Qual è uno dei vantaggi di essersi fatto un nome nel campo della scienza e della cultura? Edoardo Boncinelli non ha dubbi: avere la possibilità di pubblicare quello che a lui piace davvero scrivere: aforismi, che compila da almeno un quarto di secolo. Ecco dunque questo libriccino (Edoardo Boncinelli, L’infinito in breve : inciampi e contrattempi della scienza, Rizzoli 2016, pag. 151, € 16, ISBN 97888817091237), che raccoglie varie massime divise grosso modo in macrotemi. Dal mio personale punto di vista, la sua minima ampiezza è stata un vantaggio, perché non sono proprio riuscito ad apprezzarlo. Ho trovato qualche massima bella e/o interessante, ma sono una rara avis nel mucchio, e spesso non riesco nemmeno capire il significato delle sue frasi, forse troppo profonde per un’anima semplice come me. È possibile che il mio problema sia trovare troppi aforismi tutti insieme, un po’ come avere solo glassa e niente torta, anche se potrei essere in minoranza se Boncinelli ha ragione quando dice che il genere piace molto. Ah sì: di infinito e di scienza ce n’è qualcosa, ma non più di tanto.
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Liebster Award
Come sapete, la mia religione mi vieta di far proseguire catene varie, qualunque sia la loro origine e il loro motivo. Quindi ringrazio Eva (che conosco) e Valeria (che non conosco) che nel loro blog Le parole degli altri mi hanno citato; consiglio vivamente ai miei ventun lettori di leggere il loro blog, ché imparerete tante cose utili; ma la cosa finisce qui…
Winston Churchill e la scienza
Tutti sanno chi fu Winston Churchill: il politico britannico a capo dell’Impero Britannico durante la seconda guerra mondiale (e fatto fuori subito dopo: ah, la democrazia!). Molti sanno che Churchill vinse anche un premio Nobel, non per la pace – sarebbe stato troppo… – ma per la letteratura. Quello che non si sapeva è che Churchill si dilettava anche di scienza. Mario Livio ha scritto su Nature di un breve saggio, 11 pagine, che Churchill scrisse nel 1939 e modificò leggermente nel 1950: “Are We Alone in the Universe?” Nel saggio, mai pubblicato e riscoperto l’anno scorso, Churchill fa varie considerazioni sulla possibilità di vita all’infuori della Terra: il tutto non dal punto di vista della fantascienza, ma secondo basi scientifiche. Livio nota come riprenda modelli scientifici, per esempio la teoria di James Jeans sulla formazione del sistema solare, e dibatta sulla loro plausibilità.
Intendiamoci, non siamo certo a un livello di produzione scientifica vera e propria: potremmo definirlo un volonteroso dilettante. Ma non è questo il punto: in fin dei conti il suo lavoro era un altro. Quello che conta davvero è vedere come Churchill fosse un politico che aveva ben chiaro come funzionava la scienza, e si trovava perfettamente a suo agio con temi scientifici: più o meno quello che per esempio è capitato in Italia durante il Risorgimento e l’Unità, e che adesso pare essere del tutto perso, non solo nel Bel Paese ma anche all’estero. Ripeto: il problema non è la mancanza di scienziati al governo. Il problema è la mancanza di governanti che capiscano di scienza, cosa che è completamente diversa. Una volta ce n’erano, ora no.
Fake referrer
Una volta, quando i blog erano di moda, uno dei modi in cui si estrinsecava l’ego surfing era andare a vedere chi aveva messo un link al nostro sitarello, ed era sempre una gioia scoprire qualcuno che non conoscevamo. Tutto questo è durato poco: gli spammatori si sono subito appropriati del meccanismo, e così man mano i referrer (il nome tecnico di questa funzione) sono spariti alla vista. Ma naturalmente ci sono ancora, e se qualcuno va a vedere le statistiche del proprio sito li può trovare.
