archivi di .mau.

quello che non oso mettere nel mio blog ufficiale

Altro che le beghe di condominio!

Se state leggendo queste mie righe, probabilmente sapete cos’è un blog. Io non lo so: o meglio, a differenza della maggior parte degli altri, lo vedo come un substrato tecnico, non dico equivalente a un foglio di carta ma a un foglio di carta distribuito in giro. Ma
non è di questo che voglio parlare.
Sembra ci siano 110 milioni di blog nel mondo. In Italia ce ne saranno varie decine di migliaia, forse si arriva a numeri a sei cifre: ma i “blog” con le virgolette, quelli che secondo i “blog” con le virgolette sono i Veri Blog Che Fanno Tendenza, sono poche centinaia (se contiamo i vassalli) e qualche dozzina (se ci limitiamo agli alfa blogger). Il tutto è regolarmente monitorato da BlogBabel, che pubblica la classifica giornaliera di chi vuole più bene a chi. Detto in maniera tecnica, sarebbe chi scrive qualcosa nel proprio blog mettendo un collegamento al blog di un altro; ma il concetto è insomma questo.
Lo scorso weekend questi hanno fatto una bella festicciola, purtroppo rovinata dalla pioggia, su in Trentino: non avessi avuto impegni familiari, ci sarei magari andato anch’io. La chiamo festicciola, ma è anche stata seguita dai quotidiani italiani, anche perché chi scrive sui Veri Blog Che Fanno Tendenza spesso scrive anche sui quotidiani stessi. Sembra però che all’interno della festicciola ci sia stata una lite tra uno che afferma di fare il creativo e uno che afferma di essere un creativo: la differenza principale è che uno ha un blog e l’altro no. Fin qua nulla di strano: l’occupazione principale di un blogger è quella di litigare, e io non faccio certo eccezione. Però stavolta, forse perché ci sono ancora i postumi della festicciola, gli amichetti dell’una e dell’altra parte hanno iniziato a insultarsi a vicenda, proprio come in una di quelle riunioni di condominio tanto amate dai sociologhi, soprattutto se abitano in una villetta.
L’escalation continua: persino austeri giornalisti entrano nel tunnel dell’autoreferenzialità – faccio notare che il suo “in buona parte” non si applica certo alle decine di migliaia, ma al limite alle poche centinaia di vassalli. Ma il commento che mi ha divertito di più è stato quello di Matteo Bordone, che scopre che dopo aver parlato della bega il suo blog «guadagna posizioni nella classifica di blogbabel.»… La prova provata dell’autoreferenzialità. Peccato che quel bravo ragazzo (ci siamo visti qualche volta, anche se io non ho un Vero Blog Che Fa Tendenza; e garantisco che è un bravo ragazzo) mi caschi proprio in vista del traguardo, facendo appunto un post e terminandolo con «ps – Questo post è senza link e senza commenti, perché se no alé, altro giro, altra fiera interplanetaria della sfiga triste.». Peccato che quello che conta per la Classifica siano i collegamenti in entrata, e non quelli in uscita, e quindi il giro c’è lo stesso.
Tutta la storia però mi è servita per capire come mai tutte le volte che le regole della Classifica venivano modificate io immediatamente risalivo, per poi scendere lentamente ma inesorabilmente. Non è perché non ho un Vero Blog Che Fa Tendenza; i miei affezionati lettori ce li ho comunque. È che non potrò mai competere con tali livelli di onfaloscopia! E ho anche capito perché è un bel po’ di tempo che non solo non guardo la Classifica – e questo poteva essere dovuto al non volermi veder scivolare sempre più giù – ma non guardo nemmeno quali sono le “discussioni calde”. Il mio subconscio è più intelligente di me e si era già accorto della loro sostanziale inutilità: io scrivo su quello che interessa a me, e cito e/o commento quello che scrive chi ritengo interessante. Se c’è qualcosa di davvero importante, in un modo o nell’altro ne vengo comunque a conoscenza.

(ps: non è un caso che questo post non appaia sul mio blog, ma solo su questa dependance che non è presente in nessuna delle varie classifiche: almeno posso predicare più o meno bene senza essere tacciato di razzolare male)

September 18, 2008 Archivi

Orwell Y2K #3 – Mountain View

Innanzitutto, grazie a sul più illustre paesaggio che mi ha fornito la prima delle due immagini orwelliane!

