Questa volta (Edward Kasner e James Newman, Mathematics and the Imagination, Dover 2001 [1940], pag. xiv+380, $14.95, ISBN 0-486-41703-4) la Dover presenta la ristampa di un libro di introduzione alla matematica che è datato 1940. È chiaro che non c’è nulla di nuovo per noi che viviamo nel ventunesimo secolo. È forse meno chiaro che lo stesso libro, se venisse scritto oggi, avrebbe probabilmente solo un paio di capitoli in più, su frattali e la teoria del caos; al limite si potrebbe aggiungere qualcosa sulla teoria dei giochi. Oltre a questo, si potrebbe avere l’annuncio della dimostrazione dei teoremi dei quattro colori e di Fermat-Wiles, e un minimo di asciugatura su temi tipo le funzioni poligeniche e i diagrammi a turbina, che non hanno avuto i risultati che gli autori probabilmente speravano. Quello che ho trovato interessante è il fatto che il libro si colloca anche storicamente nel suo tempo, con gli accenni a nazismo e fascismo che sembrano quasi tratti da un documentario dell’epoca; e l’ottimismo degli autori. Pur non parlando nel testo del teorema di indecidibilità di Gödel, e sperando ancora nella possibilità di dimostrare l’ipotesi del continuo (Cohen non era ancora arrivato a rompere le uova nel paniere) è chiaro che Kasner e Newman hanno davanti ai loro occhi la rovinosa fine dell’ambizioso piano di Hilbert. Pure, la loro risposta alla scoperta che la matematica non può essere contemporaneamente coerente e completa è semplicemente “beh, questo prova che con la matematica si può persino oltrepassare i limiti della fantasia”. Direi che è un bel modo di vedere le cose, no?
la prima nebbia della stagione
(questo è un post che servirà agli storici del futuro per tracciare i cambiamenti meteorologici :-) )
Stamattina mi sono trovato a pedalare in mezzo a una foschia abbastanza densa. Milano era limpida (ehm… non allarghiamoci troppo); la nebbia l’ho trovata dal Naviglio pavese all’altezza di Ronchetto ma anche dentro Valleambrosia, dove anzi era ancora più fitta. Come si dice tutti gli anni, non è che ci siano più i nebiun di una volta, ma stavo già meditando di indossare il giubbino ad alta visibilità… che dopo i fasti quando la legge è entrata in vigore oramai si compra a un euro e novanta, non c’è nemmeno gusto.
La certezza del caso
Ieri mi è venuto in mente di scrivere un articoletto per spiegare come mai l’ascolto casuale su un lettore MP3 non sembri casuale. (Per i curiosi: non è ancora linkato perché dovrei rileggerlo e correggere qualche errore, ma lo potete trovare qua). Lo finisco verso mezzanotte, e me ne vado a dormire relativamente contento di me stesso.
Stamattina dò un’occhiata a slashdot e mi trovo questo articolo (inutile, come capita spesso su /.) che punta a un articolo del Guardian con un estratto di un libro dedicato proprio alla cosa (ah: l’articolo lungo, ma molto interessante… perché in Italia nessun quotidiano ha il coraggio di pubblicare simili cose?)
Qualcuno ha ancora il coraggio di parlare di “caso”?
Ez Iz Amerike! (teatro)
Ieri sera siamo stati al Piccolo a vedere il primo dei due spettacoli (di fila…) che quest’anno Moni Ovadia tiene in cartellone. Lo spettacolo è piuttosto diverso da quelli usuali di Ovadia: il filo conduttore è l’emigrazione degli ebrei dall’est europeo negli Stati Uniti e specificatamente a New York, col racconto delle loro vicissitudini, dei primi tristi momenti e del loro successo nello spettacolo e nell’arte. Il tutto condito con le immancabili storielle yiddish, ma anche con riferimenti amerikani più o meno incredibili: Lee Colbert ha cantato una Zumertsayt che non è altro che Summertime in yiddish, oltre a In Vayse Nitl che è nientemeno che White Christmas. D’altra parte, Gerschwin e Berlin erano ebrei, no? Il tutto è accompagnato dalla Moni Ovadia Stage Orchestra che per una volta usa violino e fisarmonica insieme a una sezione di fiati, al contrabbasso e al pianoforte per una contaminazione quasi jazzistica e generalmente molto piacevole.
Il guaio, come dice anche Alberto, è nell’eccessiva lunghezza del tutto e nella disuguaglianza. Nonostante la biglietteria del Piccolo ci avesse spergiurato che lo spettacolo sarebbe durato due ore e mezzo, in realtà sono state tre ore e un quarto. E mentre il primo tempo, anche se lungo, è andato via leggero, nel secondo ci sono stati momenti piuttosto pesanti, come la declamazione della poesia di Allen Ginsberg e anche il finale con il dylaniano Hard Rain’s Gonna Fall. Diciamo che togliergli non dico un’ora ma quasi farebbe molto bene allo spettacolo.
autunno 2
È proprio arrivato il momento. Oggi pomeriggio abbiamo fatto il giro degli armadi. Devo dire che è stato molto meno peggio di quanto temessi: un’ora e mezzo e si era spostato tutto, lavato gli armadi e il cassettone sotto il letto, e rimessa a posto la roba. L’unica cosa che ci è parsa strana è che miracolosamente è rimasto dello spazio libero sotto il letto… ma probabilmente la cosa è dovuta al fatto che i vestiti invernali occupano più spazio.
