Archivi annuali: 2008

impronta tu, ch’impront’anch’io

Leggendo i commenti di questo post di Leonardo, scopro che mentre nella vecchia carta d’identità cartacea l'”impronta del dito indice” veniva fatta apporre solo ai pregiudicati – non che ne vedessi l’utilità, ma vabbè – nella nuova carta d’identità elettronica viene presa e scansionata a tutti. Qualche rapido commento:
– già c’è meno spazio “viisuale”, visto che la nuova carta d’identità è più piccina. Non sarebbe bastato salvare una copia digitalizzata nel chip, se proprio si ritiene di avere bisogno di averla? Che poi veniva anche un bel gioco di parole con l’impronta digitale in formato digitale :-)
– come mai nessuno ne aveva ancora parlato? È vero che tanto sono in pochi ad avere la carta d’identità elettronica, e visto che il MINIstro Brunetta ha prolungato per decreto la validità a dieci anni invece che cinque il problema non si pone per un po’; ma è sempre un’ulteriore schedatura
– ma poi serve davvero catalogarci tutti così? Ho grandi dubbi sul fatto che queste restrizioni che ci vendono come “per la nostra sicurezza” portino a vantaggi. Pensate solo al divieto di portare liquidi in aereo (come la maggior parte dei divieti relativi ai voli aerei, del resto).
– Per quanto riguarda le uniche impronte che sembrano attualmente degne di nota, una volta che hai quelle di un bimbo Rom che te ne fai? Controlli se le avevi già prese prima? sai a chi darlo se due coppie di genitori se lo contendono? La prima volta che lo becchi a compiere un reato non lo metti in riformatorio, ma la seconda sì?
Se non lo si fosse capito, sono della scuola che dice di stare molto attenti quando ti parlano di “sicurezza”, perché in genere non intendono la sicurezza tua ma la loro. Solo che mi sa di essere in minoranza estrema.

Ultimo aggiornamento: 2008-07-03 14:05

cos’è l’umorismo?

Questa notiziola è piuttosto inutile, anzi è ancora più inutile di quelle che scrivo di solito. Però è una cosa che stamattina mi ronzava in testa, e magari qualcuno può dare il suo punto di vista.
Tutto nasce dalla vignetta di oggi del fumetto Mutts. Se non conoscete Mutts, la vignetta non vi dirà assolutamente nulla, se non magari un sorrisino a vedere un gattino e un cagnolino ordinare un gelato, mentre io (ma anche Anna l’ha apprezzata tantissimo) mi sono messo a sghignazzare da solo come un cretino.
La risata è nata da due fatti. Il primo è che il “little pink sock” è un’entità ricorrente nel fumetto: un calzino rosa (appunto) che il gatto Mooch ama alla follia e con cui gioca sempre. Abbiamo quindi la “running gag”: in genere, quando si parla di pink sock, un affezionato lettore è già indotto al sorriso. Se si vuole, però, questo è un po’ barare, cercare la battuta scontata. In questo esempio, però, c’è sicuramente qualcosa di diverso: lo slittamento del significato. È vero che la gelateria raffigurata ha tanti gusti e quindi si può chiedere qualcosa di non standard, ma il passaggio del little pink sock dall’essere un calzino al diventare il gusto di un gelato è uno spiazzamento che almeno per uno come me è assolutamente umoristico: vedo insomma qualcosa dove non mi aspetterei affatto di vederlo.
Credo che il famigerato “umorismo matematico”, quello che nessuna persona non-matematica possa capire, sia fondamentalmente legato allo slittamento di significato, anche se a volte noi sorridiamo perché gli altri sghignazzano nelle barzellette “un ingegnere, un fisico e un matematico…” (esiste anche una metabarzelletta al riguardo, ma non me la ricordo bene quindi non la scrivo). Sarà limitativo, ma sempre meglio del cazzoculofigatette che in genere indica un qualche problema del (generalmente sguaiato) ridente con le parti del corpo proprie e altrui.
Se siete arrivati fino a qua, avete anche voglia di raccontare cos’è che a voi fa ridere?

