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Tutti parlano del referendum confermativo sulle modifiche alla Costituzione (legge Boschi) e quindi anch’io ho deciso di mettere per scritto come voterò e perché: non certo per convincere qualcuno, ma per dare loro qualche spunto in più che non siano le campagne Facebook tra tifosi di squadre avverse. Il TL;DR è “Voto no perché sono state messe insieme troppe cose discordanti, e una Costituzione non è una semplice legge”.
Prima di tutto, però, spiego i motivi con cui NON ho preso la mia decisione. Non mi interessa di sapere chi è per il sì e chi per il no… anche perché condivido il pensiero che ho visto esprimere da alcuni: tutte le volte che vedo qualcuno per il NO, mi viene voglia di votare SÌ, e naturalmente viceversa. Ma questa non è una votazione in cui uno si mette da una parte o dall’altra, come capita in un’elezione; qui abbiamo una legge sulla quale dobbiamo decidere se ci pare buona o no, e ognuno dovrebbe avere le sue ragioni per farlo. Le ragioni degli altri non mi trovano affatto d’accordo? Chisseneimporta. Io voto la legge, non le ragioni. In secondo luogo, so benissimo che si va a votare perché Berlusconi aveva inizialmente dato il suo appoggio alla riforma e poi l’ha tolto per mere ragioni politiche, non certo sul merito della legge. Insomma, se le cose fossero andate appena diverse, la riforma sarebbe passata senza richiesta di un voto confermativo. E dunque? Siamo di nuovo al punto di cui sopra. Non avrei potuto votare, ma non è che per questo avrei apprezzato questa riforma. Però per una congiuntura astrale posso esercitare un mio diritto, e quindi lo faccio. Arriviamo finalmente al quesito vero e proprio. Già il titolo è indicativo di quanta roba ci sia dentro.
“Approvate il testo della legge costituzionale concernente disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della costituzione?”
Lasciamo perdere la frase sul “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni”, che è un banale specchietto per le allodole e non ha nemmeno senso in quel contesto, perché è un corollario della legge Boschi (meno senatori, e quelli rimasti non verranno pagati per fare i senatori ma riceveranno “solo” i rimborsi spese) e non un punto fondamentale anche solo rispetto ai costi di Camera e Senato, per non parlare di tutti i costi pubblici. Limitiamoci a guardare macropunto per macropunto cosa succede esattamente. Userò il testo con le differenze tra prima e (forse) dopo preparato dalla Camera. La tabella è semplice: a sinistra c’è il testo attuale e a destra quello modificato.
Che vuol dire “superamento del bicameralismo paritario”? Che adesso Camera e Senato sono funzionalmente identici per quanto riguarda le proposte di legge, che possono partire da un ramo qualunque del Parlamento ma devono comunque essere approvate con lo stesso testo da entrambe, mentre in futuro non sarà così. Ci sono tanti modi per superare il bicameralismo paritario, o “perfetto” come si sente dire: per esempio, si può dividere le leggi tra i due rami, decidere che il secondo ramo possa fare emendamenti solo con la maggioranza assoluta dell’assemblea (e non dei presenti) e la legge ritorni al primo ramo dove si può votare solo sì o no agli emendamenti con maggioranza qualificata dei presenti. In questo modo una legge ha solo tre passaggi, e c’è comunque la possibilità di correggere qualcosa che è venuto fuori male. In realtà non funzionerà così. Nella legge la Camera avrà una preminenza quasi assoluta: tanto per dire, gli unici rappresentanti della Repubblica saranno i deputati (articolo 55). Molti articoli (48, 60, 61, 75, 77–82, 85–87, 96, 121) hanno modifiche per rimarcare questa differenza. Più interessante il 64 che aggiunge il seguente testo: «I regolamenti delle Camere garantiscono i diritti delle minoranze parlamentari. Il regolamento della Camera dei deputati disciplina lo statuto delle opposizioni.», che può significare tutto o niente, e «I membri del Parlamento hanno il dovere di partecipare alle sedute dell’Assemblea e ai lavori delle Commissioni.», cosa che settant’anni fa pareva inutile rimarcare. L’articolo 94 fa sì che la fiducia sia data dalla sola Camera, cosa che avrebbe il suo senso in ogni caso.
