articolo 21 bis

Che ne direste se qualcuno volesse aggiungere alla nostra Costituzione il diritto di accesso ai libri? Vi sembrerebe una cosa naturale? Beh, qualcuno ha presentato un progetto di legge costituzionale «in materia di riconoscimento del diritto di accesso alla rete internet». E ha anche avuto il coraggio di chiamarlo “articolo 21 bis”, creando un precedente che sarà sicuramente seguito da tutti (per la cronaca, si è sempre scelto di modificare gli articoli, mica di aggiungerne).
E no, non è un pentastellato.
(hat tip: Daniele Minotti)

rispetto

Ieri ha suscitato una certa eco la decisione di Umberto Ambrosoli di uscire dall’aula consiliare lombarda durante la commemorazione di Giulio Andreotti, e il commento di Lara Comi che ha voluto rimarcare (televisivamente, perché sennò chi se la filava?) di non condividere per nulla il gesto.
Sarà, ma io non riesco affatto a capire perché alzarsi e uscire dall’aula sia “mancare di rispetto”. È un gesto di dissociazione esplicita, certo. Un gesto perfettamente comprensibile, tra l’altro, conoscendo un minimo la storia italiana degli ultimi 40 anni. Ma un gesto assolutamente rispettoso: non ha mica sbraitato contro la decisione presa dalla maggioranza, l’ha accettata ma ha scelto di non adeguarsi. Al limite, l’unica cosa che mi scoccia è che mi tocca essere d’accordo con l’ex-Eterno Vicesindaco Riccardo De Corato, che ha definito Ambrosoli “un signore”.
Poi vabbè, c’è chi ai tolc-sciò non ci può andare e allora si sfoga su Facebook. Non potevi berti la bottiglia da sola? Troppo triste?

others and Eni

domenica, tra i tanti auguri di compleanno che arrivano automaticamente dai vari servizi a cui ti sei voluto o dovuto iscrivere, c’era quello di You&Eni che spiegava come avrei potuto avere doppi punti se avessi fatto un rifornimento di almeno trenta euro in settimana. Visto che la macchina era in riserva, oggi ho pensato bene di andare a fare benzina… e ho scoperto che negli iperself You&Eni – cioè nei due punti vendita vicino a casa mia – non si fa più benzina prima e pagamento poi alla cassa, ma si paga prima e si fa benzina poi; ma soprattutto non si prendono i punti.
Io non so quando sia cambiata la cosa: sono certo che il mio ultimo rifornimento è stato in un punto Eni e i punti me li hanno messi. Sono solo certo che il mio ultimo rifornimento era stato il 21 marzo (e il penultimo il 3 gennaio: non è che qui l’auto venga usata più di tanto). Ad ogni modo, Eni ha tutti i diritti di scegliere come fare le sue promozioni; se però decide di abbassare il prezzo della benzina negli iperself invece che favorire le carte fedeltà non può sperare che la fedeltà rimanga :-)

il giorno che conobbi Andreotti

Che Giulio Andreotti fosse molto malato da un bel po’ era noto a chiunque avesse un minimo di attenzione. Dopo il congelamento in diretta televisiva non solo non era più apparso in televisione, ma anche le interviste sui giornali erano cessate: arrivava giusto qualche articolo in occasione del suo compleanno. La prova del nove è stata non vederlo votare per il presidente della Repubblica. (Già che ci siamo: anche Ciampi dev’essere più di là che di qua, per la stessa ragione).
Torniamo indietro di quasi vent’anni. Doveva essere il settembre 1995: una mia collega e amica romana si sposava, e io ero invitato al matrimonio, e già che c’ero facevo l’organista. La chiesa aveva una conformazione un po’ strana: per la precisione la console dell’organo era in una saletta separata dalla navata principale. Potevo vedere il celebrante, il gruppetto con le chitarre che era vicino all’altare, gli sposi :-), ma non i partecipanti alla funzione. Io non sono capace a starmene fermo: così, nei momenti in cui non mi toccava suonare, mi alzavo a sgranchire le gambe. A un certo punto, un po’ prima della comunione, mi avventuro fino alla navata, e vedo due persone piuttosto anziane sedute nelle prime file, anche se di lato. Toh, penso, quel tipo lì somiglia ad Andreotti. Il pensiero dura quel mezzo secondo, poi me ne ritorno alla mia posizione riservata e continuo a suonare.
Termina la messa, e prima di andare al rinfresco ce ne stiamo tutti fuori sul sagrato. Tenete conto che non è che conoscessi chissà quanta gente, a parte la sposa e i suoi genitori: c’era giusto un mio collega torinese sceso all’Urbe insieme a me, e il celebrante, con cui io e la sposa avevamo anche collaborato per un progetto di lavoro (nostro: nulla che c’entrasse con la religione). Me ne sto lì per un po’ con la mia solita aria “che cavolo ci faccio qui?” e a un certo punto vado a salutare il prete. Lui mi vede, e raggiante mi fa “Ciao Maurizio! Aspetta che ti presento il senatore Andreotti e sua moglie!”
Non saprei dire che faccia io abbia fatto, spero di essermi contenuto: ho salutato, stretto la mano, e via. Durante il rinfresco, che era all’aperto, a un certo punto però sono andato a chiedere alla sposa come mai ci fosse: la risposta è stata “ah, è un caro amico dei genitori di mio marito…”. Il mio commento è stato un altro “ah”. Per la cronaca, era già sotto processo per mafia e fuori dai giochi politici ufficiali: però tre-quattro persone di scorta, molto discrete in effetti, c’erano. In realtà non ho più scambiato una parola con lui: non avevo nulla da dire, e non esisteva nemmeno Wikipedia per dire “scusi, posso scattarle una foto per l’enciclopedia libera?” Ad ogni modo per il momento è l’unico PresConsMin di cui posso dire “l’ho conosciuto di persona” :-)