Repubblica ha pubblicato questo articolo su una nuova tecnologia per il cosiddetto “inchiostro elettronico”. Come potete vedere nella prima immagine, la sede della Plastic Logic era indicata a San Diego, posto dove magari non si fa moltissima “innovazione digitale”. Poi qualcuno deve avere fatto notare che la sede della Plastic Logic non era San Diego ma Mountain View e l’articolo è stato prontamente corretto modificando solo il nome della città… senza che a qualcuno venisse in mente che Mountain View è anche la sede di un’azienducola piuttosto innovativa: purtroppo questo esemplare mi manca. Alla fine comunque abbiamo una formulazione molto neutra, come si vede nella seconda figura: nessuna specificazione, meglio non sbagliarsi!

Plastic1Plastic2

September 12, 2008 Archivi

Orwell Y2K #2 – Silvio Buffone

Il 27 agosto scorso, il Guardian ha pubblicato questo articolo, che raccontava delle varie scalate europee in questo periodo. C’è anche un paragrafo che parla di Alitalia e del nostro PresConsMin. Epperò…
La versione originale dell’articolo, visibile ancora il 5 settembre, indicava come nostro premier tale “Silvio Buffone”, come si può vedere dal primo degli allegati qui sotto. Tralasciando i facili commenti, mi chiedo due cose: chi è che aveva scritto inizialmente l’articolo, e chi – oltre ad accorgersene – è andato a protestare presso il Guardian!

Buffone1Buffone2

September 10, 2008 Archivi

RACCONTO: Come D.i.o. comanda

Frederic Brown ci aveva praticamente azzeccato, sapete? Tra i tanti raccontini di fantascienza che scrisse, ce n’è uno, “The Angelworm”, dove a un tipo prossimo al matrimonio cominciarono a capitare – con una periodicità impressionante – delle disavventure incredibili che gli fecero perdere fidanzata, lavoro e quant’altro. Alla fine il giovane ebbe un’intuizione, e decise che nel momento in cui sarebbe dovuta capitare la successiva disavventura lui sarebbe entrato nel paesino di Haveen; invece si ritrovò… in Paradiso! In inglese Paradiso si dice Heaven, e il protagonista del racconto aveva intuito che Dio era un realtà un Grande Linotipista che preparava il copione della vita di tutti, ma la sua Divina Linotipia aveva un problema meccanico e regolarmente una E veniva posizionata con un attimo di anticipo. Storiella divertente ma assurda, ho sempre pensato… fino a quando non mi è capitato di infilarmi dentro una storia se possibile ancora più assurda. Ma andiamo per ordine.

Era un afoso pomeriggio di luglio; mi trovavo a casa e stavo cercando di capire come montare un portacd dell’Ikea. Le istruzioni allegate? mi sa che siano preparate per un analfabeta sì ma svedese, il cui modo di pensare è completamente diverso dal nostro: o più probabilmente la mia incapacità nel compiere qualunque operazione manuale si estende anche alla comprensione dei disegnini. Ero però in uno di quei rari momenti furiosi in cui mi convinco che l’impresa intrapresa è alla mia portata, e nulla può fermarmi… almeno finché non spacco l’oggetto che ho tra le mani. Non mi accorsi così del sudore che mi toglievo sovrappensiero con la mano, né dei tuoni sempre più rumorosi; quello che contava era solo l’assemblaggio, e l’oggetto che stava finalmente assomigliando più o meno all’ultima figura del foglio. Avvitata l’ultima vite, notai che il cielo era scurissimo; mi alzai così ad accendere la luce, commentando a voce alta “Oh, ho fatto proprio un lavoro come Dio comanda!”. Non appena toccai l’interruttore, sentii come una scarica elettrica (no, l’interruttore non l’avevo montato io, maliziosi che non siete altro) e contemporaneamente un tuono mi assordò; sentii il mio cuore battere a mille, e probabilmente svenni.