L’articolo 70 elenca tutti i casi in cui si devono pronunciare le due Camere: oggettivamente messo in questo modo è illeggibile e sarebbe stato molto più semplice indicare punto per punto quali sono le leggi a doppio pronunciamento. Ma questa prolissità non si ha solo qua, come vedremo dopo. Nell’articolo 71 le leggi di iniziativa popolare richiedono il triplo delle firme (150.000), hanno un’importanza leggermente maggiore sui tempi, ma è lasciato tutto al regolamento; in teoria — quando verrà fatta una legge costituzionale apposta …— si potranno avere referendum propositivi e di indirizzo. Diciamo che la teoria è questa, ma la pratica non c’è; insomma parole a vuoto.
Il governo può pretendere una corsia preferenziale per i DDL (articolo 72), il che aumenta sicuramente i suoi poteri senza richiedere decreti legge; nell’articolo 73 invece c’è un interessante possibilità di chiedere il giudizio anticipato della Corte Costituzionale prima che una legge venga promulgata, il che potrebbe risparmiarci tanti casini.
La “riduzione del numero di parlamentari” si trova nell’articolo 57 (che definisce il numero dei senatori e la composizione del Senato, lasciando a una legge ordinaria la decisione di come verranno scelti tra gli aventi diritto), 58 (abrogato), 59 (senatori a tempo e non più a vita), 63. Detto tra di noi, che il Senato sia eletto direttamente o indirettamente non mi tange per nulla. Trovo piuttosto molto più pericoloso il fatto che questi senatori debbano fare un doppio lavoro, rischiando di fare male entrambi. È vero che ora il Senato conterà un tubo, ma non sarebbe stato più semplice lasciare loro le prebende ma fargli fare solo quello? Ah: per l’articolo 126 sarà il Senato a decidere l’eventuale scioglimento di una giunta regionale: similes similibus, direbbero forse i latinisti.
L’abolizione del CNEL si estrinseca nell’abrogazione dell’articolo 99. Bisognerebbe andare a leggere i resoconti della Assemblea Costituente per capire come mai si fosse pensato ad avere quell’organismo, che a vedere il testo della Costituzione sembrerebbe una concertazione ante litteram se non addirittura un residuato defascistizzato della Camera dei fasci e delle corporazioni. Credo che quasi nessuno (tranne ovviamente chi del CNEL ci faceva parte) piangerà per questa abolizione: ma non si poteva fare una legge costituzionale solo per questa, approvarla in sei mesi con ampia maggioranza, e togliercelo così dai piedi.
Per quanto riguarda la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, innanzitutto si cancella la parola “Provincie” (no, c’era scritto “province” senza i. Strano, pensavo che la proposta semplificatrice di Bruno Migliorini per il plurale delle parole in -cia e -gia fosse del 1949), come del resto aveva già tentato di proporre Tonino Di Pietro in una legge costituzionale. Per il resto, si complica ancora di più l’articolo 117 dove si definiscono i rapporti tra Stato e regioni. Qui mi tocca fare coming out. Io nel 2001 ho votato a favore della riforma costituzionale che per l’appunto ridefiniva quel rapporto, rendendo ipertrofico quell’articolo. Col senno di poi, avrei votato contro, proprio per il principio che la Costituzione dovrebbe dare solo le linee guida e lasciare alle leggi ordinarie il compito di metterla in pratica: più specifica, peggio fa il suo lavoro. Ad ogni modo la controriforma renziana avoca allo Stato alcuni poteri che erano stati dati alle regioni, e probabilmente la cosa ha senso, visti i problemi che si sono visti nel caso ci siano più regioni in gioco. Ma quell’elenco enorme di attività in cui lo Stato ha legislazione esclusiva mi pare davvero esagerato. Non bastava indicare le attività di legislazione da parte delle regioni e dire che tutto quello che non c’è lì è avocato allo Stato, che con legge ordinaria può delegare qualcos’altro alle regioni? Ah sì: l’articolo 117 è anche L’ARTICOLO SEGRETO che appare in questi giorni nella campagna pentastellata, perché al posto di «nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali» ora c’è scritto «nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali». No, non cederemmo la nostra libertà votando sì: l’abbiamo già fatto da decenni, e ora si cambia semplicemente il testo, visto che la CEE è diventata da mo’ UE assumendone tutti i diritti e doveri pregressi. Abbiamo norme sui soldi (119, 120, 122), sia per gli stipendi che per gli indicatori di costo da rispettare, e già che ci siamo sono indicati i princìpi di pari rappresentanza (122), curiosamente solo a livello locale.
