La scorsa settimana, dopo le minacce arrivate per email al Presidente della Camera Laura Boldrini e all’intervista a Repubblica che è seguita, sembrava che stesse per arrivare una legge speciale per i reati che avvengono via web. Qualche giorno dopo Boldrini ha affermato di essere stata fraintesa – tra l’altro, quand’è che si riprenderà la buona abitudine di dire “non sono stato capace a spiegarmi bene”? perché la colpa dev’essere sempre di chi ascolta? – ma intanto la discussione c’è stata eccome, e io che ho imparato dal buonanima di Giulio Andreotti che a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca spesso non vorrei che tutto questo fosse un ballon d’essai per fare davvero accettare all’opinione pubblica l’idea che la Rete debba essere strettamente regolamentata: il perché dell’avverbio lo spiego dopo. Potete leggere un’analisi molto articolata di Fabio Chiusi sui pericoli insiti in questa deriva; io preferisco cambiare punto di vista.
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Quali fonti per Wikipedia?
Wikipedia è grande: ma ora ha bisogno di crescere. La battuta a effetto nasconde una realtà che non si può negare: è inutile che per esempio l’edizione in lingua italiana contenga più di un milione di voci, se poi la qualità di buona parte di esse è, diciamo, subottimale. Purtroppo non è possibile obbligare la gente a migliorare le voci esistenti, anziché creare voci nuove: è un sottoprodotto del fatto che contribuire all’enciclopedia (in questo caso nel senso di produrre materiale, non di finanziarla) è volontario, e ciascuno può fare ciò che preferisce. Penso però che possa essere utile sapere cosa si potrebbe fare per avere un prodotto sempre migliore: io sono ottimista e spero sempre che le cose possano andare meglio in futuro. Inoltre è sicuramente utile sapere come leggere le voci di Wikipedia: in questo modo è infatti possibile capire se e quanto fidarsi di quello che si legge, almeno come struttura generale.
Stavolta tratterò di Wikipedia e delle fonti, un tema che entra spesso prepotentemente in scena in casi molto diversi, da chi si lamenta perché non può scrivere le “sue” informazioni nelle voci – ci sono stati casi eclatanti come quello di Philip Roth, ma vi assicuro che richieste e minacce al riguardo sono quotidiane – a chi invece si lamenta perché ci sono scritte cose che a loro non piacciono: c’è chi va in tribunale come Cesare Previti (al momento si è arrivati a un’assoluzione in primo grado della Wikimedia Foundation) o la famiglia Angelucci (in quattro anni non è ancora stata emessa alcuna sentenza). Ma anche senza andare nelle aule dei tribunali ed evitando di parlare di politici ancora in vita, ci sono voci, come quella su Tesla che spesso vedono una campagna a colpi di riscritture.
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Che cosa puoi fare per Wikipedia?
Parecchia gente (non moltissima, a dire il vero) sa che io contribuisco regolarmente a Wikipedia. Costoro pensano che io faccia chissà quali cose per l’enciclopedia: in realtà il mio impegno è molto limitato, per la mia cronica mancanza di tempo che mi impedisce di fare tutte le cose che vorrei. Qualche settimana fa ho però avuto un paio di “franchi scambi di opinione”, come si suol dire, che mi hanno portato a lavorare su Wikipedia e che secondo me possono essere più utili di cento FAQ per spiegare come funzionano davvero le cose, o per meglio dire come dovrebbero funzionare. Non credo che sia un caso che gli scambi arrivino dal “socialcoso fighetto”, Friendfeed, dove discussioni di questo tipo capitano tutti i giorni, grazie al connubio tra una massa di utenti relativamente ridotta e una quantità di rompiscatole (quorum ego) elevata.