 

La cosa successiva che mi ricordo fu una voce profonda che diceva “A dire il vero non te l’avevo comandato, ma va bene lo stesso”. La voce proveniva da una macchia di luce più o meno antropomorfa, proprio come uno si aspetterebbe: non appena riuscii a spiccicare parola, balbettai “Ma tu… lei… voi… siete Dio?”
“Non esattamente. Al limite sono D.i.o.: Deputato in osservazione. In pratica, voi vivete in uno spazio quadridimensionale che è in realtà una varietà immersa nel nostro spazio pentadimensionale. Io sono incaricato di vedere cosa capita nella vostra sezione.”
“E voi… tu… lei…” Riuscivo solo a incespicarmi sui pronomi.
Intanto il mio corpo agiva per conto suo: mi accorsi di essere prostrato a terra con le mani davanti agli occhi.
Dammi pure del tu, e non preoccuparti. Non sei morto, non stai per morire e va tutto bene. Guarda, anche il tuo portacd è intatto e fondamentalmente simile alla foto nel catalogo dell’Ikea.”
“O-o-occhei. Ma com’è possibile che Ti veda e Ti senta? Se Tu sei pentadimensionale, io per Te sono più sottile di un foglio di carta!”
Le sentivo persino io, le maiuscole mentre parlavo. Dio o D.i.o., era comunque troppo per me.
“Una mia proiezione è sempre presente, solo che voi non ve ne potete accorgere. Ma con quel fulmine hai ricevuto in un tempo brevissimo una grande quantità di energia, così hai fatto una transizione verso un’altra foglia della varietà in cui vivi.”
“Sono arrivato in un universo parallelo? Incontrerò il mio alter ego? Cosa è successo al mio universo?”
“Ti ho già detto di non preoccuparti. Se vuoi, puoi pensare di essere in un universo parallelo, ma tra qualche istante ritornerai nel tuo mondo, e tutto sarà come prima. Se non che…”
“Se non che cosa? Sarò radioattivo? Tornerò come se fossi riflesso allo specchio, e morirò di fame per non riuscire ad assimilare il cibo?” Avere letto The Annotated Alice non ha sicuramente fatto bene al mio catastrofismo congenito. E fortuna che non sono un grande appassionato dei supereroi Marvel e DC, altrimenti chissà di che mi sarei preoccupato.

 

La luce tremolò un poco, come se il D.i.o. stesse ridendo; ma la voce rimase tranquilla. “Mannò, nulla di tutto questo. Solo che il linguaggio è molto potente, come anche alcuni di voi umani avete intuito. Tu hai fatto questa transizione mentre pronunciavi una metafora, e la metafora è diventata reale. Io generalmente non do nessun comando su come si assemblano i portacd, ma in effetti qualche consiglio quasi quasi te l’avrei dato: avresti dovuto lasciare più gioco in fondo, nella parte che gira. Ma non importa. Quello che è importante è che secondo la nostra esperienza di questi casi, ogni tanto ti capiterà che le tue metafore diventino reali. Cerca insomma di non pensare di trovarti nelle fauci di un drago: in fin dei conti mi sei abbastanza simpatico. Buona fortu…”

La voce si zittì di colpo. Mi guardai intorno, un po’ a fatica perché alla fine ammetto che mi ero messo a osservare D.i.o. – ah, come l’uomo perde ogni remora nei confronti della divinità se solo essa si manifesta!. La luce era svanita, e tutto il resto della stanza sembrava in ordine; solo il mio corpo continuava a tremare. Quando alla fine riuscii a rimettermi un po’ traballante in piedi, mi ero ormai convinto che tutto il discorso di D.i.o. non fosse altro che un’allucinazione mentre il fulmine mi aveva fatto svenire. Poi guardai più attentamente il mio portacd. In cima c’era una scritta minuscola ma leggibile: “Approvato: D.i.o.”. E quel che era peggio, l’insieme mi sembrava molto più robusto di come mi ricordavo di averlo montato. Ho come il sospetto che ne vedrò delle bell… ehm, scusate, mi potranno capitare cose peculiari.

