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matematto non praticante

Le visite al blog al tempo delle ricerche compulsive

Il mio blog è un dinosauro. Sta su da sedici anni e ho perso da mo’ la voglia di pubblicizzarlo. Inoltro automaticamente i post (completi, tranne i link per colpa di Zuckerberg) su Facebook, il che riduce il numero di visitatori sul sito: poco male, visto che non avendo pubblicità non perdo certo soldi. Restano insomma i soliti amichetti che cliccano più o meno compulsivamente qui: gli accessi giornalieri viaggiano tra i 200 e 300. Però ogni tanto ci sono dei picchi: per esempio lunedì scorso si sono registrati quasi 800 accessi. Per curiosità ho provato a sfrucugliare tra le statistiche per vedere se si capiva cosa fosse successo: cosa resa un po’ più difficile da quando parecchi anni fa Google ha deciso di non inviare le stringhe di ricerca che portano a un sito.

Quello che ho capito è che qualche decina di visite è arrivata da chi guarda i trackback di Wittgenstein (che evidentemente di accessi ne ha ancora tanti :-) ), ma il grosso è arrivato da una ricerca via Google che ha portato a questo post su un codice di emergenza che avevo sentito diffondere all’Ikea l’anno scorso. Il picco precedente – ma credo che quel post abbia un accesso abbastanza costante – era dovuto a un mio pippone di maggio sugli stupri, e anche il post sui funerali nei giorni festivi compare spesso tra i più visitati, come ben sa chi guarda i miei post di statistiche.

Non ne so abbastanza di SEO per capire se un blog prende più punti di un sito web a parità di (non) ottimizzazione, né se Google usa un algoritmo “accumulante” (nel senso che più gente clicca su un post più viene considerato pertinente: la cosa avrebbe senso ma può essere sfruttata per falsare i risultati di ricerca, quindi potrebbe essere disabilitata). Quello che però vedo è che l’idea per cui i blog erano nati, essere cioè un diario, è ormai seppellita; ma soprattutto vedo che non solo le visite ai siti, ma persino le ricerche sono irreggimentate, anche in assenza di notizie importanti (dopo che il terremoto ha distrutto la regione di Oaxaca, è naturale che si vada a cercare informazioni sulla zona; ma un codice di emergenza non appare nelle notizie sui giornali). Non me lo aspettavo.

Aggionamenti a metà

Come gli appassionati di libri sanno, a fine luglio Anobii ha fatto un restyling del sito che è stato pesantemente criticato dagli affezionati fruitori. A parte tutte le parti che non funzionano (a livello backend, soprattutto), il nuovo sito sembra nato per essere visto sul telefonino dal lettore casuale che cerca informazioni sull’ultimo bestseller, dimenticandosi che in questi siti sociali il grosso del lavoro di inserimento informazioni è fatto dai lettori forti che dovrebbero essere coccolati e non tarpati.

Non ci credete? Per esempio, quando inserisco i dati di un libro non ancora presente nella base dati (la schermata è cambiata, ma funziona come quella vecchia), la schermata di ringraziamento ha ancora la vecchia grafica. Evidentemente nessuno degli sviluppatori c’è mai passato :-)

Carnevale della matematica #111: GOTO Proooof

Dopo lo iato estivo, torna alla grande il Carnevale della matematica! Zar indossa i panni del Vero Matematico e dimostra il teorema di fattorizzazione unica, oltre che fornire una quantità di link ai post degli altri matematti in giro… perché il Carnevale dormiva ma gli autori no!

Aggiornamento: Esiste anche la versione 111.5!

l’ottimismo di Microsoft

Tra domenica e lunedì mi è stato installato sul PC il nuoverrimo aggiornamento di Windows. A parte avermi chissà perché tolto Classic Shell :-) e avere fatto grandi casini con le VPN :-(, dopo una mezza giornata di ruminio è ripartito da zero con le opzioni di condivisione dati, tra cui quella sui “relevant ads” (“pubblicità pertinenti”, o come l’hanno tradotto in italiano). Io gli ho gentilmente detto che no, non mi interessa che mi scelga la pubblicità, e il commento è stato “The number of ads you see won’t change, but they may be less relevant to you”.