L’unico piccolo guaio è che domani c’è la seconda parte: giro delle scarpe :-(
L’ozio come stile di vita (libro)
L’autore di questo libro (Tom Hodgkinson, L’ozio come stile di vita [How to be idle], Rizzoli – BUR narrativa 2006 [2004], pag. 314, € 9.40, ISBN 88-17-01138-X, trad. Carlo Capararo) ha fondato una rivista dal nome “The Idler”, insomma l’ozioso. Chi si chiede come sia possibile per un pigro imbarcarsi in una simile avventura probabilmente non ha ben chiaro il concetto alla base di questo stile di vita, e potrebbe trovare utile leggere questo libro, che in ventiquattro capitoli – uno per ciascuna ora – racconta le varie sfaccettature dello stile di vita ozioso, indulgendo forse un po’ troppo sugli aspetti autobiografici e corroborando il tutto con una dovizia di citazioni di altri autori. Pur essendo indubbiamente molto pigro, spesso non sono affatto d’accordo con quelle che scrive Hodgkinson, a dire il vero; ci sono però degli spunti sicuramente interessanti. Purtroppo però il testo è abbastanza ripetitivo, forse perché mi sa tanto che è stato scritto a spizzichi e bocconi; consiglio di leggerlo un capitolo per volta, con molta calma. La traduzione è generalmente buona, tranne in un paio di punti verso la fine dove però anche il correttore di bozze si è assopito… troppo ozio fa male, è chiaro.
una mattina d’autunno
Stamattina, visto lo sciopero dei mezzi, ho preso la mia fidata bicicletta per arrivare in ufficio. E ho scoperto tante cose.
– la mattina inizia a fare freddo: non ho tolto il giubbetto per tutto il viaggio, e il primo chilometro è stato divertente. È vero che sono ancora con le polo a manica corta, però si capisce che è arrivato l’autunno.
– c’era meno traffico del solito. Secondo me, parecchia gente ha preso ferie… o se preferite, lo sciopero dei giornali ha fatto sì che meno gente uscisse in auto a comprarsi il quotidiano preferito :-)
– a Rozzano mi sono trovato un’ambulanza che trainava un’altra ambulanza: sarà, ma mi sarebbe sembrato più logico usare un altro mezzo per il traino
– mi sono trovato davanti a un incidente in fondo a viale Gadio. Una tipa in Mini ha preso sotto una scooterista: per una volta però la colpa non era della tipa in moto. A dire il vero non sono nemmeno riuscito a capire cosa diavolo volesse fare la Mini: dopo avere svoltato a sinistra da viale Alemagna (cosa che si può fare al momento causa lavori in via Paleocapa) ha curvato ancora a sinistra come se volesse tentare un’inversione a U che era tecnicamente impossibile. La moto ovviamente non si aspettava una tale prova di intelligenza: per fortuna non sembra essersi fatta troppo male.
Il 7009 colpisce ancora
D’accordo, non dovevo farlo. Mentre stasera aspettavo il tram, mi sono messo a leggere. Così sono salito, ho timbrato e non ci ho pensato più, fino a quando stava per essere l’ora di scendere. Mi sono alzato, ho ripreso il biglietto da timbrare in metropolitana, e l’ho guardato distrattamente. L’ora segnata di timbratura erano le 12:20. Più che un dubbio, mi prende la certezza: cerco il numero della vettura e verifico che è la 7009. Per tutto settembre sono stato attento al numero della vettura che prendevo: la prima volta che non ci faccio caso ripiglio il tram con la macchinetta killer.
Stavolta provo a comunicare la cosa al gabbiotto della metropolitana, tanto non avevo tutta quella fretta: scopro così che dire “7009” non significa nulla per il dipendente Atm (o magari aveva capito “79”, visto che quel bus passa in piazzale Abbiategrasso) e ci voleva la parolina magica “Sirio”.
Comunque è stato un viaggio di ritorno interessante: per la prima volta mi sono trovato due suonatori ambulanti nello stesso viaggio (Sant’Ambrogio-Lanza e Garibaldi-Centrale), e ho dovuto bloccare la chiusura delle porte della gialla per permettere a una signora cinese con passeggino di entrare (ovviamente non c’è stata una scena tipo Corazzata Potiemkin: io e la signora eravamo già lì e aspettavamo di fianco alle porte che scendessero tutti, e il macchinista ha deciso di azionare il fischio di chiusura mentre ancora usciva qualcuno) Sì, per fortuna domani c’è sciopero dei mezzi.