(21 agosto 2008)

September 8, 2008 Archivi

RACCONTO: Il Cubo

La prima volta che il mondo sentì parlare del Cubo fu il 14 marzo 2009. Il Tibet era stato pacificato da pochi mesi, come confermato dalle immagini prese dai satelliti, o meglio da quello che non si poteva più vedere. Nessuno riuscì a spiegarsi come quel monaco fosse riuscito ad arrivare fino in Tagikistan, e nessuno poté chiederglielo; spirò tra le braccia dei soldati della forza multinazionale di interposizione dopo avere indicato a fatica la sacca che si trascinava appresso e sussurrato quelle che forse erano le uniche parole inglesi che conoscesse: cube… open… please.

Il Cubo era davvero strano. Una dozzina di centimetri di lato, grigio antracite, più leggero di quanto l’aspetto lasciasse pensare, con una serie di scanalature appena visibili che lo facevano quasi assomigliare a un cubo di Rubik monocromatico e ipertrofico, e le facce leggermente morbide al tocco. Scuotendo l’interno si percepiva, più che udire, una specie di melodia; ai raggi X sembrò apparire un’intricata struttura interna, ma tre apparecchiature si ruppero non appena le prime immagini apparvero sui monitor, e nessuno osò più tentare l’analisi. Non emetteva radiazioni. La sua superficie non poteva essere scalfitta in nessun modo. Il Cubo stava per essere riposto in una vetrina di un anonimo museo per essere definitivamente dimenticato, quando un ricercatore per caso lo prese tenendolo per due vertici opposti e lo vide schiarirsi per qualche secondo. Subito l’interesse per il Cubo tornò alle stelle: vennero scoperte sequenze di pressioni e rotazioni che lo facevano schiarire per un tempo più o meno lungo. Matematici di tutto il mondo si misero a studiare quelle trasformazioni per cercare una logica nei vari pattern; i supercomputer vennero programmati per testare simulazioni sempre più complesse. Parecchi scienziati, anche se nessuno osava dirlo pubblicamente, erano convinti che il Cubo fosse un manufatto di una civiltà aliena; nacquero almeno quattro sette religiose convinte che esso fosse di origine divina, e non si contarono i santoni che affermavano di avere divinato la successione di operazioni necessaria per raggiungere la purezza del bianco abbagliante. Corse voce che alcune di quelle successioni furono effettivamente tentate, senza apprezzabili risultati; ma si mormorò che qualcuna delle “sensazionali scoperte” fu in realtà il risultato di una visione dopo una robusta dose di peyote.

Alieno o divino che fosse, il Cubo portò senza dubbio un risultato inaspettato: col passare del tempo, l’attenzione di donne e uomini di tutto il mondo si focalizzò sempre più su di esso. Il mondo visse un periodo di incredula pace, mentre gli accidentati progressi nella comprensione di come operasse venivano avidamente seguiti in tutto il mondo. Non fu pertanto un caso che quando il 14 dicembre 2012 un team internazionale annunciò di avere scoperto il codice per lo sbiancamento definitivo del Cubo e che la settimana successiva avrebbero mostrato l’operazione, tutto il pianeta si trovò davanti a una tv; persino nelle lande più desolate erano stati inviati maxischermi e ricevitori parabolici. Il 21 dicembre venne accuratamente eseguita la Successione Finale; il Cubo divenne sempre più bianco, e poi iniziò a cambiare colore, sempre più velocemente.

Tutti erano così assorti a contemplarlo, che non si accorsero che il pianeta era improvvisamente diventato grigio; né notarono di non potere più muoversi. In quegli ultimi, interminabili istanti, mentre dalle bocche aperte dallo stupore non poteva uscire alcun grido né entrare una molecola di ossigeno, a ogni essere umano parve di udire una voce che diceva “Congratulazioni! Questo livello è stato davvero difficile; il tempo stava per scadere”. L’eco di un’eco sembrò ancora riverberare “Livello 42”; poi, il nulla.

(15 agosto 2008)

September 1, 2008 Archivi

ORWELL Y2K mancato

L’incidente sull’A4 di ieri è stato davvero grave, e le notizie sono
arrivate in maniera frammentaria: quindi è abbastanza normale che la
pagina su Repubblica.it
http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/cronaca/incidenti-stradali-1/morti-a4/morti-a4.html
sia stata aggiornata più volte, ampliando e correggendo. Le tre
immagini qui sotto sono delle versioni con ore rispettivamente
16:12:57 – 17:21:01 – 19:19:40.
Eppure, nonostante tutte le volte in cui sono andati a mettere le mani
sull’articolo, a nessuno è mai saltato l’occhio sul titolo, dove si
parla dell’autostrada Venezia-MESTRE (e non Trieste). Come autostrada
sarebbe davvero corta, no?