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La regola 90-9-1
Su, per questa volta parlo di Wikipedia solo di striscio! La regola che dà il titolo a questo post è infatti molto più generale, e probabilmente anche falsa. Per partire, tanto per cambiare, affidiamoci a Wikipedia stessa, che racconta come nel 2006 Ben McConnell e Jackie Huba hanno coniato il nome “regola dell’1%” per segnalare come in una comunità solamente l’un percento dei membri contribuisce attivamente, mentre gli altri se ne stanno lì a guardare e sfruttare i contenuti: in inglese si parla di lurker. La regola è stata poi affinata aggiungendo un ulteriore livello: non si parla solo di lurker e contributori, ma questi ultimi sono a loro volta suddivisi in Veri Contributori che in effetti creano nuovo materiale e Aiutanti Contributori che si limitano a fare modifiche minori a quanto creato dai Veri Contributori. Questa tripartizione ha finalmente fatto nascere la regola di cui al titolo del post: il 90% di chi accede a un sito collaborativo non collabora per nulla, il 9% fa qualcosina, l’1% si fa il mazzo.
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Unificazione delle masse 2.0
L’altra settimana era il compleanno di Stefano Epifani. Ci conosciamo dallo scorso millennio, e quindi ho il suo numero di cellulare: gli ho così mandato un messaggio, nel mio classico stile, scrivendogli «Che ne pensi se ti scrivo “buon compleanno”?» Spero di non ledere la sua privacy postando la sua risposta: «Penso che ti adoro, perhcé tra 1000 amici che scrivono su Facebook sono pochissimi quelli che si prendono la briga di usare un SMS!». Poi a dire il vero si è anche lamentato perché non voglio mai scrivergli qualcosa per Tech Economy, ma quella è un’altra storia (non ce la faccio fisicamente a scrivere tutto quello che dovrei scrivere… e per fortuna non mi capita spesso il blocco dello scrittore!)
Qualche giorno dopo era il compleanno di un mio ex-collega dei lontanissimi tempi in cui mi occupavo di riconoscimento della voce: non ho il suo numero di cellulare, ma un indirizzo di posta elettronica sì, quindi gli ho mandato due righe di auguri per email. La sua risposta (qui non è un grande problema di privacy, visto che non potete sapere chi sia): «Nonostante i nnumerosi “competitor” che hai, bombardati dalle notifiche di facebook (e simili) che ricordano il mio compleanno, sei sempre … il migliore!»
Avete trovato il punto di contatto?
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il declino di Wikipedia
Il mese scorso ha suscitato parecchio scalpore un articolo sul MIT Technological Review intitolato “The Decline of Wikipedia”. L’autore, Tom Simonite, recupera un sacco di dati per mostrare come dal 2007 a oggi il numero di contributori a Wikipedia sia in costante calo, e sia sceso dai 51.000 di allora ai 31.000 attuali. Simonite raccoglie molti dati fattuali, come questo rapporto di Aaron Halfaker – rapporto finanziato dalla Wikimedia Foundation stessa, che ovviamente ha tutto l’interesse a sapere cosa sta succedendo. Il rapporto è arrivato anche in Italia: se volete sapere la mia posizione ufficiale col cappellino di portavoce di Wikimedia Italia la potete leggere su Wired, La Stampa, Treccani Magazine. E se volete sapere la mia posizione personale?
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Big Data: cosa NON sono
Eccovi due storie apparentemente simili, avvenute a distanza di un secolo e mezzo. Intorno alla metà del XIX secolo, Londra era regolarmente colpita da epidemie di colera. Ai tempi non si conosceva ancora la causa della malattia, anzi non si immaginava neppure l’esistenza dei batteri: un medico, John Snow, ebbe però l’idea che potesse essere dovuta alla cattiva qualità dell’acqua. ALl’ennesima epidemia si mise così a fare una ricerca a tappeto per scoprire qual era la compagnia dell’acqua che serviva le case dove c’erano stati casi di colera – sì, allora c’erano compagnie concorrenti – e confrontando dati e date riuscì a scoprire la fonte contaminata iniziale da cui la malattia iniziò a propagarsi e mietere vittime. In questo modo in seguito si riuscì a bloccare i focolai di infezione sul nascere.
