Oggi pomeriggio sono andato all’Avis a farmi salassare. Avevo anche da fare un giro nel primo pomeriggio, e a Milano stamattina pioveva forte: così ho dovuto lasciare la bicicletta a casa e andare coi mezzi. Fatti un po’ di conti, ho pensato che un biglietto giornaliero sarebbe stata la scelta migliore e così stamattina me lo sono comprato. Tutto bene fino a stasera, quando sono arrivato in piazzale Loreto, sono sceso, ho infilato il biglietto, e mi sono trovato spernacchiato con la scritta sul display “Titolo non corretto”. Controllo di averlo messo nella direzione giusta: niente da fare. Lo giro per vedere che sia effettivamente il biglietto giusto (con la storia che sono tutti con la stessa grafica, come le banconote USA): sì, è lui, e c’è scritto che è stato timbrato alle 8:23 del 7 giugno. Lo faccio vedere al tipo ATM nel gabbiotto, e mi fa entrare. Finita la donazione, arrivo a Piola, riprovo a inserire il biglietto – sono un ottimista nato, io! – continua ad essere un titolo non corretto, aspetto arrivi l’uomo ATM che con l’aria più tranquilla di questo mondo mi fa “ah, ma non c’è problema: basta passare nel varco abbonati”.
Avevo sentito parlare di problemi con i biglietti magnetici, e di per sé ATM stessa (andate in fondo alla pagina) ammette la cosa. Però qui la cosa mi pare esagerata: il biglietto era stato comprato dieci ore fa, ed era stato tenuto nel portafoglio insieme alle altre tessere. Tanto per fare un esempio, con il mio ultimo carnet avevo fatto la prima corsa il 9 maggio e l’ultima il primo giugno, e non era successo nulla: come del resto uno si sarebbe aspettato. Non è che ad esempio il bancomat si smagnetizzi ogni tre per due, no? A questo punto, comincio a capire come mai la sperimentazione del biglietto magnetico stia andando avanti da due anni senza essere ancora terminata.
phishing esadecimale
Beh, innanzitutto complimenti a quelli di erbaghju.com per essersi fatti bucare da un phisher che è riuscito a non essere fermato dal filtro antispam di gmail. Le lettere accentate continuano a mancare, e i dati sono diventati data, ma non sottilizziamo.
Ma il bello è il titolo del messaggio: Oggetto: Comunicazione Nr. 0XD2.0X8D.0XDF.0X4B del 5 Giugno 2007 - Leggere con attenzione, con tutta questa serie di numeri esadecimali che può sembrare stupida, ma equivale esattamente all’indirizzo IP dove bisognerebbe “Confirmare Conto”, vale a dire http://0XD2.0X8D.0XDF.0X4B/bancopostaonline.poste.it.
La cosa interessante, però, è questa riga di header:
Received-SPF: fail (google.com: domain of servizio7419@poste.it does not designate 82.213.36.74 as permitted sender)
Tradotto per i non informatici, gmail ha chiesto al server di poste.it se era normale che qualcuno inviasse un messaggio a nome di poste.it da quel computer, e la risposta è stata “manco per idea!”. Il tutto mostra un ottimo lavoro sia da parte di google che di Poste Italiane… peccato che manchi ancora l’ultimo pezzettino, cioè che ti compaia un bell’avviso a tutto schermo “guarda che probabilmente c’è qualcosa che non va in questo messaggio”. Ma chissà, magari ce la faranno prima o poi.
Che tipo di programmatore sono?
Layos mi ha mandato il link al quisss della settimana, come da titolo di questa notiziola. Ho cercato di schermirmi, facendogli notare come saranno almeno dieci anni che non programmo più: il suo commento è stato “va’ a memoria”. Beh, almeno è un test veloce da fare. Il mio risultato è stato DLSC, che sta per Doer (s’ha ‘dda ‘ffà), Low level (programmo a basso livello), Solo (faccio tutto mi), Conservative (meno codice c’è, meno bachi ci sono).
Diciamo che sull’ultimo punto non posso che essere d’accordo!
sono troppo vecchio per la Coca-Cola
Oggi, invece che andare in mensa, sono stato in pizzeria con un paio di colleghi. Mi sono preso una lattina di Coca-Cola, e ho visto che c’era un concorso a premi “vinci tanti iTunes e un iPod”. Non che ci faccia molto, ma non avevo molto da fare e ho provato a spedire un sms al numero indicato: nessun risultato. Vabbè, mi sono detto, torno in ufficio e provo a inviare il codice dal sito. Non appena collegato, mi sono trovato le solite ventotto schermate dove inserire tutti i dati possibili e immaginabili, il tutto condito dall’ormai onnipresente serie di CAPTCHA. Scrivo tutto, con la calma che è la virtù dei forti, ma non riesco ad essere accettato dal sistema. Motivo? “La data di nascita inserita non è valida”. Oh, non c’è stato verso: fino a quando non mi sono ringiovanito di dieci anni, portando l’anno di nascita al 1973, non sono riuscito a passare il livello… pardon, la schermata. È proprio vero che passati i quarant’anni si è troppo vecchi…
Ah, naturalmente non ho vinto nulla.