Posso capire che Microsoft voglia guadagnare con la pubblicità. Però non capisco perché qualcuno dovrebbe avere un incentivo ad avere pubblicità pertinenti, anche ammesso e non concesso che si riuscisse davvero a scremarle dalle altre: chi è che si diverte a guardare le pubblicità? (la buonanima del catalogo Postal Market non conta) Aggiungiamo poi un altro punto. Posso immaginare che Microsoft guadagni un po’ dal numero di visualizzazioni delle pubblicità e un po’ di più dal numero di clic su di esse; questo significa che più le pubblicità sono pertinenti più è probabile che guadagni. A questo punto, se proprio vuole cercare di intortare l’utente, non gli converrebbe dire “Avrai più pubblicità totale (di tipo generico) rispetto a quella con l’opzione con le pubblicità pertinenti”? A questo punto l’utente potrebbe anche essere incentivato a scegliere l’opzione :-)

_Scripta volant_ (libro)

I creativi non possono più essere quelli di un tempo. Il mercato è completamente mutato; gli steccati tra i vari mezzi tecnici per convincere la gente a comprare sono stati buttati a terra non tanto da Internet intesa come nuovo medium, quanto da una commistione di generi e stili dove ogni tanto qualcuno se ne esce con un successo che tutti gli altri cercano di copiare, senza pensare che occorre sempre qualcosa di nuovo, e che questa è una delle poche cose che non sono cambiate. Paolo Iabichino racconta in questo libro (Paolo Iabichino, Scripta volant : Un nuovo alfabeto per scrivere (e leggere) la pubblicità oggi, Codice Edizioni 2017, pag. 153, € 16, ISBN 9788875786960), partendo da ventun termini – uno per lettera dell’alfabeto – come è cambiato il mondo pubblicitario intorno a lui. Non aspettatevi un testo tecnico: ci sono esempi di campagne pubblicitarie, sensazioni varie e soprattutto l’idea che non basta parlare di “social” ma bisogna pensare in maniera completamente diversa, anche se non bidirezionale come in tanti pensano.

“Come ho perso – di Hillary Clinton”

OR Book Going Rouge

Ho scoperto dalla Stanzetta dei Bottoni su Facebook l’esistenza del libro How I Lost By Hillary Clinton, pubblicato dalle edizioni O/R. Occhei, loro stessi si definiscono “Alternative Publishing”, e quindi un lettore dovrebbe già sapere sin dall’inizio quale può essere il loro punto di vista: ma non è di questo che vi voglio parlare.

Tanto per essere ancora più chiari: quando O/R pubblica il libro di Doug Henwood My Turn – Hillary Clinton Targets the Presidency, con una foto in copertina di una Clinton ancora più rugosa che punta contro il lettore una pistola, non trovo nulla di cui lamentarmi. Non so quale sia il contenuto effettivo del libro, ma so che è di un autore che le è ostile e che lo vuole dire al mondo. Ma in questo caso c’è un problema. Se guardate bene la copertina, non c’è un autore. Il “By Hillary Clinton” può far credere che l’autrice sia l’ex Segretaria di Stato, ma non è naturalmente così: l’autore del testo è probabilmente il Joe Lauria che si nasconde dietro l’umile qualifica di “introduttore e annotatore” (la prefazione di Assange è la ciliegina sulla torta, ma di nuovo la cosa è irrilevante).

Posso immaginare che i discorsi pubblici di Clinton in qualità di membro del governo USA, come quelli di tutti gli altri membri del governo, siano nel pubblico dominio. Ma leggendo la presentazione del libro direi che qui si parla delle famose email spedite dall’indirizzo personale (“e le email, allora”), che per definizione sono private perché altrimenti non ci sarebbe stato tutto il problema. Ma il punto non è nemmeno quello: se il libro si fosse intitolato “How Hillary Clinton Lost in Her Own Words, by Joe Lauria” mi sarebbe andato tutto bene. (Oh, se ci fossero contenuti penalmente rilevanti è un loro problema, mica mio). In questo modo però si dà l’impressione che il libro sia stato scritto da Clinton, e almeno in Europa il concetto di proprietà intellettuale dovrebbe essere separato da quello di diritto d’autore. Insomma, tu puoi anche usare i miei testi, ma non puoi metterci la mia firma sotto senza il mio permesso, perché sono io che decido come gestirmeli. In America non funziona così?