Quizzino della domenica: Scale mobili

Due amici, Arturo e Zoe, commentano la profondità della nuova stazione della metropolitana.
– “Che lunga questa scala mobile…”, dice Arturo. “Mentre scendevo camminando, ho contato cinquanta scalini!”
– “È solo perché tu sei un pigrone”, replica Zoe. “Io ho camminato a una velocità tripla, e di scalini ne ho contati ben settantacinque.”
Se la scala mobile fosse ferma, quanti scalini si vedrebbero? Immaginate che i due amici camminino a velocità costante.
(un aiutino lo trovate sul mio sito, alla pagina http://xmau.com/quizzini/p095.html; la risposta verrà postata lì il prossimo mercoledì.

_L’anima dell’uomo sotto il socialismo_ (libro)

[copertina] Di “socialismo” in questo libro (Oscar Wilde, L’anima dell’uomo sotto il socialismo (The Soul of Man under the Socialism), Tea 1989, pag. 92, € 5,16, ISBN 978-88-7819-124-2, trad. Luisella Artabano) se ne parla tanto quanto se ne parlava nel PSI degli anni 1980, giusto per fare un confronto storico. Sì, c’è qualche accenno all’inizio e alla fine del testo, soprattutto in salsa anarchica; ricordo che il pamphlet è del 1891, quindi ben precedente a Lenin e quando anarchici come Bakunin erano ancora ricordati. E di che parla, allora? Beh, mi pare ovvio: di Wilde stesso, o più in generale degli artisti che possono essere gli unici uomini veramente liberi. Il socialismo è solo un mezzo perché le macchine facciano il lavoro pesante e la gente possa finalmente fare quello che piace loro, insomma: più che socialismo, individualismo. Ma poi Wilde divaga, e inizia a lamentarsi di tutti gli artisti che invece che seguire la loro ispirazione scelgono di fare quello che piace al pubblico e quindi in un certo senso si prostituiscono: il pensiero della massa per lui è intrinsecamente negativo, e un vero artista ha come scopo quello di portare la massa ad acculturarsi, non certo di dare loro quello che vogliono. Come esempio di “bravo artista” fa poi il nome di George Meredith che “riesce a fondere la riflessione filosofica con l’arte del narrare” (pag. 75): confesso di non averlo mai sentito nominare, ma in fin dei conti io sono massa e conosco al più Gilbert e Sullivan…
La traduzione di Luisella Artabano mi pare un po’ ricercata, e mi chiedo se non fosse stato meglio usare uno stile un po’ più sanguigno; è comunque scorrevole, e il libro si legge molto in fretta anche perché davvero breve; l’introduzione di Luciano Cafagna a mio avviso può essere saltata, perché non aggiunge moltissimo al testo.

io quel ministro lo conosco!

Me ne ero completamente dimenticato – me l’ha dovuto ricordare un’altra wikipediana, tanto per dire quanto sono attento a queste cose. In effetti ho conosciuto personalmente il neoministro dei beni culturali Massimo Bray.
A ottobre 2009 partecipai al convegno Da Diderot a Wikipedia, organizzato dall’università di Padova, con un intervento il cui titolo è chiaramente riconoscibile come opera mia: “Wikipedia, i Pokémon e la teoria della complessità nei sistemi emergenti”. Tra gli altri relatori c’era anche Bray, ai tempi direttore editoriale della Treccani, con “La Treccani e Wikipedia: una coesistenza fruttuosa”. Non lasciatevi fuorviare dal titolo: l’intervento, di cui purtroppo non v’è traccia in rete – tra Treccani e Wikipedia una qualche differenza c’è anche a monte, mica solo sui prodotti editoriali veri e propri! – era piuttosto supponente nei confronti di Wikipedia.
In pratica, il concetto che espresse era “sì, noi mettiamo i link a Wikipedia sui nostri prodotti online, ma tanto sappiamo che quello che facciamo noi è molto, molto, molto meglio”; concetto nemmeno infiocchettato troppo bene, se devo dirla tutta. Avrei capito se avesse detto “noi non abbiamo né i mezzi né la volontà di parlare di tutto: è dunque nostro imperativo morale fare una cernita e dedicarci seriamente a poche migliaia di voci di qualità, lasciando a Wikipedia la cosiddetta raccolta popolare”. L’impressione non solo mia è che invece fosse invidioso del successo di un prodotto dichiaratamente inferiore (ma lo dichiariamo anche noi wikipediani!) mentre l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana si dibatteva e aveva sempre meno fondi a disposizione. Ah, sì: nelle chiacchiere del dopo-convegno si era anche chiesto da dove arrivassero tutti i soldi per Wikipedia.
Sono passati tre anni e mezzo. Molte cose sono mutate, alcune in meglio altre come i fondi a disposizione in peggio. Il mondo Wikimedia continua ad avere tutto a che guadagnare da una collaborazione col MiBAC, ma anche il ministero avrebbe a che guadagnarci dalla collaborazione, e lo si è visto anche l’anno scorso. Chissà che ci riserverà il futuro.