La donna che viene due mattine la settimana a fare un po’ di pulizie e a stirare oggi ha rotto una delle ciotole dove mangiano le nostre gatte. Capita, direte voi; e sicuramente non è il costo di una ciotola che ci manderà in rovina, soprattutto considerando tutte le cose che ha già spaccato in questi anni.
Il punto è che la ciotola in questione non era in ceramica, ma in plastica. Non saprei nemmeno da dove iniziare, per spaccarla; non dico lavandola, ma anche lanciandola per terra in un impeto d’ira o tirandone i lati in una pessima imitazione dell’incredibile Hulk credo riuscirei a scalfirne una. Mi sa che mi devo preoccupare.
(p.s.: il mistero si infittisce. Mi sono accorto che quella ciotola l’avevo lavata io stamattina e messa nello scolapiatti ad asciugare. Lo scolapiatti è sopra il lavandino, ma è anche chiuso con un’antina. Cosa diavolo avrà fatto?)
intercettazioni
Sarò il solito irresponsabile spensierato, ma non mi preoccupo più di tanto della noticina al maxiemendamento sul disegno di legge antiintercettazioni, che prevede per i titolari di “siti informatici” l’obbligo di rettifica entro 48 ore. A parte la definizione di “sito informatico” che è sempre difficile da specificare, già adesso c’è chi è capace di denunciarti: una rettifica la si aggiunge senza problemi.
Mi sembra molto più grave il blocco pratico alla possibilità di usare intercettazioni, soprattutto da parte dei giornalisti: e mi chiedo come mai Repubblica (dal Corsera sarebbe troppo, mi sa) non esca un giorno con quattro o cinque spazi bianchi in prima pagina, giusto per far capire l’effetto. Solo che adesso che scrivo questo mi viene in mente che oltre a essere un irresponsabile spensierato sono anche un inguaribile romantico…
Assimilazione
Martedì pomeriggio ero in via della Moscova angolo via San Marco, avevo legato la bici ed ero ancora lì col casco, mentre due donne stavano parlando. Una finisce di dire “aspetti, proviamo a chiedere al signore qua” e mi fa “sa dirmi dov’è il Fatebenefratelli?” Io rispondo di sì, e spiego come arrivarci (è facile :-) ) La signora si avvia e l’altra aggiunge “Beh, già che ci sono, da qua come arrivo in Ticinese coi mezzi?”, al che io ci penso un attimo su e la consiglio di prendere la 94 e poi il 3 in Arena. Ora, è vero che io ho sempre avuto la faccia di uno che sa dare indicazioni stradali; però fare il milanese così mi intristisce un po’.
(poi è vero che c’è stato qualcuno che lunedì sera mi ha telefonato da Torino per chiedermi come arrivare in via Bogino :-) )
Massimo comun divisore e minimo comune multiplo
Non so se le frasette “massimo comun divisore” e “minimo comune multiplo” facciano ancora venire a qualcuno un brivido di terrore, al pensiero dei conti che ci facevano fare a scuola e magari anche per capire com’è che una di quelle due sigle – che ricordano pericolosamente 1400 e 1900 scritti in numeri romani – fosse tutta in maiuscolo e l’altra tutta in minuscolo, e perché quello maiuscolo fosse il più piccolo dei due numeri, e non il più grande. Forse è vero che oggi questi concetti sono un po’ meno importanti di un tempo, quando i conti si facevano a mano; ma hanno ancora un certo qual interesse.
Per prima cosa occorre fare un passo indietro e approcciare il tutto da parecchio lontano. I numeri naturali hanno una simpatica proprietà, niente affatto scontata: quella della fattorizzazione unica. Un fattore di un numero n è un numero f tale che la divisione n/f non dà resto: i numeri primi, forse ricordate, sono quelli maggiori di 1 che hanno come fattori solo sé stessi e 1. Se prendiamo un qualsiasi numero, la fattorizzazione unica ci assicura che lo possiamo scrivere in un solo modo come prodotto di numeri primi; per esempio, 1001 = 7·11·13.