le mie basi dati librarie

Io ho tanti libri a casa. Ho anche tanti ebook. Ho poi letto tanti libri presi in prestito in biblioteca. Diciamo che sono un bulimico dell’informazione. Questo significa che ho salvato i dati di lettura e soprattutto le mie recensioni dell’ultimo quindicennio prima su Anobii, poi su Goodreads e infine su LibraryThing. L’idea di per sé sarebbe sensata, a parte il lavoro attuale per copiare tre volte le stesse informazioni, se non fosse che l’esportazione-e-importazione delle basi dati è sempre stata molto subottimale. La ragione è semplice: ho molti libri vecchi senza ISBN per i quali trovare il match è sempre difficile, e ho moltissimi libri in italiano (mavalà) che Anobii di solito gestisce ma gli altri due sistemi no. È vero che posso aggiungerli a manina, ma non è velocissimo. Il risultato è che su Anobii ho 1017 libri, su Goodreads 935 e su LibraryThing 832.

Ieri pomeriggio ho provato a mettere in ordine di ISBN i due file excel dell’esportazione Anobii e Goodreads per vedere se potevo creare un file di differenze e darlo in pasto. Diciamo che fino ai primi 200 libri in inglese la cosa è stata facile, c’erano giusto alcuni libri salvati con ISBN diverso (evidentemente perché non c’era l’edizione giusta). Poi il dramma. Non credo riuscirò mai a finire :-(

Il tempismo del comune di Milano

A giugno il Comune di Milano mi ha scritto (rectius, ha scritto ad Anna che è il capofamiglia) ricordandoci che anche quest’anno bisogna pagare la TARI. Ci ha mandato i bollettini ma ha anche scritto “se volete però potete attivare un SEPA Direct Debt, così non dovete più preoccuparvi”. Che bello, dico io. Compilo il modulo, lo faccio firmare al capofamiglia e lo porto allo sportello bancario di Palazzo Marino che mi rilascia la mia bella ricevuta. Data: 14 giugno 2017.

A inizio agosto Anna mi chiede “ma non doveva essere già passata la prima rata della TARI”? Io rispondo “magari la prendono tutta assieme a settembre. Tanto ho qua il mio bel foglietto, aspetta che apro il file dove l’ho salvato. Non trovo il file. Vado allora a cercare tra le scartoffie, recupero la ricevuta, la scansiono e le dico “Visto? Tuttapposto”. Poi ci penso ancora su un attimo e noto qualcosa che non mi torna. Apro il sito dell’home banking, guardo il mio IBAN, e vedo che non è quello che ho scritto nel modulo. Più precisamente avevo copiato il precedente IBAN del nostro conto, che era stato cambiato nell’ambito dell’ennesima riorganizzazione della banca.

Una cosa simile mi era capitata qualche anno fa: mi ero dimenticato di cambiare IBAN nella domiciliazione dello stipendio, e al secondo cambiamento di codice mi sono trovato un mese senza stipendio sul conto corrente. Sapevo quindi che probabilmente il SEPA sarebbe passato comunque, visto che questo era il penultimo IBAN e non il terz’ultimo. Per sicurezza mi connetto al sito del Comune per chiedere informazioni; chiedo lumi alle 19:06 dell’11 agosto. Non mi aspetto naturalmente una risposta prima di Ferragosto.

Ieri (domenica 10 settembre) alle 12:31 mi arriva un’email in cui mi viene scritto in burocratese puro «in riferimento alla sua richiesta, la informiamo che dovrà comunicare alla sua filiale di inviare una modifica, entro il 10/8/2017, del mandato SEPA attualmente attivo, segnalando il nuovo iban, che verrà rilevato grazie al servizio SEDA.».

Ora io non mi lamento nemmeno più di tanto del fatto che per avere una risposta ci abbiano messo trenta giorni. Mi lamento un (bel) po’ di più del fatto che ci dev’essere qualcosa che non funziona nella spedizione delle email, a meno che un solerte funzionario si trovasse a mezzogiorno di domenica in ufficio. Ma quello di cui mi lamento davvero è che non è possibile rispondere a un messaggio scritto l’11 agosto dicendo che dovevo fare qualcosa entro il 10 agosto. Piuttosto scrivete “essendo passata la data del 10 agosto, non garantiamo sia possibile fare alcunché”, no?

(per i curiosi: stamattina ho controllato, il SEPA è attivo sul mio conto)