Ultimo aggiornamento: 2008-07-03 10:41

impegni mondani

Domani sera sarò a Bologna a salutare il buon Doug Hofstadter, che come tutti gli anni fa un periodo europeo e ne approfitta per salutare gli amici (e lasciare i figli con gli amici dei figli). L’unica fregatura è che visti gli orari dei treni sono costretto ad andare in macchina, con la mia voglia di guidare che mi salta addosso.
Venerdì invece dovrei essere a manifestare sotto Telecom, in occasione dello sciopero.
Il tutto mentre l’imbianchino ci rifà la camera, visto che finalmente sono riusciti a riparare la perdita dal terrazzino del piano di sopra (e con tutta la pioggia che è caduta a maggio ne siamo ragionevolmente certi!)
Non faccio previsioni più a lungo termine, se non che vorrei tanto dormire :-)

Ultimo aggiornamento: 2008-07-02 17:44

numeri negativi

[-100 euro] In questi giorni di inizio estate, tra i tanti cartelloni seipertre che colorano simpaticamente le nostre vie c’è anche la pubblicità di Vodafone che mostra un telefonino e ci dice che se passiamo a loro possiamo avere il telefonino a -100 euro.
Se io leggo “un telefonino a -100 euro” immagino che io prendo quel telefonino e mi danno ancora cento euro, esattamente come se vedo scritto “un telefonino a 100 euro” significa che se io prendo il telefonino devo dare a loro 100 euro. Non ho nessun problema a immaginare che i cento euro non sono in contanti ma in sconti sul traffico futuro, giusto per mettere le cose in chiaro: però il senso è quello.
Invece, come si può leggere in piccolo nei tabelloni pubblicitari e con un font umano qui, quello che in realtà ti danno è uno sconto di 100 euro, 50 in contanti e 50 in ricarica. Dite quello che volete, ma dal mio punto di vista è come minimo una pubblicità ingannevole. Che sia voluta o no dal marketing Vodafone non lo so; io guardo solo il risultato finale. Se non siete d’accordo con me, provate ad andare a comprare un congelatore che promette -18 gradi, e poi scoprire che i 18 gradi sono quelli in meno rispetto alla temperatura ambiente: poi ne parliamo. La frase corretta è “a cento euro in meno”, o “con cento euro di sconto”.
Detto tutto questo, la cosa per me più triste – e il motivo per cui questo post è nella categoria “povera matematica” – è che non sembra essersene accorto nessuno.