Venezia-mestre1Venezia-mestre2Venezia-mestre3

August 9, 2008 Archivi

sociologia blogghica

Giovy non c’è riuscito, forse perché da ex editor ha qualche aggancio. Sara Taricani ce l’ha fatta; Marco Camisani Calzolari a quanto pare no. Se ho saltato qualcuno, me ne scuso: non controllo mai bene cosa succede. Qual è lo sport preferito dai semiVIB[*]in questa nemmeno troppo calda estate? Si direbbe il farsi togliere dalla classifica di BlogBabel. La modalità, non esistendo a quanto pare un sistema ufficiale per farsi cancellare, consiste nello scrivere un post pieno di link, che secondo le FAQ di BlogBabel porta all’immediata squalifica del blog stesso.

I più ingenui tra voi potranno chiedersi perché mai i semiVIB debbano fare tutta questa fatica. Non basta non curarsi della classifica e vivere felici? A parte che mi chiedo come un ingenuo sia arrivato fin qua (spero che stavolta Eìo mi lasci in pace…), la risposta è banale e un qualunque sedicente sociologo ve la può dare in un attimo. La classifica è importante perché afferma di essere rappresentativa; se uno ritiene che la classifica non rappresenti correttamente la sua importanza, il togliersi ha un effetto doppio! Prendendo come esempio MCC, infatti,
(a) nessuno può prendere quella classifica come base per dire che MCC è solo il settantunesimo blog per importanza (dati di oggi);
(b) in più, si può dire che la classifica BlogBabel non è rappresentativa, visto che non considera blog evidentemente importanti come quello di MCC, che pure su wikio è al settimo posto!
Ho già scritto che delle classifiche mi importa poco; la parte sociologica però mi diverte, e mi chiedo se a BB non hanno appositamente tolto MCC dalla classifica perché hanno fatto la mia stessa analisi (o l’hanno intuita), e qualcuno ha il dente avvelenato. Chissà 🙂

—-

[*]Very Important Blogger. Non ditemi che non conoscevate l’acronimo. I VIB in Italia saranno una decina sì e no; i semiVIB forse un centinaio, me compreso. Inutile dire che di importante i semiVIB hanno ben poco; però molti di loro cercano di passare di categoria.

August 8, 2008 Archivi

il bello delle classifiche è che ce ne sono tante tra cui scegliere

La posizione delle notiziole di .mau. su blogbabel è oggi la numero 70.
Su wikio, la mia posizione agostana è la numero 26.
Se io fossi presente nella classifica di blogitalia, mi troverei in
posizione 247.

È chiaro che c’è qualcosa che non va.

Quello che non va è ovviamente il concetto di “classifica dei blog”.
Diciamocela tutta: il 90% degli italiani manco sanno cos’è un blog.
Limitandoci ai blog-cognoscenti, e tolto beppegrillo™ che è fuori
classifica, ci saranno sì e no dieci blog più o meno noti. Tutti gli
altri sono delle isolette, con un po’ di traffico locale e nulla più.
Con numeri così piccoli (il grafico di lloogg qui sotto mostra le
visite uniche alle notiziole e al calendario: persino Il Riformista
vende più copie) non ci vuole proprio nulla a modificare la
classifica: basta toccare appena qualche parametro (link ai singoli
post o al blog, anche nel blogroll), e/o considerare come blog oggetti
diversi (blogitalia ha anche siti tipo pannasmontata e mukkamu, per
dire il secondo e il terzo in classifica: facendo temi per i blog si
beccano tutti i link di gente che sicuramente non li legge) per
cambiare completamente i risultati.
Altro punto da considerare è la BLO. No, non trovate la sigla in giro,
perché me la sono inventata in questo momento. Come la SEO è la Search
Engine Optimization, così la BLO è la Blog Link Optimization. Non ci
vuole molto a scrivere un post per salire di classifica: ad esempio –
e su questo mi scoccia dirlo, ma CiaoFabio ha ragione – un post
autoreferenziale come questo è quasi perfetto. Basta solo aggiungere i
link a due o tre tra i migliori autoreferenzialisti in classifica, con
un lapidario commento a loro riguardo, e zac! i link fioccano.

