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matematto non praticante

legge fascistissima sullo sciopero

(il titolo che ho dato al post è tecnico, vedi la legge 3 aprile 1926)
Come sapete, in Italia l’organo preposto a preparare i disegni di legge è il Governo. Ora che il ministro Sacconi non deve più pensare a come idratare, ha così preparato un disegno di legge che disciplina lo sciopero. Fin qua nulla di male: lo dice anche la Costituzione, che «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.» Andiamo però avanti.
Innanzitutto, che si applichi soltanto al comparto dei trasporti è una chiara bufala; diciamo che quella sarà la testa di ponte, e il passo successivo sarà ampliarne la portata a tutti i settori in cui già oggi la legge prevede una presenza minima garantita. Sì, perché magari voi non lo sapete, ma lo sciopero è già ben regolamentato; la «procedura di “raffreddamento” e conciliazione» che Sacconi ha buttato lì come fosse il deus ex machina ce l’abbiamo da anni, come anche esistono le fasce protette dove i lavoratori dei trasporti devono garantire il servizio. La legge attuale dovrebbe essere la 146/1990, integrata con la 83/2000.
Ci sono poi le cose che nel comunicato governativo non ci sono, ma sono scritte dai giornali: ad esempio, il Corsera afferma che lo sciopero potrà essere proclamato solo da chi rappresenta almeno il 50% dei lavoratori (quindi praticamente da nessuno, vista la penetrazione attuale) oppure previo referendum interno (campa cavallo che l’erba cresce). Anche qua, naturalmente, non è che oggi io potessi svegliarmi e dire “proclamo uno sciopero da tenersi tra due settimane”; ci vuole comunque una certa rappresentatività Fortuna che hanno tolto il paventato obbligo per il lavoratore di annunciare in anticipo se vuole o no scioperare (cosa che stanno cercando di fare da una vita: in occasione degli ultimi scioperi proclamati in Telecom mi sono arrivate richieste da Risorse Umane di dire cosa avrei fatto, richieste a cui ho risposto “ve lo dirò il giorno dopo lo sciopero”.
L’unico punto su cui non sono così contrario a priori è l’istituzione dello sciopero virtuale. Ad esempio quando negli anni ’90 lavoravo in Cselt avrei preferito di gran lunga dire “io vengo a lavorare, l’azienda mi trattiene lo stipendio e aggiunge di suo il doppio. Questi soldi andranno in beneficenza, o in un fondo di solidarietà”. In effetti il nostro sciopero faceva risparmiare soldi all’azienda, visto che tanto la produzione veniva semplicemente spostata un po’ nel tempo. Ben venga una regolamentazione formale di questo tipo, fintantoché è volontaria e sia comunque visibile anche alla gente; personalmente apprezzerei vedere sul bus che prendo un cartello “l’autista è in sciopero virtuale”. Ma mi sa che nella proposta governativa lo sciopero virtuale sarà l’unica cosa concessa, e su questo non ci sto per principio.
La sensazione che ho è che si sta facendo partire la solita campagna mediatica. Si spiegherà con grande dovizia di mezzi che si vogliono fare delle modifiche assolutamente garantiste e introdurre cose che in realtà ci sono già; e si sfrutterà il polverone per eliminare i diritti residui (residuati…)

giochino: come stai a riflessi?

Layos mi ha mandato questo bel giochino flash per misurare i tuoi riflessi. C’è un gregge di pecore, e cinque di esse cercheranno di scappare (molto in fretta…); il tuo scopo è cliccare per fermarle in tempo, stando attento a non fare false partenze che ti penalizzano enormemente (e, aggiungo io, non addormentarti contandole).
Ho fatto giusto un tentativo e sono risultato un “bobbing bobcat’ (lince scattante?) con tempo medio di reazione 0.2664 secondi; la peggior performance è stata con la prima pecora, bloccata in 0.336 secondi; la migliore con la terza in 0.217 secondi. Peccato che quando ero al liceo avevo provato i riflessi ed ero risultato il primo della classe, con 0.17 secondi… invecchio, invecchio :-(

siamo coniugi o marocchini?

A Treviso un uomo ha ammazzato la sua ex-compagna e la loro figlioletta. Dopo qualche giorno la polizia è riuscita ad arrestarlo, e l’uomo ha confessato. Notizia di cronaca nera, ancora più triste visto che ci sono andate di mezzo una bambina e una donna che di quell’uomo aveva avuto fiducia. Ma mi sbaglio: la vera notizia è un’altra.
Si dà infatti il caso che l’omicida sia marocchino. Bene (anzi male): tutti i quotidiani devono rendere nota la cosa nel titolo dei loro articoli e non nel corpo, mostrando che per loro la cosa più importante è quella. Capisco Il Giornale (“Preso il marocchino: ha ucciso la figlia perché non voleva che vivesse in Italia”; che sia morta anche la madre della figlia sarà stato un danno collaterale). Capisco molto di meno Repubblica (“Madre e figlia sgozzate a Treviso. Marocchino confessa: sono stato io”. Nessuna relazione tra il marocchino e la coppia uccisa, si direbbe). Ma l’Oscar della pseudocorrettezza va al Corriere. In prima pagina un titolo neutro (“Sgozzate in casa, confessa l’uomo”: anche qua nulla che faccia capire che è stato un delitto “in casa”); poi si clicca e si legge “Confessa il marocchino che ha sgozzato l’ex compagna e la figlia di due anni”.
Aggiornamento: (12:45) vergogna anche per la Stampa (“Madre e bimba sgozzate,
confessa il marocchino”), che pure in home page era perfetta: “Delitto di Treviso, confessa il padre”.

