui i problemi erano proposti: in fin dei conti la cultura giapponese era sufficientemente diversa da quella occidentale per poter immaginare che Fujimura avesse provato a trasferire le ambientazioni. Invece, a quanto pare, è capitato l’opposto. L’autore aveva infatti tanto apprezzato i problemi “esotici” di Dudeney da volerli portare alla conoscenza dei propri connazionali. Nel testo sono così pochissimi gli accenni al Giappone che si potrebbe credere che l’autore fosse naturalizzato americano… Le uniche curiosità che ho scoperto – ma non dal libro… – sono che il problema del pesce a cui far cambiare direzione è suo, ed esiste la congettura di Kobon sul massimo numero di triangoli non sovrapposti che si possono ottenere con n rette.