Archivi annuali: 2017

disnumerismo

Chi ha assistito a una delle mie presentazioni di Matematica in pausa caffè avrà visto questa vignetta di Dilbert che usavo per rompere il ghiaccio. Ovviamente era una presa in giro: solo un ingegnere avrebbe potuto dare $7.14 per pagare $1.89, avendo calcolato a mente che la differenza sarebbe stata un fiver e un quarter (una banconota da 5$ e una moneta da 25c). Il guaio è che siamo scesi molto più in basso.

Stamattina, prima di entrare in ufficio, mi sono fermato dalla panettiera a comprare tre panini arabi. Sapevo che avrei speso una somma intorno all’euro e trenta, e sapevo anche di avere tante monetine nel borsellino, quindi ho tirato fuori due monete da 50 centesimi e quattro da 20. Il totale era proprio un euro e trenta: mi sono ripreso una moneta da 50 e ho detto “ecco qua”. La panettiera mi ha guardato male e ha contato per due volte le monete, non fidandosi e trovando evidentemente complicato fare 5+2+2+2+2=13 oppure 4×2=8 e 8+5=13. La prossima volta tiro fuori la carta di credito.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-14 15:50

D’accordo saper scrivere. Ma…

Col gruppo dei miei amichetti ci siamo messi a discutere su Facebook dell’articolo di Claudio Giunta sul Sole-24 Ore: Saper scrivere è così importante?. Pur nella differenza delle vedute personali – abbiamo formazioni diverse e amiamo litigare anche sulle virgole, pur nel rispetto delle idee altrui – il consenso è stato che Giunta è partito bene, ma poi si è perso per strada.

È vero: purtroppo non sappiamo più scrivere. Sembra paradossale, considerando che credo che almeno nel mondo occidentale non si è mai scritto tanto come adesso, a causa / merito / colpa dei social network; ma la scrittura non è solo mettere nero su bianco un testo, bensì saperlo strutturare, oltre che conoscere le regole di base della grammatica, che non sono campate in aria ma servono come impalcatura del testo. Quando parliamo ci possiamo permettere molte più cose, ma solo perché abbiamo un feedback immediato; un testo resta lì, e racconta su di noi molto più di quanto vorremmo far sapere. Non parliamo poi del fatto che un testo scritto bene può indurre inconsciamente il lettore ad accettare un’idea senza che formalmente gli venga presentata: questa è un’arma letale, se solo la si sa usare (e ce n’è di gente che la sa usare, fidatevi)

Partendo da qui Giunta sceglie però di calcare la mano, uscendo così dal seminato e facendo affermazioni piuttosto azzardate. Primo esempio: «Scrivere direttamente al computer è una cosa tanto normale, per gli studenti di oggi, che far loro osservare che sarebbe meglio scrivere prima su carta, e solo in un secondo tempo passare alla “bella” sullo schermo, suona come una bizzarria.» Perché? Notate che non sta parlando della differenza tra testo a schermo e testo stampato: di quello ne tratto dopo. No. Il suo consiglio è di avere comunque un passaggio sulla carta. Ripeto: perché? Muovere la mano anziché le dita mette in funzione neuroni diversi? La calligrafia richiede di affrettarsi con calma? Irrilevante. Quello che è davvero importante è rileggere, e non sono mai riuscito a vedere la differenza tra sottolineature e frecce da un lato e taglia-e-incolla dall’altro. Magari è colpa mia che al liceo scrivevo i temi direttamente in bella, “ricopiandoli in brutta” in prima e seconda perché il professore mi costringeva a consegnare anche la brutta.

Anche «la distinzione tra, in breve, libro di carta autorevole e testi effimeri da consumarsi su schermo» che sarebbe ormai obliterata non mi pare affatto così inevitabile. Detto tra noi, «accapo, rientri, maiuscole, corsivi» continuano a essere presenti anche su un testo elettronico ben fatto: io mi dedico sempre a verificare gli script CSS che servono appunto a formattare correttamente gli ebook, secondo l’aurea massima “il contenuto sta da una parte, la forma da un’altra”. Quanto alle «formule protocollari ed escatocollari», il problema è diverso. Ci sono testi che devono e vogliono essere strutturati, e questo si può fare sia nel cartaceo che nell’elettronico; ci sono testi che non ne hanno bisogno, e di nuovo possono essere cartacei oppure elettronici. Non riconoscere questa possibilità significa fare di tutta l’erba un fascio e ghettizzare gli stili di scrittura.