tutti mi vogliono, tutti mi cercano

In questi giorni mi sono arrivate non una, ma ben due richieste di collaborazione.
La prima è sicuramente stata inviata come circolare a molta gente, come si può vedere da questo thread di FriendFeed. Titolo: “Partecipa al nuovo aggregatore di blog di XXX”; nel testo mi si spiega che XXX è un aggregatore di blog legati al mondo dell’intrattenimento e dello spettacolo. Un metablog tematico che permetterà a breve a tutti gli iscritti di essere facilmente classificabili e raggiungibili, e in cui i blog potranno mirare ad una maggiore visibilità trovandosi finalmente in uno spazio di interessi condivisi e non nei soliti aggregatori generalisti. (Non so se avete presente quanti post io scriva su intrattenimento e spettacolo, e quanta visibilità aggiuntiva avrei per i miei pipponi…)
La seconda richiesta mi è arrivata via il form che ho nel sito, il che significa che chi l’ha scritta ha dovuto fare un po’ di fatica in più (e infatti ho risposto, declinando gentilmente l’offerta). Si tratta di buzz marketing: Nel caso in cui un cliente ci sottoponesse un prodotto affine all'argomento del tuo blog, noi ti contatteremmo per chiederti se il prodotto in questione ti interessi o meno, e in caso affermativo procederemmo col passarti un brief dettagliato. (nella mail era specificato “non in modo aprioristico, elencandone solo gli aspetti positivi”) Non ho idee sulla diffusione di questa richiesta.
Tanto per mettere le cose in chiaro, non ho problemi a dire che se qualche quotidiano o settimanale mi pagasse per tenere una rubrica cartacea lo farei senza alcuna remora. Magari cercherei di chiedere la possibilità di ripubblicazione sul blog, ma se non me la concedessero non piangerei più di tanto. Ma stiamo parlando di un mezzo di comunicazione ben diverso. Nel primo caso, che ci guadagnerei io a confondermi nel magma di un aggregatore? Raddoppierei, triplicherei, quadruplicherei forse i proventi della pubblicità sulle mie pagine? Verrebbe più gente a leggermi? (secondo le statistiche, quattro quinti degli accessi al blog non sono “visitatori ricorrenti”, il che significa che mi si trova facilmente lo stesso). Peggio ancora, per quanto mi riguarda, il secondo caso. Ci ho perso un quarto di secolo a costruirmi una reputazione (nel senso tecnico del termine); penserete mica che me la rovini per un piatto di lenticchie o trenta denari? E soprattutto credete davvero che qualcuno potrebbe pagarmi per scrivere quello che scrivo? :-)

Nannucci chiude

NOTA: (febbraio 2010) quello che ha chiuso è il negozio fisico bolognese: il sito online continua tranquillamente a funzionare, come si può leggere qui.
(sì, ci sarebbero pipponi molto più seri da fare, ma per fare un pippone mi ci vuole un po’ più di tempo che al momento non ho)
Leggo che ad aprile Nannucci chiuderà definitivamente. Il negozio di dischi bolognese è forse stato il primo che si era lanciato nella vendita per corrispondenza e nell’importazione dagli States di dischi. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 mi sono fatto una collezione di rumenta in CD che non sarei certo riuscito a trovare in giro.
Non so se la chiusura dipenda davvero dal fatto che tutti scaricano musica aggratis in rete. Forse è più vicino al vero dire che chi compra roba online adesso ha a disposizione strumenti che funzionano meglio; a parte i portaloni ibs e amazon, mi viene ad esempio in mente play.com. Certo però che il mondo cambia davvero in fretta, e quanto era all’avanguardia vent’anni fa oggi è inesorabimente sorpassato. Qualcuno si ricorda ancora di Andromeda Bookshop?
(ps: guardando il sito, ho visto che hanno anche un dominio “angolodelpiacere.it” rigorosamente v.m.18: chissà se quello resisterà…

