Ricordate Il nome della rosa? Il venerabile monaco Jorge aveva avvelenato l’unica copia esistente del secondo libro della Poetica di Aristotele, quello che trattava della commedia, perché riteneva che far ridere la gente fosse Il Male: ecco perché noi possediamo solo il primo libro. Ma cos’era per Aristotele la comicità? Citando dalla Treccani, per «la comicità di un personaggio è determinata dal presentarsi di un suo difetto o errore, in quanto però esso non appare odioso e non suscita repulsione. L’origine del comico è comunque veduta sempre nell’avvertimento di una sorta di contrasto, di dislivello, si manifesti esso tra la cosa e lo spettatore, o tra la cosa reale e l’idea che altrimenti se ne possa avere.» Insomma, «ciò che è fuori tempo e fuori luogo, senza pericolo»: se infatti ci fosse pericolo passeremmo al tragico. Beh, vorrei lasciarvi qualche spunto di discussione su una diversa lettura della comicità: la tricotomia (che non c’entra col taglio dei capelli) che vi propongo non è probabilmente completa, ma ha il vantaggio di puntare verso una visione diversa.
Iniziamo con la prima forma di comicità, quella che potrei chiamare cazzoculofigatette (e speriamo che i motori di ricerca me la mantengano). In realtà in questo tipo di comicità davvero di base entrano anche i difetti fisici, e quindi ci avviciniamo alla definizione aristotelica. Una quindicina di anni fa il Bagaglino era l’epitome di questa comicità, poi siamo passati ai cinepanettoni, adesso non so esattamente, anche se ho il sospetto che per i loro autori le battute tipo quelle su Pierluigi Bersani in questi giorni rientrino nella categoria. Ad ogni modo questo tipo di comicità, ad essere molto indulgenti, può essere definita “di pancia”: non ci vuole molto a farla, e meno ancora a capirla.
Si passa poi al tormentone, la cosiddetta comicità seriale. In questo caso la battuta comica non è esattamente “fuori tempo o fuori luogo”, o meglio l’ascoltatore se l’aspetta: quindi il comico deve costruire la sua scena per arrivare a quel punto e suscitare la risata. Notate come la battuta di per sé non è affatto comica: lo è perché in qualche modo rimane fuori dal percorso logico della scena. Bene: finalmente qui entra in gioco una forma di creatività. Come, vi chiederete, il tormentone non è la ripetizione ad nauseam della stessa frase? No, non è così semplice. Come Andy Warhol, quando dipinge le multiple copie di Marylin Monroe, non le lascia tutte identiche ma gioca coi colori, così il vero tormentone deve sempre avere qualche peculiarità nelle sue varie incarnazioni: non troppo poche perché sennò annoia, non troppe perché sennò non è riconosciuto. Ricordo ancora gli sketch di Emilio con Teo Teocoli – Macho Camicio e Gaspare che commentavano i risultati calcistici della giornata e Zuzzurro che a un certo punto si metteva a giocare con un mappamondo, suscitando l’ira di Teocoli che glielo toglieva e commentava “porqué cuesta è violensa”. A un certo punto il mappamondo diventò un altro solido platonico, ma lo zenit arrivò la volta in cui non c’era nessun mappamondo in giro: Teocoli si concesse un sorriso e a quel punto Zuzzurro si tirò su la gamba dei pantaloni per mostrare i calzettoni… con disegnata la mappa del mappamondo.
Vediamo la cosa da un altro punto di vista: abbiamo un punto di arrivo (il tormentone), un punto di partenza casuale (l’inizio dello sketch, che ovviamente cambia tutte le volte), e dobbiamo trovare un percorso che porti dal secondo al primo nella maniera più lineare possibile. Abbiamo dunque dei vincoli, e i vincoli sono un indice della presenza di creatività, come avevo raccontato a suo tempo. Poi è chiaro che il risultato dipende pesantemente dalla volontà del comico di metterci del suo, ma questo non è così diverso da quello che capita sempre.
Infine c’è la comicità per slittamento, come la definisco io, che ricorda molto quelle che in enigmistica si chiamano “crittografie mnemoniche” (da qualche anno ridenominate “frasi bisenso”, anche l’enigmistica si evolve). Uno degli esempi più noti di crittografia mnemonica è quella il cui esposto – il testo che appare al solutore – è CUCCHIAINO, e la frase risultante è di quattro parole, rispettivamente di 5, 6, 2, 13 lettere. La soluzione è “mezzo minuto di raccoglimento”, che letteralmente è una definizione di “cucchiaino” ma in pratica è una frase fatta. Prendo come esempio una battuta di benze, pubblicata su spinoza.it: «Leone doro a un documentario sul raccordo anulare di Roma. Lo stanno ancora girando.» In questo caso il lavoro del battutista, e in parallelo quello di chi la battuta la legge e cerca di capirla, è diverso dal caso precedente. Qui abbiamo un punto di partenza (il Leone d’oro), e dobbiamo sia trovare un punto d’arrivo molto diverso (sennò non c’è comicità ma semplice logica) che un percorso apparentemente logico che porti dall’uno all’altro. Si sa bene che non bisognerebbe mai spiegare una battuta, ma in questo caso mi serve analizzarla. Il punto pivotale è la parola “girare”, che si può applicare a un film oppure a un percorso chiuso, come appunto il GRA; inoltre il Raccordo Anulare è noto per i suoi ingorghi, e quindi “Lo stanno ancora girando” assume ancora un altro doppio senso. La sensazione di piacere di chi ascolta – e capisce – la battuta deriva dall’essere riuscito a scoprire i vari passaggi (il)logici e quindi apprezzare il virtuosismo.
Per completare il circolo, faccio ancora un esempio relativo alla parodia. Parodiare in stile Bagaglino è facile. Fare una parodia “per slittamento” molto meno. Quando mi squilla il telefono, chi sente per la prima volta il mio telefonino pensa che la mia suoneria sia una canzone dei Beatles: invece no, è Love Life dei Rutles. Neil Innes ed Eric Idle girarono un “mockumentary” (un documentario-parodia, per l’appunto) dove raccontavano l’ascesa e il declino di una band britannica, il tutto evidentemente modellato sui Beatles e con una colonna sonora di canzoni modellate sui successi dei Fab Four. Love Life, come potete vedere dal video, è la parodia di All You Need Is Love, suonata per la prima volta nella prima trasmissione in mondovisione, con un’orchestra che inizia a suonare un brano (John Brown invece che la Marsigliese), la voce di “John” che inizia su un solo canale finché non ritorna anche l’orchestra sull’altro, l’ostinato finale con “Ringo” che tra i vari altri brani canticchia il loro brano precedente “Hold My Hand” perché nell’originale Ringo canticchia “She Loves You”. Ma se uno non sapesse tutte queste cose troverebbe comunque la canzone simpatica, ed è proprio questo il bello… e il difficile. Di nuovo, umorismo attraverso creatività attraverso vincoli stretti.
Provate a fare caso, quando vi viene da sorridere a una battuta, a quale delle tre categorie appartiene…