Infine – e qui scusate, ma mi sento punto sul vivo – Giunta si lamenta perché oggi si pensa che «saper scrivere decentemente, alla fine, non è così importante. Lo era senz’altro nell’Epoca della Scarsità, quando coloro che avevano accesso alla sfera pubblica erano pochi, e soprattutto quando il sapere tecnico-scientifico era percepito come meno rilevante rispetto a quella infarinatura umanistica che dava accesso alle professioni di prestigio sia nel settore pubblico sia in quello privato, un’infarinatura della quale il saper scrivere non bene, magari, ma “elegante” costituiva una parte non secondaria». (Per onestà intellettuale, alla frase segue una parentesi in cui si lamenta anche di quella infarinatura, che portava all’«atrocissimo bellettrismo italiano». Avete appena visto un esempio di crocianesimo nascosto, apparentemente stemperato da quell'”era percepito” ma che in realtà rimane lì bello saldo. Chi è che dice che nel sapere tecnico-scientifico non si debba scrivere bene? Banalmente, se si scrive male la conoscenza è più difficile da trasmettere. Possiamo e dovremo lamentarci che nei corsi di laurea scientifici non ci sia un esame di Comunicazione efficace: questa sì che sarebbe una battaglia da fare. Ma si direbbe che la guerra è già data per persa, persino dal campo umanista. Allegria.

Aggiornamento: (16 febbraio) Devo ritirare la mia accusa di crocianesimo nascosto nei confronti di Giunta. Leggendo questa sua recensione, riconosco che quello non è il suo pensiero.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-16 21:35

Feccia

Non mi ero messo a commentare gli scontri di Bologna, anche se mi ero fatto un’idea. Poi ho visto questo post del “Collettivo Autonomo Universitario Bologna” e non ce l’ho più fatta a restare zitto.

Come ha chiosato il mio amico Massimo Manca, “Metodo Calabresi”. Anzi peggio di quello, perché il Collettivo Autonomo Universitario Bologna si guarda bene da usare nomi e cognomi. Bella fotona segnaletica perché non ci si sbagli e caterve di insulti perché la signorina «fa parte della segreteria regionale del Partito Democratico, nel ruolo di, guarda un po!, responsabile alla legalità!» e quindi non ha alcun diritto a parlare, mentre loro, che evidentemente sono lì a fare l’università a Bologna da decenni, hanno ormai usucapionato il diritto di bivacco.

I tornelli in una biblioteca sono una brutta cosa, la Celere dentro è una cosa ancora più brutta: ma in certi casi bisogna scegliere il male minore.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-13 11:11

L’autocomplete è diventato illegale

Scopro da Raimondo Bruschi che l’ineffabile Garante della Privacy ha ingiunto a Google «di rimuovere, nell’ambito della funzione di completamento automatico gestita dalla medesima (cosiddetto autocomplete), l’associazione tra il nome dell’interessato ed il termine “minacce”.» L’interessato è un manager dell’azienda Apcoa (che gestisce parcheggi in Liguria); era stata aperta un’inchiesta poi archiviata perché un avvocato ipotizzava che il modo di pagamento potesse essere considerato usura, e di “minacce di matrice anarchica”. La cosa – si fa per dire – divertente è che il garante ha respinto la richiesta di rimozione (anche se il quotidiano, immagino il Secolo XIX, l’aveva fatto per conto suo: la vicenda presumo comunque sia questa), ma appunto ha vietato l’autocompletamento.

Ora, in un mondo ideale io mi aspetterei che l’autocomplete ci fosse ma portasse alla notizia dell’archiviazione dell’inchiesta, che è la cosa più importante. Invece a quanto pare più che di diritto all’oblio stiamo arrivando al dovere di tacere: un modo per azzittire automaticamente il gossip. Non so voi, ma a me la cosa pare davvero preoccupante.