l’evoluzione dell’inglese

Con congruo anticipo rispetto alle pagine culturali degl’italici quotidiani, mi pregio di segnalarvi la notizia inutile odierna, nientemeno che dal sito della BBC. Mark Pagel, “biologo evolutivo” dell’università di Reading (occhei, questo significa che ci sono anche biologi creazionisti e biologi intelligento-progettuali?) ha stilato un elenco di 200 parole inglesi e preparato un modello che dovrebbe affermare come le parole in questione si sono evolute in questi millenni e quali saranno le prime a morire. La parola più antica sarebbe “I” (“io”, insomma): cose da non credere.
Credo però che la spiegazione migliore di quello che fanno si trovi sul loro sito:
«We are working on methods for inferring phylogenetic trees of languages and using those trees to measure rates of word evolution over time. In collaboration with Russell Gray at the University of Auckland, we are applying these methods to Indo-European, Bantu, Austronesian, Mayan and Uto-Aztecan languages.» e soprattutto «Our studies of cultural evolution investigate the idea that human cultures behave as if they were distinct biological species», che non riesco a capire se significa “se la cultura A ha un concetto X, la cultura B non potrà mai avere il concetto X”, oppure “se la cultura A chiama X il concetto che la cultura B chiama Y, non succederà mai che la cultura B si metta a chiamare X quel concetto”. Pensieri profondi, no?
Aggiornamento: (27 febbraio) visto, che a far parte del selezionato gruppo dei miei lettori avete avuto l’anteprima?

Philip José Farmer

Se come me avete iniziato a leggere fantascienza con gli Urania anni ’70, magari il nome di Farmer non vi dice nulla, visto che la premiata ditta F&L se ne stava ben alla larga da uno scrittore che osava lordare la purezza della SF con sporche storie di sesso. E per di più, sesso tra umani e alieni, come in The Lovers, quando il massimo di cui si poteva parlare al tempo erano fanciulle discinte, pronte a cadere ai piedi dell’eroe (meglio se ingegnere), ma lasciando tutto all’eventuale immaginazione del lettore un po’ come nel teatro greco. Chi invece leggeva la concorrenza (le collane Cosmo Oro e Cosmo Argento dell’Editrice Nord) veniva a sapere Farmer era il miglior scrittore del secolo, e che si era fortunati a poterlo leggere da loro nonostante la censura strisciante italica…
A mio parere, quei giudizi sullo scrittore morto ieri sono parziali, e non permettono di conoscerlo davvero. Se uno è interessato all’erotismo interplanetario, tanto per dire, non è certo Farmer che deve leggersi: per lui il sesso era semplicemente una parte delle storie che raccontava. Ma il suo vero talento era nella creazione di affreschi dalle dimensioni incredibili, come quello dei Fabbricanti di Universi e soprattutto del Mondo del Fiume, dove entra dentro davvero di tutto; e nel caleidoscopio di citazioni letterarie, religiose e autoreferenziali che rendono la lettura una goduria per gli appassionati del genere (e non preoccupatevi se vi siete persi qualche personaggio secondario: a volte era proprio Farmer che se ne dimenticava…)

Gli spammatori lottano ancora insieme a noi!

Ieri casualmente mi sono arrivate due segnalazioni di spammatori italiani.
Il primo messaggio, speditomi da booksworm, è abbastanza standard: l’azienda XXX
“si occupa di Email Marketing dal 2001. Da poco abbiamo allestito un reparto dedicato alla vendita di indirizzi email di aziende e privati che abbiamo raccolto in questi 8 anni di attività.”
Per darvi un’idea, gli amici ci spiegano che “Possiamo fornirvi di (sic) 15.000.000 di email aziendali e privati per promuovere i vostri prodotti o servizi; Pacchetti da 500.000 email al costo di 120 euro”.
Se prendiamo per buoni i dati della ricerca di cui scrissi qualche mese fa (0,1 successi per milione) è chiaro che solo un imbecille comprerebbe uno di questi pacchetti. Ma d’altra parte solo un imbecille comprerebbe servizi da uno spammatore. Il guaio è che questo messaggio è arrivato a una casella istituzionale di un’università… non si sa mai cosa potrebbe capitare.
Il secondo messaggio è stato inoltrato da un amico in una lista di vecchi internettari.
“Oggi č nata la nuova versione di YYY, che ti consente di gestire le tue newsletter e di avere sempre *smtp* funzionanti e non inseriti nelle liste nere antispam. Si, hai capito bene, il software carica in automatico i server smtp, non ti dovrai piĂą preoccupare di cercarli, ci pensiamo noi. […] Ricevi questa newsletter perchč sei iscritto al network di ZZZ”
Inutile dire che il mio amico non è affatto iscritto al network in questione, ma non è questo il punto. Il tipo che gli ha spedito quella mail (il più noto spammatore italiano) non ha nessun problema a dire che fa un programma che cerchi apposta server di posta funzionanti… un po’ come quelli che ti vendono del software con i controlli della validità della copia disabilitati per “semplificare l’installazione”. Immagino, visto come sono arrivate le lettere accentate, che quel messaggio è arrivato da una nazione che non usa il nostro charset ISO-8859-1 ma uno slavo… oppure uno turco, se il tipo continua a lavorare con i suoi amichetti.
Sarà una coincidenza, oppure anche gli spammatori risentono della crisi e devono cercare nuovi mercati?
(ah, nel caso vi chiedeste perché non ho messo i nomi: non è per privacy, ma perché è abbastanza logico che gli amici spammatori facciano ricerche sul nome del loro “prodotto”)