In matematica la fattorizzazione unica è importantissima, ed è il motivo fondamentale perché si definisce che 1 non è un numero primo; piuttosto che aggiungere qui la frasetta “eccetto che si possono aggiungere tanti fattori uno quanti si vogliono”, si preferisce aggiungere “eccetto 1” nella definizione di numero primo. Come curiosità posso aggiungere che all’inizio del XIX secolo si pensava di poter dimostrare il teorema di Fermat con alcune tecniche nemmeno troppo difficili matematicamente ma che presupponevano che la fattorizzazione unica valesse anche per numeri “più o meno interi”, quelli della forma n + m √(-1); ed è stato un brutto colpo acccorgersi che non è affatto vero.
Ma basta con le divagazioni, e torniamo alla fattorizzazione unica. Abbiamo visto che ogni numero si può scrivere in modo univoco come prodotto di numeri primi; ma allora se prendiamo due numeri possiamo trovare quali fattori – e presi quante volte – hanno in comune. Per esempio, 9009 = 32·7·11·13 e 147 = 3·72 hanno in comune il prodotto 3·7, cioè 21. Detto in altro modo, posso dividere sia 9009 che 147 per 21 senza ottenere nessun resto, e non c’è nessun numero maggiore con questa proprietà. Quindi 21 è un divisore, comune a entrambi i numeri e massimo; il Massimo Comun Divisore (MCD), appunto. In maiuscolo, perché immagino che la parola “massimo” faccia pensare a qualcosa di grande.
Supponiamo però che ci interessi qualcosa di diverso; possiamo riempire degli scatoloni di libri mettendoli a gruppi di sei oppure a gruppi di otto a seconda di cosa il Comitato Centrale ci comunicherà, non vogliamo scatoloni mezzi pieni perché non sta bene, e vogliamo evitare di fare troppi scatoloni perché siamo pigri. Ovviamente prendere sei per otto, quarantotto, libri ci permette di riempire in ogni caso gli scatoloni; però si può fare di meglio limitandoci a 24 libri. Questo 24 è il minimo comune multiplo (mcm) di 6 e 8, appunto. In minuscolo, perché immagino che la parola “minimo” faccia pensare a qualcosa di piccolo.
Se ci capita di sommare due frazioni, a denominatore ci conviene usare il minimo comune multiplo dei denominatori, perché ci troveremo con numeri più piccoli. Ma come si fa a sapere qual è il mcm di due numeri? Più semplice di quanto possa sembrare a prima vista: si moltiplicano tra di loro i due numeri e si divide il risultato per il loro massimo comun divisore. In fin dei conti il MCD indica proprio quali fattori sono in comune tra i due numeri, e quindi è inutile contare doppi. E come si fa a sapere qual è il massimo comun divisore dei numeri? Beh, quello lo racconto la prossima volta :-)
Simplificius, dov’eri?
Notizia di oggi: ATM ha affermato, per bocca dei suoi legali, che «si può comprendere, dunque, se il Legislatore italiano ha ritenuto di limitare l’accesso all’impiego nel settore dettando determinati requisiti, tra i quali quello della cittadinanza, ritenendo – forse – che il legame personale del cittadino allo Stato dia maggiori garanzie in relazione alla sicurezza e incolumità pubblica». Il tutto nella memoria difensiva contro il ricorso fatto da un elettricista marocchino, che afferma di non poter essere assunto dall’azienda dei trasporti milanese perché il Regio Decreto 148 del 1931 impone di avere la cittadinanza italiana.
Vabbè, ci sono alcune cose che non quadrano in tutto l’articolo. Innanzitutto non si capisce se l’elettricista ha presentato o no domanda ufficiale, né è chiaro perché gli avvocati non si siano limitati a dire “abbiamo seguito la legge”: per amor di pignoleria non il Regio Decreto di cui sopra ma il suo regolamento attuativo. Tale regolamento tra l’altro prevede anche che «deve essere data la precedenza a coloro che appartengono al partito nazionale fascista ed ai sindacati fascisti, nonchè le altre precedenze stabilite dalle disposizioni della legge 6 giugno 1929, n. 1024, portante provvedimenti sullincremento demografico.» (art. 9) e che «Nelle località designate come malariche dalla direzione generale di sanità, lazienda somministra gratuitamente a tutti gli agenti ed alle persone di famiglia, conviventi ed a carico, i chinacei ed adotta tutte le altre misure e difese prescritte dalla legge per la prevenzione e per la cura delle febbri palustri.» (art. 8), giusto per dare un’idea. Potrebbe anche valere la pena rileggere l’affermazione dei legali ATM, e ricordarsi chi era il Legislatore cui fanno riferimento: ma credo che per molti tutto ciò sarebbe assolutamente naturale e anzi finalmente qualcosa di serio.
