grandi opere

Ieri sera mi sono finalmente deciso a smontare il tubo del lavandino del bagno, dove era caduto un coprisetole dello spazzolino dei bimbi che in pratica aveva intasato tutto (ma che plastica usano, che l’idraulico liquido non l’ha per nulla sciolto?) Smontare il tubo non è stato troppo difficile, trovare il pezzo che otturava – già dentro il muro… – nemmeno; poi per rimontare il tutto ho smadonnato come non mai.
Oggi mi sono deciso a cambiare il fermo che blocca una delle sbarre della scala, che era stato spaccato non so come da un bimbo, immagino Jacopo. Non so chi li avesse avvitati e come ci fosse riuscito: l’unico cacciavite che mi ha permesso di togliere la vite più malefica è stato quello del mio coltellino svizzero. Fatto tutto il lavoro, ho visto che comunque non servirà a molto perché anche la sbarra è rotta: diciamo che spero in bene.
Quello che non capisco è perché io mi ritrovi a fare queste cose che evidentemente non so fare…

Tu mi fai schifo

Mi è capitato l’occhio sull’articolo del Post che riprendeva un’intervista a Gianrico Carofiglio a proposito della querelle con causa civile in corso contro Vincenzo Ostuni, editor di Ponte alle Grazie che l’aveva definito “scribacchino” e “mestierante”.
Non ho mai letto un libro di Carofiglio, posso al più notare che anche lui fa parte della categoria di persone che non si peritano di querelare: ma c’è una cosetta che mi ha lasciato particolarmente perplesso, e che ho scelto di condividere con voi.
Carofiglio afferma infatti «Si può dire “il tuo libro fa schifo”, anche se non è elegante. Non si può dire: “tu mi fai schifo”». La parolina che non mi torna è quel “mi”. Per quel poco che può valere la mia opinione, nei quasi trent’anni che interagisco col mondo in modo diverso dal faccia-a-faccia, ci sono state parecchie persone che mi hanno detto cose simili a “tu mi fai schifo”. Bene, nella gran parte di questi casi la mia stima per quelle persone era così bassa che sapere che a loro io facevo schifo era un punto d’onore: voleva dire che ero nel giusto. Altra cosa è trovare qualcuno che diceva “tu fai schifo”, cioè un giudizio globale e non personale.
È possibile che i giudizi espressi da Ostuni fossero di questo secondo tipo: ma a questo punto è ancora più strano che uno come Carofiglio, che con le parole dovrebbe avere bene a che fare, faccia un simile spostamento di affermazione. Misteri del piccolo mondo della letteratura contemporanea, mi sa.

La mia tesi ormai mutilata

Come probabilmente vi ho scritto non so quante volte, io ho due lauree: una in matematica e una in scienze dell’informazione. La prima è la laurea vera: la seconda l’ho fatta perché mi bastavano sei esami e una tesi, il tutto prendendomela molto con calma mentre lavoravo. Due esami il prim’anno, uno il secondo, tre il terzo, il quarto non ho fatto nulla e poi mi sono deciso a presentare una tesi nella sessione di febbraio per evitare di pagare altre tasse universitarie.
Avrete capito che non l’ho assolutamente presa sul serio. Ho scritto una tesi su un algoritmo che avevo ideato e testato per lavoro e che non funzionava per nulla; beh, migliorava dello 0,1% il riconoscimento triplicando il tempo impiegato, mettiamola così. Ho chiesto a un professore che conoscevo via Fidonet se mi faceva da relatore, salvo poi scoprire all’ultimo momento che non poteva farlo perché era diventato ordinario a Torino dall’anno accademico 1990-91 e la sessione di febbraio era quella dell’anno 1989-90; sulla tesi c’è così la firma ufficiale di un’altra professoressa che non ho mai visto né sentito (nemmeno durante la discussione :-) ); e via discorrendo.
La settimana scorsa una mia amica, con cui ai tempi avevamo lavorato insieme, mi ha chiesto se avevo una copia della tesi da mandarle. Io le ho risposto “guarda, purtroppo in uno dei miei mille traslochi di PC e di casa ho perso la versione elettronica; se vuoi ti mando quella cartacea”. Ho controllato a casa, e scoperto che mentre ho svariate copie, anche una sfascicolata, della tesi di matematica, di quella di informatica ne avevo solo due. Vabbè, mi metto a scansionarla e via. Finita la faticaccia, mi sono accorto che nella fretta avevo tagliato alcune pagine, e le ho riscansionate… accorgendomi che non esisteva pagina 66. Quando portai le copie a rilegare, probabilmente persi quella pagina: e visto che sono state rilegate tutte insieme sono ragionevolmente certo che neppure all’università (se non l’hanno già mandata al macero, e se l’alluvione del 2000 non l’ha irrimediabilmente bagnata) la mia tesi ha pagina 66.
Tanto chi volete che l’abbia mai aperta?