(ah, se qualcuno avesse bisogno di un reverse benchmark, ho trovato questo link…)

Del dove rifulge l’abilità di Mentana

Enrico Mentana è ben noto per le risposte sferzanti che dà ai suoi commentatori su Facebook, tanto che esiste una fan page “Enrico Mentana blasta lagggente” (o forse ce n’è più di una, non sono andato a verificare). La sua abilità è davvero notevole, e lo si è visto anche in occasione di Sanremo e Tim.

Premessa: considerando che scioperi, cortei, presidii e manifestazioni varie di noi dipendenti Tim “stranamente” non ricevono alcuna copertura mediatica, alcune centinaia di lavoratori sono andati a Sanremo in occasione del festival sponsorizzato Tim e sono riusciti a leggere in sala stampa un comunicato sulla nostra situazione, ottenendo finalmente qualche trafiletto sui giornali cartacei. (Ho notato come le versioni online hanno preferito pubblicare il video della protesta: ho il sospetto che la cosa c’entri molto con il “qui e ora” e il desiderio di dimenticare la faccenda il prima possibile, ma magari sono solo io che sono prevenuto contro i video). Bene, allo status che Mentana ha scritto su Sanremo, una mia collega ha commentato così: «Sarebbe interessante anche parlare del rovescio della medaglia, ovvero di quello che sta accadendo ai lavoratori TIM, che ieri hanno manifestato davanti all’Ariston e in sala stampa, spiegando come questo festival sia stato pagato con i loro soldi». Ecco la risposta di Mentana:

Per parlarne seriamente: capisco perfettamente le ragioni di chi è impegnato in una vertenza difficile dopo molti anni di orari di solidarietà in un’azienda che poi destina tutti quei soldi al festival. Ma se ci leggesse immagino che Telecom risponderebbe che entrambe le cose vanno nella stessa direzione della competitività. Quel che mi parrebbe giusto è uno spazio dedicato alla vostra causa sugli schermi pubblici, vista l’enorme esposizione data alla “controparte”. Chiederlo al mio tg sarebbe una beffa, visto che a Sanremo (come alle altre manifestazioni “nazionalpopolari” di questo tipo, compresa miss Italia che è trasmessa da La7) non abbiamo dedicato alcuno spazio

Analizziamo rapidamente il testo. Mentana piazza subito la botta, facendo notare una banalità: i soldi per sponsorizzare un evento come il Festival non sono quelli tolti ai dipendenti, ma sono investimenti per presentare le novità dell’azienda e cercare di incrementare i ricavi. (Notate la differenza per esempio con i bonus promessi a questa dirigenza sulla base di puri risultati numerici e senza valutare come questi numeri sono stati ottenuti). A questo punto si tira tranquillamente fuori, perché è vero che dice che la vertenza Tim dovrebbe ricevere spazio sugli schermi (“pubblici”…), ma non da lui perché lui non parla di Sanremo. Visto? La protesta è indipendente dalla sponsorizzazione di Sanremo, ma visto che lui non parla di Sanremo allora non può parlare nemmeno della protesta. Logica alternativa. Il tutto confezionato in modo che lui sembri assolutamente imparziale, e intanto gli odiatori di Tim possano lanciarsi a controcommentare (nota: su mere basi statistiche mi aspetto che coloro che abbiano avuto problemi con Tim, soprattutto sulla parte fissa, siano molto più degli altri). Come non ammirare una capacità dialettica simile?

P.S.: prima di ricevere una serie di insulti, aggiungo che lo slogan “Sanremo? Lo si fa coi nostri soldi” andava benissimo nel contesto di uno striscione in una manifestazione, e naturalmente la manifestazione in sé è stata un’idea favolosa, l’unico modo che avevamo a disposizione per tentare di farci notare. Quello che faccio notare è che usarlo poi a freddo porta a risultati che sono l’opposto di quanto abbiamo bisogno. Esprit de l’escalier? Probabilmente sì: ammetto di non essere uno dalla risposta pronta. Ma è proprio per questo che io starei molto a scrivere sulla bacheca di uno bravo come Mentana.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-12 18:48