Ma la cosa che non quadra a me è che o il regolamento è stato cambiato nei decenni oppure non è già rispettato: l’articolo 10 dice anche che gli assunti in prova non devono avere superato «i trentanni di età per i servizi attivi ed i trentacinque per gli altri servizi», e ad esempio questo bando di concorso per autisti a Gorizia prevede un’età massima di 40 anni. Quindi, caro Simplificius: non è che a suo tempo ti sia dimenticato qualcosa? E quindi, cara pseudoopposizione: non è che magari provate a chiedere lumi su questa cosa?
Dietrologia spicciola sull’Airbus
Non so voi, ma a me questo improvviso aprirsi di una pista terroristica come causa che ha fatto precipitare l’Airbus francese (vedi ad esempio La Stampa, ma lo scrivono tutti) puzza molto di un tentativo di tirare fuori un colpevole – che pure stranamente non si era nemmeno preso la briga di rivendicare l’attentato – ed evitare così che si continui a parlare dei problemi di sicurezza meccanica che sono stati riscontrati.
Penso troppo male?
fine del “fattore amministrative”?
A differenza dei post precedenti, questo non è basato su nessun numero, ma solo su sensazioni a pelle: tenetene conto.
Quando ero ragazzo e giovane, insomma negli anni ’70 e ’80, in Italia capitava un fatto curioso: nelle elezioni amministrative in genere il PCI prendeva più voti che alle politiche. Il motivo? Boh, c’è chi diceva che nel territorio, i comunisti governassero meglio, chi diceva che la gente non si fidava di un governo comunista, ecc. ecc.
Poi i comunisti sono scomparsi ed è arrivata Forza Italia. Negli ultimi quindici anni, capitava che FI pigliasse molti più voti nelle politiche che nelle amministrative. Il motivo? Boh, c’è chi diceva che essendo un partito di plastica non aveva gente sul territorio, chi diceva che la gente voleva Silvio, e se non c’era in lista era meno interessata a votare, ecc. ecc.
Quest’anno mi pare che i voti alle europee siano in linea con quelli alle provinciali. Il motivo? Beh, oserei affermare con tutta la mia forza un forte e chiaro “boh”. Diciamo che se fossi un maggiorente del piddì proverei a pensare anche a questo, oltre che al non avere più rappresentanti di lista ai seggi. (ai tre milioni di voti persi in un anno forse qualcuno ci sta già pensando, anche se non si può mai esserne certi :-) )
partiti o coalizioni?
A quanto pare, ieri mi sono sbagliato: come potete vedere dall’articolo sulla Stampa, qualche giornalista che ha fatto notare come in un anno il PD+L ha perso sei milioni di voti c’è stato.
Peccato che Marco Castelnuovo mi sia caduto sulle percentuali. Il suo articolo infatti si apre con la frase “Se solo un anno fa i due partiti maggiori superavano abbondantemente l84% dei voti lasciando ai «piccoli» le briciole dopo il voto di ieri, i due grandi partiti raccolgono uniti un misero 61,4%.”. In effetti il sito del ministero dell’Interno, l’84% dei voti riferiti al 2008 erano quelli delle due coalizioni maggiori, e PdL e PD avevano il 70.5% dei voti. Percentuale indubbiamente maggiore di quella di quest’anno, ma non così tanto…
Aggiornamento: (10 giugno) come si vede nei commenti, Calstenuovo si è accorto dell’errore e ha corretto l’articolo. A me sembra molto più importante la correzione che l’errore originale. Tutti possiamo sbagliare, come ben sa chi frequenta questo posticino e vede le cancellazioni dopo che i miei ventun lettori mi fanno notare le cappelle che prendo. Un plauso al giornalista, quindi!