Sallusti boh

Non ho voglia di andare a cercare i vari commenti sulla condanna al gabbio per il direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Mi limito a linkare dal sito del Corriere l’articolo che portò a tutto questo, e a fare qualche considerazione sparsa.
– Sallusti sta sulle palle a tanta gente (e immagino che per tanti altri fosse un eroe già da prima), quindi è difficile parlare a mente fredda.
– L’Italia è un paese che vive sulle corporazioni: se il querelante non fosse stato un magistrato probabilmente non si sarebbe giunti a questa condanna, e simmetricamente tutti i giornalisti ora si schierano a suo favore. Se da una parte o dall’altra ci fosse stato un signor nessuno, state tranquilli che non ci sarebbe stato tutto questo cancan.
– Che esista il concetto di “direttore responsabile” che è responsabile penalmente mi pare una cosa parecchio fuori dalla legge, che dice che la responsabilità penale è personale: però magari sono io che non ho seguito bene il tutto, e la condanna è per qualcosa tipo favoreggiamento, visto che ovviamente Sallusti sapeva chi è il “Dreyfus” il cui articolo è stato pubblicato su Libero e il cui nome l’allora direttore di quel giornale si è ben guardato dal rivelare (anche perché mi sa che sarebbe stato anche lui radiato dall’Ordine dei Giornalisti, mai scherzare con le betulle)
– Non che lasciare solo responsabilità civile (leggi, “se ho i soldi posso insultare chi voglio”) sia così meglio.
– Infine, se Sallusti si fosse degnato di mandare il suo avvocato al processo di appello forse le cose sarebbero andate diverse.
Per il resto, fate voi che ne sapete sicuramente più di me.
Aggiornamento: per capirne un po’ di più ho telefonato a un avvocato mio amico, che mi ha spiegato che (a) si sa chi è il “Dreyfus” (Alberto Monticone, che verrà processato per conto suo), e che Sallusti è stato condannato per diffamazione aggravata perché comunque, in quanto direttore del quotidiano, lui doveva sapere cosa veniva stampato, e la scelta di pubblicare l’articolo è stata sua. Mah, la cosa mi sembra comunque strana, nel senso che a mio parere doveva essere citato a giudizio solo Monticone: ma non sono certo un esperto legale.

_[mini]marketing_ (ebook)

[copertina] Non ho ben capito come mai nel marketing sembra tanto di moda proporre “tesi”, che secondo me sono l’equivalente dei pensierini che facevo alle elementari, o se siete più positivi di me si possono paragonare agli aforismi di cui ogni tanto si trovano raccolte in giro. Pensavo che le 95 tesi del Social Marketing Forum fossero un’idea 2012, e invece ho scoperto che già tre anni fa Gianluca Diegoli aveva scritto questo “[mini]marketing”, dal nome del suo blog, mettendo come sottotitolo “91 discutibili tesi per un marketing diverso”. (Gianluca Diegoli, [mini]marketing, Simplicissimus Book Farm 2008, pag. 56, ISBN 978-88-6369-002-6) Parlare di “numero di pagine” per questo libro, soprattutto per la versione in ebook, è sicuramente fuorviante: molto onestamente, l’introduzione spiega infatti che il testo è in tutto di ventiduemila caratteri, una tesi (una frase, insomma) per pagina, tesi che sono “un generatore di dubbi sul marketing e la comunicazione aziendale ai tempi della conversazione globale”. Questa meta-tesi la sposo pienamente: sulle tesi effettive (ma perché proprio 91? c’è qualche ragione mistica?) ho invece qualche dubbio in più. Diegoli ha come punto centrale la conversazione, che ovviamente è un notevole salto di qualità rispetto al marketing come lo si conosce che invece è un discorso monodirezionale. Concordo che non si può pensare di fare conversazione nello stesso modo in cui si faceva la pubblicità standard; ma questo non mi pare significhi che la pubblicità classica non possa più avere un senso. Mah, decidete da soli…

aikido :-)