Ci sono poi articoli davvero illeggibili, che citano altri articoli più o meno come troviamo nelle leggi ordinarie. Ho già detto del 70, ma il 77 (decreti legge) è forse ancora peggio, pur avendo l’ottimo nuovo comma «Nel corso dell’esame di disegni di legge di conversione dei decreti non possono essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto» (ma questo in realtà dovrebbe accadere per ogni legge).
Abbiamo inoltre altre quisquilie, tipo la gestione dei referendum abrogativi (articolo 75) dove si poteva osare molto di più. In pratica resta il limite minimo di 500000 firme, ma se si arriva a raccoglierne 800000 scatta il bonus: il quorum non è più la metà più uno degli elettori, ma la metà più uno dei votanti alla Camera alle ultime elezioni, scoraggiando insomma la campagna per il no via astensione. Quest’ultima cosa secondo me è ottima; ma a questo punto perché non si è tolto il limite dei 500000? Se non riesci a trovare la gente che firma non la trovi nemmeno per votare, e aumenti il numero dei casi in cui si spendono soldi per i rimborsi al comitato referendario e per le votazioni. Altro che contenimento dei costi della politica. Per l’elezione del Presidente della Repubblica il quorum diverso (tre quinti dei votanti, anziché maggioranza assoluta degli aventi diritto) in realtà è forse anche più stretto, e non credo sia un caso che sia più alto della maggioranza data con l’Italicum che è sempre il convitato di pietra: vorrà dire che anziché avere impasse con gli elettori che non si presentano avremo impasse con le schede bianche. Troviamo (articolo 97 per la statale e 118 per quelle locali) che l’amministrazione pubblica deve anche essere trasparente e non solo imparziale e funzionante. Nell’articolo 134 si esplicita che la Corte Costituzionale verifica le leggi elettorali sin da subito, evitando che ci si accorga dell’incostituzionalità dopo qualche anno 🙂
Arrivati in fondo (una faticaccia per tutti, sono d’accordo) do il mio personale giudizio. Se ci fosse stato lo spacchettamento (non so se sarebbe stato possibile: così ad occhio forse la Cassazione avrebbe detto di sì se qualcuno avesse pensato di chiederlo) sarei stato d’accordo sull’abolizione del CNEL e avrei trovato indifferente la riduzione dei senatori e il riordino del titolo V. Ma sarei comunque stato contrarissimo a questa riforma del bicameralismo paritario, e questo indipendentemente dall’Italicum (il famigerato Combinato Disposto, con le maiuscole così sembra più importante). E visto che per modificare una Costituzione ci vogliono decenni, mi spiace ma io voterò NO. La mia risposta al “tutto o niente” renziano è per l’appunto “niente”. Mi prenderò catervate di insulti? Chissenefrega. La cosa più divertente è che potrei comunque votare lo stesso PD alle politiche, in mancanza di meglio… ma come dicevo, questo è un referendum, non un’elezione. Non dimenticatelo, qualunque cosa sceglierete di fare.
Post Scriptum: per completezza aggiungo le slide di Luciano Violante, che è un fautore del sì referendario e spiega dal suo punto di vista il perché. Tanto non devo convincere nessuno 🙂