Ultimo aggiornamento: 2008-07-02 14:44

Il paradosso di Berry

Uno, due, tre, quattro… mille… un milione… un miliardo… un fantastiliardo… Beh, che numero sia esattamente un fantastiliardo non è così certo, o perlomeno non saprei citare il numero esatto di Topolino in cui è stato definito formalmente. Sono capaci ad averlo fatto, sì. Però direi che siamo tutti d’accordo che ai numeri si può dare un nome, e che noi siamo abbastanza fortunati da poter dare un nome – in italiano, in inglese, in klingon o nella vostra lingua preferita – a ogni numero. No, ricominciamo da capo. Sicuramente possiamo dare un nome a ogni numero intero (o frazionario, o irrazionale algebrico). Dopo Cantor sappiamo infatti che i numeri reali sono “più infiniti” delle parole che abbiamo a disposizione; quindi se volessimo dare un nome a tutti i numeri reali, e non solo a pi greco o alla radice di due, siamo fregati in partenza: anzi, la percentuale di numeri a cui possiamo dare un nome è virtualmente nulla rispetto al totale. Ma questa è un’altra storia.
Limitiamo pertanto il nostro scopo e torniamo ai numeri interi, dove insomma si direbbe che siamo a posto. Qualunque numero finito uno scriva, lo possiamo leggere, sgolandoci al più con una sfilza di “miliardi di miliardi di miliardi”, o al limite risparmiando un po’ di voce sfruttando la norma CEE/CEEA/CE n.55 del 21/11/1994 che definisce che andando di mille in mille si hanno migliaia, milioni, miliardi, bilioni, biliardi, trilioni; poi si sono fermati, lasciando a Wikipedia l’onore di arrivare ai quadriliardi. Lo strano è che la norma CEE specifica le unità di misura tra le pieghe di una legge sul trasporto di merci pericolose: ma in effetti, anche solo sui numeri interi di cose strane ne abbiamo lo stesso!
Piccola digressione. Un’altra cosa che abbiamo imparato fin da bambini è che dato un numero possiamo sempre trovarne un altro dicendo “più uno!”, come si ricorderà chi giocava a dire il numero più grande. L’osservazione è meno stupida di quanto si pensi, come vedremo. Detto in altro modo, un numero lo si può chiamare in tanti modi: ad esempio, “cento” è anche “novantanove più uno”, oppure “dieci per dieci”, o ancora “il numero di quadratini del quadrato costruito sull’ipotenusa di un triangolo rettangolo i cui cateti hanno lunghezza rispettivamente sei e otto”. Quanti modi abbiamo a disposizione per definire un numero? Non lo so. Probabilmente infiniti, ma in realtà la cosa non è che ci importi più di tanto. Quello che importa è per ogni numero abbiamo (almeno) una rappresentazione “economica”, che cioè usa il numero minimo possibile di sillabe. A vedere gli esempi qui sopra non si capisce l’utilità di introdurre questi altri modi di chiamare un numero, ma ad esempio novecentonovantanovemila novecentonovantanove (venti sillabe) può essere espresso come “un milione meno uno” (otto sillabe: un bel risparmio!) Possiamo così decidere di chiamare ciascun numero con l’espressione che richede il minor numero possibile di sillabe: un’ottima idea, se abbiamo bisogno di risparmiare spazio.
A questo punto entra in gioco il signor G. G. Berry, che non era esattamente l’ultimo arrivato dato che era bibliotecario alla Bodleiana, una delle più importanti se non la più importante biblioteca di Oxford. Il signor Berry, poco più di cent’anni fa (era il 1904), ebbe l’idea di pensare a un numero che in fin dei conti un suo minimo interesse ce l’aveva: “il più piccolo numero che non si può esprimere con meno di trenta sillabe”. Si sa che i bibliotecari, quando si tratta di definire qualcosa, sono sicuramente bravi, no? Per amor di precisione, il testo originale inglese parla di “the least integer not nameable in fewer than nineteen syllables” (che in inglese dovrebbe essere 111.777, dice wikipedia); e sempre wikipedia afferma che in realtà Berry parlava semplicemente del più piccolo numero ordinale non definibile. (I numeri ordinali sono quelli che usiamo per contare “uno, due, tre…”. Finché usiamo numeri finiti non c’è una differenza pratica con i numeri cardinali che dicono in un botto quanto è grande un insieme; con i numeri transfiniti sì, ma non è questo il momento di parlarne)
Questo numero, chiamiamolo b in onore di Berry, deve per forza esistere: in fin dei conti i numeri sono infiniti, e le frasi composte al più di trenta sillabe sono finite. Occhei, sarà probabilmente un numero molto grande, ma in linea di principio lo si può calcolare. Persino un costruttivista come Brouwer, che giusto in quegli anni stava lamentandosi di come l’infinito venisse usato in maniera un po’ troppo disinvolta, non avrebbe avuto nulla da dire sulla correttezza della definizione. Ma era proprio così? Mica tanto. In effetti, se siete stati attenti, la frase “il più piccolo numero che non si può esprimere con meno di trenta sillabe” di sillabe ne ha 25. Ma allora non ci può essere nessun numero con tale proprietà! Se ci fosse un siffatto numero b, infatti, automaticamente gli potremmo affibbiare la descrizione di cui sopra e quindi non è vero che non si può esprimere con meno di trenta sillabe. Ciò è indubbiamente berrybile.
Qui c’era qualcosa che non andava: e subito Berry chiese lumi all’indubbio esperto del campo: quel Bertrand Russell che pochi anni prima aveva dato un duro colpo al lavoro di una vita di Frege con il famoso paradosso del barbiere del villaggio che fa la barba solo e unicamente a chi non se la fa da sé. (per la cronaca, il barbiere si chiavama Andrea ed era una splendida fanciulla…). Russell ci pensò un po’ su e alla fine sentenziò che il problema non si poneva: la definizione di b non era infatti valida perché era una metadefinizione, visto che non definiva un numero ma le proprietà del numero. Per fare un esempio più terra terra, se diciamo “tre ha tre lettere” non stiamo parlando del numero tre (anzi 3), ma della parola che lo definisce: il “lessicale”, mi suggeriscono i miei amici filosofi. Il paradosso gli sembrò comunque interessante, tanto che lo inserì come primo nella lista di sette che presentò nei Principia Mathematica: e chissà, magari la teoria dei tipi, l’idea cioè che ci fosse una gerarchia di insiemi dove a ciascun livello gli elementi costitutivi potevano essere al più insiemi dei livelli inferiori, nacque anche pensando a questa differenza tra numero e definizione del numero. Non che tutta quella fatica gli sia servita a qualcosa, visto che venticinque anni dopo Kurt Gödel gli scombinò tutta la sua teoria. E paradossalmente, una cinquantina d’anni dopo, Greg Chaitin riprese in mano il paradosso di Berry, lo formalizzò usando un linguaggio di programmazione, e riuscì in questo modo a dare una nuova (e più semplice) dimostrazione del Teorema di Incompletezza di Gödel. Una vendetta postuma, insomma…
Che dire? State sempre attenti, quando vi mettete a contare, perché non si sa mai dove si nascondano le insidie! (Se vi piacciono questi temi, consiglio la lettura anche dei Rudi Matematici)