Bene: la maggior parte di questi referrer finti sono siti russi, i famosi hacker che vanno sempre in giro a cercare le mail di tutti (tranne di Gentiloni che non le usa). Ma ho notato che c’è una seconda nazione con un numero sproporzionato di siti, ed è l’Ucraina. Sì: sarà anche in guerra non dichiarata con la Russia, ma direi che sotto sotto le due nazioni sono più simili di quanto sembri…
(Non chiedetemi cosa ci sia in questi siti, non sono mica così fesso da andarci)
_La scienza delle serie tv_ (libro)
Le serie tv sono molto mutate nei decenni. Siamo partiti dagli episodi autoconclusi di un tempo, poco più di una serie di sketch su un canovaccio, e ora abbiamo una trama coerente che si dipana da episodio in episodio, sempre che non decidiamo di fare una scorpacciata (il binge watch) e non ci spariamo tutte le puntate di fila. Andrea Gentile ha scelto di unire la passione per le serie tv a quella per la divulgazione scientifica; in questo libro (Andrea Gentile, La scienza delle serie TV, Codice Edizioni 2016, pag. 175, € 18, ISBN 9788875785871) prende dieci serie tv, dal Doctor Who a Dr House, da Battlestar Galactica a The Big Bang Theory, e le usa come base per vedere quante delle cose raccontate sono non dico vere ma plausibili, raccontandoci nel contempo un po’ di aneddoti scientifici e televisivi. Certo, sappiamo tutti che quando guardiamo quegli episodi sospendiamo il nostro pensiero scientifico; il bello di Gentile è proprio partire da queste assunzioni e mostrare quello che si può davvero fare con la scienza, cosa che sarà poco televisiva ma secondo me è davvero interessante e soprattutto non si trova facilmente in giro. Ma non preoccupatevi: ogni capitolo termina con una decina di curiosità legate alla serie tv e non alla scienza, come ciambella di salvataggio dopo il tuffo nel mare magnum della scienza. Menzione particolare per i bei disegni di Marco Romano, che abbelliscono il testo.
disnumerismo
Chi ha assistito a una delle mie presentazioni di Matematica in pausa caffè avrà visto questa vignetta di Dilbert che usavo per rompere il ghiaccio. Ovviamente era una presa in giro: solo un ingegnere avrebbe potuto dare $7.14 per pagare $1.89, avendo calcolato a mente che la differenza sarebbe stata un fiver e un quarter (una banconota da 5$ e una moneta da 25c). Il guaio è che siamo scesi molto più in basso.
Stamattina, prima di entrare in ufficio, mi sono fermato dalla panettiera a comprare tre panini arabi. Sapevo che avrei speso una somma intorno all’euro e trenta, e sapevo anche di avere tante monetine nel borsellino, quindi ho tirato fuori due monete da 50 centesimi e quattro da 20. Il totale era proprio un euro e trenta: mi sono ripreso una moneta da 50 e ho detto “ecco qua”. La panettiera mi ha guardato male e ha contato per due volte le monete, non fidandosi e trovando evidentemente complicato fare 5+2+2+2+2=13 oppure 4×2=8 e 8+5=13. La prossima volta tiro fuori la carta di credito.
Carnevale della matematica #106: GOTO Rudi Matematici
Beh, essendo febbraio il Carnevale della matematica è al solito rude. Questo mese il tema sono i libri, ma come sempre ci si è sbizzarriti a piacere…
D’accordo saper scrivere. Ma…
Col gruppo dei miei amichetti ci siamo messi a discutere su Facebook dell’articolo di Claudio Giunta sul Sole-24 Ore: Saper scrivere è così importante?. Pur nella differenza delle vedute personali – abbiamo formazioni diverse e amiamo litigare anche sulle virgole, pur nel rispetto delle idee altrui – il consenso è stato che Giunta è partito bene, ma poi si è perso per strada.