Nel 2009, quando arrivò l’allarme dell’influenza aviaria – il famigerato ceppo H1N1 – negli USA il CDC (centro per controllo e prevenzione delle malattie) avrebbe voluto monitorare i dati sulle persone colpite da influenza, ma si accorsero che i risultati erano sempre in ritardo di un paio di settimane, a causa dei problemi nel raccoglierli e smistarli. A Google decisero però un altro approccio: fecero un match tra le 50 milioni di ricerche più comuni sui suoi server e i dati delle ondate di influenza tra il 2003 e il 2008. L’idea è che chi ha l’influenza fa una ricerca su cosa può prendere per curarsi. Trovato un elenco di 45 stringhe di ricerca con la correlazione maggiore, iniziò a controllarli: i risultati vennero così ottenuti in tempo reale.
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comicità e creatività
Ricordate Il nome della rosa? Il venerabile monaco Jorge aveva avvelenato l’unica copia esistente del secondo libro della Poetica di Aristotele, quello che trattava della commedia, perché riteneva che far ridere la gente fosse Il Male: ecco perché noi possediamo solo il primo libro. Ma cos’era per Aristotele la comicità? Citando dalla Treccani, per «la comicità di un personaggio è determinata dal presentarsi di un suo difetto o errore, in quanto però esso non appare odioso e non suscita repulsione. L’origine del comico è comunque veduta sempre nell’avvertimento di una sorta di contrasto, di dislivello, si manifesti esso tra la cosa e lo spettatore, o tra la cosa reale e l’idea che altrimenti se ne possa avere.» Insomma, «ciò che è fuori tempo e fuori luogo, senza pericolo»: se infatti ci fosse pericolo passeremmo al tragico. Beh, vorrei lasciarvi qualche spunto di discussione su una diversa lettura della comicità: la tricotomia (che non c’entra col taglio dei capelli) che vi propongo non è probabilmente completa, ma ha il vantaggio di puntare verso una visione diversa.
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E se il David di Michelangelo fosse sotto Creative Commons?
È possibile che qualcuno di coloro che sta leggendo questo post si sia chiesto come sia possibile che il MiBACT, nella persona del ministro Dario Franceschini, twitti che l’immagine del David di Michelangelo che imbraccia un fucile (da 2500 euro nella versione base, tra l’altro) “violi la legge”. Le offese in fin dei conti sono negli occhi di chi osserva, ma la legge dovrebbe essere uguale per tutti… e il David non è certamente sotto copyright, no? E non è neppure vietato pubblicizzare armi, no? Leggendo il Post si trova qualche informazione in più, ma anche da lì non si capisce quale sia la legge al riguardo. Provo a darvi qualche spiegazione, e già che ci sono prendo spunto da quella pubblicità per mostrare con un esempio pratico qual è il significato delle varie sigle delle licenze Creative Commons, che ci danno la possibilità di scegliere quali dei nostri diritti ci interessa tutelare.
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Boia chi molla: bugia, maledetta bugia o?
A fine gennaio il Cittadino Angelo Tofalo, pentastellato desideroso di un quarto d’ora di pubblicità, a un certo punto ha gridato “boia chi molla!” nella sordida e grigia aula del Parlamento italiano. Qualche ora dopo ha specificato su Facebook che il suo non era affatto un motto fascista, citando la corrispondente voce su Wikipedia che espliciterebbe che la frase venne pronunciata per la prima volta nel 1799 durante la Repubblica Napoletana dalla nobildonna Eleonora Pimentel Fonseca, e poi nel 1848 durante le Cinque Giornate di Milano. Potremmo aprire una discussione sul fatto che qualunque sia l’origine dell’espressione oramai essa è automaticamente associata ai fascismi vecchi e nuovi, ma QUI NON SI PARLA DI POLITICA… anche perché è molto più interessante mettersi a parlare di cosa succede quando si parla di fonti.
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