Tra lo spam di stamattina c’erano due messaggi (praticamente uguali) con delle potenzialità. Il testo era questo:

Buongiorno,
Daniele mi diceva che e possibile avere dalla scuola di Aikido una
certificazione per i crediti scolastici.
Se possibile chiedo gentilmente di inviarmi la documentazioen necessaria.
http: [nome sito malware]
Grazie e saluti

Il titolo era diverso nei due casi: “modifica USER e PASSWORD” e “La Biblioteca di Legislazione Tecnica in abbonamento”; il mittente diverso (ma sempre info@qualcosa); il sito diverso.
Devo ammettere che il typo “documentazioen” non è male. Mi resta sempre il dubbio del perché chi prepara questi spam debba (a) mettere un titolo diverso dal testo, (b) non aver capito che in italiano gli accenti sono necessari, e soprattutto (c) ne invia due copie allo stesso indirizzo email, aumentando la probabilità che anche un fesso ci caschi. Si vede che non posso fare lo spammer di professione.
(per divertimento vi lascio inviece il testo di un altro messaggio:

Marco.fasoltiscali Non si puo dormire! In Italia, l’afqua fuoriuscito illegalmente. §diverse centinaia ri litri di Chimica.

Se qualcuno mi spiegasse il significato, gliene sarei grato. O forse è scritto apposta così per vedere se uno clicca sul link speranzoso di capirci qualcosa?)

Carlo Oliva

Ancora ieri mattina mi sono sintonizzato su Radio Popolare per sentire se era ripresa La caccia, pur sapendo bene che il palinsesto invernale non era ancora partito. (A Radiopop sono un po’ in ritardo, bisogna dirlo). Adesso ho letto su Facebook che stanotte Carlo Oliva, uno dei due conduttori, è morto stanotte.
La caccia era una trasmissione un po’ strana, coi due conduttori che leggevano gli interventi da loro preparati con un’arguzia impagabile e uno sfoggio di cultura che almeno a me divertiva molto. Non sempre ero d’accordo con le sue tesi, ma questo come sapete è un problema molto secondario. Purtroppo, a differenza del suo compare Felice Accame, non ho mai avuto il piacere di incontrarlo, e di fare una chiacchierata con lui sulla qualunque. Che la terra ti sia lieve.
(chi volesse sapere qualcosa in più su di lui può andare sul suo sito)

Economia emotiva in pratica

Sabato Anna e io abbiamo portato i bimbi alla prima lezione di nuoto. Mentre loro nuotavano, Anna aveva sete ed è andata a prendere una bottiglia d’acqua alla macchinetta. Poi ritorna e mi dice “hai sessanta centesimi? L’acqua costa 80, c’era scritto che la macchinetta dava il resto ma invece è rimasto lì”. Non era il momento di fare una lezione di economia emotiva, o perlomeno non avevo abbastanza tempo, così dopo un timido inizio le ho dato i sessanta centesimi e si è presa la seconda bottiglietta. Adesso però ho un po’ più di tempo :-)
Innanzitutto, la seconda bottiglietta non ci serviva, tanto che è tornata a casa con noi, e lo sapevamo entrambi. Questo è il punto fondamentale di tutta l’analisi: se l’avessimo bevuta subito il conto era completamente diverso. Mettiamola così: non avevamo problemi a spendere nel “qui ed ora” 80 centesimi per una bottiglietta d’acqua, pur sapendo che a casa ce ne avevamo, e le avevamo pagate 30 centesimi. Questo è normale, perché noi non eravamo a casa :-) Ma la seconda bottiglia l’abbiamo pagata in pratica 60 centesimi (i primi venti erano già stati sprecati, e non ci sarebbero tornati indietro), il tutto per portarcela a casa. Quindi in realtà non abbiamo “ricuperato i venti centesimi” ma ne abbiamo persi altri trenta. Non sarà una tragedia, ma è un classico controesempio al motto “più spendi, meno spendi”…