È vero: purtroppo non sappiamo più scrivere. Sembra paradossale, considerando che credo che almeno nel mondo occidentale non si è mai scritto tanto come adesso, a causa / merito / colpa dei social network; ma la scrittura non è solo mettere nero su bianco un testo, bensì saperlo strutturare, oltre che conoscere le regole di base della grammatica, che non sono campate in aria ma servono come impalcatura del testo. Quando parliamo ci possiamo permettere molte più cose, ma solo perché abbiamo un feedback immediato; un testo resta lì, e racconta su di noi molto più di quanto vorremmo far sapere. Non parliamo poi del fatto che un testo scritto bene può indurre inconsciamente il lettore ad accettare un’idea senza che formalmente gli venga presentata: questa è un’arma letale, se solo la si sa usare (e ce n’è di gente che la sa usare, fidatevi)
Partendo da qui Giunta sceglie però di calcare la mano, uscendo così dal seminato e facendo affermazioni piuttosto azzardate. Primo esempio: «Scrivere direttamente al computer è una cosa tanto normale, per gli studenti di oggi, che far loro osservare che sarebbe meglio scrivere prima su carta, e solo in un secondo tempo passare alla “bella” sullo schermo, suona come una bizzarria.» Perché? Notate che non sta parlando della differenza tra testo a schermo e testo stampato: di quello ne tratto dopo. No. Il suo consiglio è di avere comunque un passaggio sulla carta. Ripeto: perché? Muovere la mano anziché le dita mette in funzione neuroni diversi? La calligrafia richiede di affrettarsi con calma? Irrilevante. Quello che è davvero importante è rileggere, e non sono mai riuscito a vedere la differenza tra sottolineature e frecce da un lato e taglia-e-incolla dall’altro. Magari è colpa mia che al liceo scrivevo i temi direttamente in bella, “ricopiandoli in brutta” in prima e seconda perché il professore mi costringeva a consegnare anche la brutta.
Anche «la distinzione tra, in breve, libro di carta autorevole e testi effimeri da consumarsi su schermo» che sarebbe ormai obliterata non mi pare affatto così inevitabile. Detto tra noi, «accapo, rientri, maiuscole, corsivi» continuano a essere presenti anche su un testo elettronico ben fatto: io mi dedico sempre a verificare gli script CSS che servono appunto a formattare correttamente gli ebook, secondo l’aurea massima “il contenuto sta da una parte, la forma da un’altra”. Quanto alle «formule protocollari ed escatocollari», il problema è diverso. Ci sono testi che devono e vogliono essere strutturati, e questo si può fare sia nel cartaceo che nell’elettronico; ci sono testi che non ne hanno bisogno, e di nuovo possono essere cartacei oppure elettronici. Non riconoscere questa possibilità significa fare di tutta l’erba un fascio e ghettizzare gli stili di scrittura.
Infine – e qui scusate, ma mi sento punto sul vivo – Giunta si lamenta perché oggi si pensa che «saper scrivere decentemente, alla fine, non è così importante. Lo era senz’altro nell’Epoca della Scarsità, quando coloro che avevano accesso alla sfera pubblica erano pochi, e soprattutto quando il sapere tecnico-scientifico era percepito come meno rilevante rispetto a quella infarinatura umanistica che dava accesso alle professioni di prestigio sia nel settore pubblico sia in quello privato, un’infarinatura della quale il saper scrivere non bene, magari, ma “elegante” costituiva una parte non secondaria». (Per onestà intellettuale, alla frase segue una parentesi in cui si lamenta anche di quella infarinatura, che portava all’«atrocissimo bellettrismo italiano». Avete appena visto un esempio di crocianesimo nascosto, apparentemente stemperato da quell'”era percepito” ma che in realtà rimane lì bello saldo. Chi è che dice che nel sapere tecnico-scientifico non si debba scrivere bene? Banalmente, se si scrive male la conoscenza è più difficile da trasmettere. Possiamo e dovremo lamentarci che nei corsi di laurea scientifici non ci sia un esame di Comunicazione efficace: questa sì che sarebbe una battaglia da fare. Ma si direbbe che la guerra è già data per persa, persino dal campo umanista. Allegria.
Aggiornamento: (16 febbraio) Devo ritirare la mia accusa di crocianesimo nascosto nei confronti di Giunta. Leggendo questa sua recensione, riconosco che quello non è il suo pensiero.