Il tutto serve a qualcosa? non lo so. Non è un caso che queste cose le
scriva qua su posterous, che essendo tenuto fuori dalle classifiche
gode di una certa libertà. Forse tanti link vogliono dire qualche
soldino da Google Adsense. Forse essere settantesimi in classifica dà
una botta di adrenalina e risolleva l’ego appiattito da tutto quello
che ci è successo negli ultimi vent’anni. Forse la classifica è un
modo di definire un celolunghismo indipendente dal sesso. Chissà. Io
di pubblicità sul mio blog non ne metto (qua magari prima o poi ce ne
sarà, ma non sarò io a guadagnarci), il mio ego sta bene lo stesso, e
ce l’ho piuttosto piccolo. È però bello avere i miei ventun lettori
affezionati, che spesso non sono d’accordo con me ma apprezzano il mio
punto di vista sull’argomento (altrimenti non mi leggerebbero, no? o
sono così masochisti?) ed è bello che ogni tanto qualcuno capiti per
caso dalle mie parti e decida che valga la pena dare abitualmente
un’occhiata alle mie notiziole. So perfettamente di non essere un tipo
da grandi numeri: ma così ho il vantaggio che la fatica che mi tocca
fare per scrivere è fatta per me, e non “per la classifica”.

Lloogg0808

August 4, 2008 Archivi

RELAX: Testamento tricologico

Ho deciso. Vado dal notaio, e deposito il mio testamento tricologico. Rispetto a molti altri maschi, sono fortunato: potrei rasarmi i capelli a zero con l’unico motivo che mi piacciono, e non per coprire (si fa per dire) una calvizie incipiente; e i miei capelli bianchi crescono sempre più, ma sono ancora relativamente pochi. Però sono trent’anni che quando passo le mani tra i capelli me ne rimane sempre qualcuno attaccato, e la cosa non mi piace per nulla. Avrò anche circa 100000 capelli, ma devo iniziare a pensare anche a loro.

D’altronde quei capelli sono stati una parte di me, fors’anche la parte migliore. Hanno diritto a una collocazione meno ria dello scarico del lavandino – che poi mi tocca anche usare l’idraulico liquido. Sono conscio della difficoltà di trovare una soluzione ai problemi etici che un testamento tricologico pone: primo di tutti, andare dal barbiere può definirsi eutanasia? è lecito usare una macchinetta nella quiete di casa propria, oppure è sempre necessario che un terzo vigili sulla corretta applicazione dei protocolli? esiste una lunghezza minima garantita per definire lo status di capello? i peli della barba possono essere oggetto di una regolamentazione civile che li parifichi, oppure una simile norma verrebbe bocciata come anticostituzionale perché contro l’articolo 3? Ma confido nelle capacità del nostro Parlamento di trovare un accordo bipartisan per riuscire finalmente a dare una risposta che potrà presa ad esempio da governi e popoli di tutto il mondo.

In fin dei conti ho sicuramente un supporter d’eccezione: il nostro Presidente del Consiglio.

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Orwell Y2K #1 – Dalla Scozia con furore

Ormai bisogna pubblicare tutto e subito, e non si può perdere tempo a
fare anche solo un minimo controllo sulla correttezza dei dati. Così i
siti dei quotidiani online contengono spesso erroracci. Non parlo dei
refusi all’interno del testo, quelli capitano a tutti – anche e
soprattutto a me – ma delle topiche davvero incredibili. Il bello
dell’Internette è che basta correggere il testo e puff… è svanito. O
no? L’idea di questi post è appunto prendere una schermata comprovante
il misfatto e postarla, insieme alla versione emendata.
Inizio con questo esempio, gentilmente fornitomi da Lopo. L’isola di Jersey, nel cui
orfanotrofio è stata fatta la macabra scoperta, non ha nulla a che
fare con la Scozia: però l’anonimo titolista doveva avere studiato su
un manuale un po’ taroccato, mi sa!

Jersey-1Jersey-2

August 1, 2008 Archivi
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