Ultimo aggiornamento: 2008-07-02 12:49

metatruffa

A furia di ricevere mail che ci comunicano che parenti stretti di notabili africani hanno bisogno di spostare soldi da un conto corrente a un altro e chiedono il vostro aiuto, magari abbiamo anche iniziato a sgamare qualcosa. Ma niente paura, i truffatori nigeriani sono pronti alla mossa successiva! Ecco il testo dell’ultimo phishing che mi è arrivato al riguardo:
From: "UN/EU FRAUD MONITORING UNIT" <uneufraudunitmonitoring.espana@gmail.com>
Subject: Your Recovered Funds
A joint effort instigated by a coalition of international monetary institutions with the help of Interpol has been able to track down diverted funds of foreign contractors and inheritance beneficiaries mostly from Africa and Europe. We have been working with other financial monetary institutions all over the globe and have entered agreement with the governments of the countries were these funds originated from.
In our fight to ensure that innocent hardworking people such as yourself are not taken advantage off by scammers who claim to want to transfer huge sums of money to you all in the guise of defrauding you of your hard-earned funds, we found out that you are not a victim of one of the several scams but, you are a victim of fund theft/diversion. You are among the list of the victims of corrupt government officials and bank staffs in Europe and Africa. These corrupt individuals and institutions are being investigated and prosecuted while arrangements has been concluded between the country where these funds originated from, World Bank, IMF, EU, UN, and Interpol on the safest and most secure means of getting the funds to the rightful beneficiaries.
eccetera eccetera. Riassunto, per chi non ha voglia di leggersi l’inglese: “Abbiamo scoperto che ci sono dei cattivoni nelle banche africane che hanno cercato di truffarvi. Ma noi siamo stati più bravi di loro, e li abbiamo bloccati. Adesso mandateci i vostri dati di conto corrente, e vi ridaremo indietro tutti i soldi, scusandoci per il disturbo”.
Bisogna ammettere che non arriveranno ai livelli dell’italico spammer, però l’idea non è per nulla male, vero?

Ultimo aggiornamento: 2008-07-02 11:19

Nubifragio!

Stasera Anna e io siamo rientrati in tram a casa, prendendo il 7 da Precotto. Arrivati in Fulvio Testi, ha iniziato a grandinare bello forte – a casa ci siamo trovati il terrazzo allagato, tanto per dire, ma non è di questo che voglio scrivere.
Mentre stavamo per arrivare a casa e discutevamo se farci ancora un giro sul tram in attesa che spiovesse, il tram si è fermato. Dopo un po’ (noi eravamo in fondo) ci siamo accorti che il tranviere smarronava. Un ramo era stato strappato dall’albero e si era posato proprio sul pantografo, bloccando il tutto. Il tentativo dell’informatico (spegnere e riaccendere il tram, sperando che il pantografo si abbassasse liberandosi) non è servito a nulla; noi a questo punto siamo scesi, visto che la pioggia era calata, mentre il tram è rimasto fermo ancora per un quarto d’ora (lo intravedevo dalla finestra di casa).
Ecco un paio di foto (un po’ scure, ma il cielo era quel che era) del fattaccio.
[ramo sul pantografo] [ramo sul pantografo]

Ultimo aggiornamento: 2008-07-01 22:46

_Sotto il segno di Gödel_ (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo libro, va’ su Galileo!)
Il 2006 è stato il centesimo anniversario della nascita di Kurt Gödel, e ci sono naturalmente state svariate celebrazioni di quello che forse è il matematico più famoso del ‘900 per chi matematico non è. In questo libro (Gabriele Lolli, Sotto il segno di Gödel, Il Mulino – Intersezioni 2007, pag. 174, € 14, ISBN 978-88-15-12023-6) Gabriele Lolli raccoglie alcune presentazioni da lui tenute in varie conferenze, e che toccano vari punti del pensiero di Gödel. In effetti, il suo teorema di incompletezza, quello che è stato più o meno orecchiato da tutti, rappresenta solo una parte nemmeno troppo grande della sua produzione; dire come fa Lolli che Gödel sia stato il più grande logico dopo Aristotele, se non addirittura pari a lui, forse è un po’ esagerato, ma nemmeno troppo. Dopo il capitolo introduttivo si possono scoprire i suoi contributi su incompletezza, indecidibilità, teoria degli insiemi e filosofia, non solo matematica ma anche generica. Lolli racconta anche dei risultati cosmologici ottenuti da Gödel, con la scoperta di soluzioni delle equazioni della relatività generale che ammettono anelli temporali; c’è anche un capitoletto su “Gödel umorista”, ma bisogna ammettere che non è il massimo: nemmeno un matematico si mette a ridere.
Il libro pecca di una certa ridondanza, dovuta all’avere raccolto interventi indipendenti; la parte prettamente logica, inoltre, è piuttosto pesante da leggere. Nel complesso, però, questa specie di biografia sui generis è utile per avere un’idea più chiara del ruolo svolto da Gödel nello sviluppo della scienza del ventesimo secolo.

Ultimo aggiornamento: 2008-07-01 17:01