Una (ennesima) brutta storia italiana
Non ho scritto nulla sulla vicenda Visco-Speciale (ma come fa uno ad avere un cognome simile?) perché non sono ancora riuscito a farmi un’idea, il che tra l’altro è preoccupante perché significa che ci sono troppe cose oscure. Intendiamoci: posso tranquillamente farmi un’idea sbagliata, non è che sto affermando la mia infallibilità :-). Però qua brancolo nel buio.
Repubblica sta facendo quadrato intorno a Visco, basti pensare che il titolo di sabato scorso era “Rimosso Speciale” e solo nell’occhiello si accennava alla delega alla GdF che il viceministro aveva rimesso nelle mani del governo. Anche oggi si trovano due articoli della task force Bonini-D’Avanzo che si mettono a raccontare di come Tremonti avesse cambiato tutti i vertici della Finanza, come se la cosa servisse a benedire la richiesta di Visco di spostare gli alti ufficiali. Più interessante il fatto, raccontato un paio di giorni fa, secondo cui Speciale l’anno scorso avrebbe fatto una regolare rotazione di tutti gli alti comandi – rotazione usuale per evitare che qualcuno rimanga troppo a lungo nello stesso luogo e rischi di non essere attendibile – tranne che per i quattro “milanesi” di cui Visco chiese lo spostamento. Ed è ancora più interessante notare come la richiesta sia dell’anno scorso, e sia spuntata fuori solamente in questi giorni.
A questo punto, potrebbe anche essere vero che Visco non abbia chiesto l’avvicendamento perché i finanzieri stavano indagando troppo a fondo sull’affaire Unipol, ma per altre ragioni, che possono andare dal timore che si stesse creando un centro di potere alternativo a chissà cosa’altro. La mia sensazione è che Unipol comunque c’entri qualcosa, anche se non è stato il motivo fondamentale. Ma sicuramente il viceministro ha commesso un errore politico enorme nel non fare la richiesta apertis verbis, ma così in segreto – ah: anche nella lettera in cui rimetteva la delega, Visco non ha affatto negato di avere fatto la richiesta. Gli errori politici si pagano politicamente, e Visco avrebbe dovuto dimettersi. Poi, fatto questo, il governo aveva non solo il diritto ma anche il dovere di rimuovere Speciale, perché un militare non può e non deve rifiutarsi di eseguire un ordine amministrativo: ma quello sarebbe stato appunto il secondo momento.
Tutto il resto sono macchiette, da Di Pietro che trova subito il nuovo motivo per prendersela con Mastella a Cossiga che afferma “sono amico di Visco e sono amico di Speciale”. Una banana per i signori.
Strane ricerche
Oggi Anna ha ricevuto una busta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche – Dipartimento di Epidemiologia, con una circolare firmata dal Prof. Alfredo Nicolosi, direttore del dipartimento in questione, che con toni suadenti spiegava che “vi offiramo l’occasione per finalmente raccontare (sic) la vostra esperienza”, indicando i “disturbi che non vengono presi in considerazione dal medico di base”.
Può anche darsi che il questionario sia davvero quello che afferma di essere, anche se Anna, dopo avere letto la parte celeste che era da compilare (pardon, “riempire”) solo dalle persone che hanno disturbi urinari, ha commentato qualcosa tipo “quelli stanno cercando di farsi una base di pazienti per testare un nuovo farmaco. Però uno inizia a pensare male quando scopre che il questionario non deve venire inviato al CNR, ma alla Just in Time S.r.l., che sta sì a Segrate come il dipartimento di cui sopra ma mi pare faccia tutt’altro; e soprattutto pensa molto male quando scopre che il questionario – dove chiedono anche ad esempio il reddito familiare – non è anonimo, ma deve essere firmato indicando chiaramente nome e cognome. A che servono tutti quei dati incrociati?
P.S.: il testo per il consenso ex D.Lgs. 196/2003 c’è, e dice che “i dati saranno uniti in maniera anonima (senza nome) … e i risultati saranno presentati tutti assieme, senza la minima possibilità di identificare chi ha risposto al questionario”, e “I dati personali da Lei forniti non saranno comunicati a nessuno”. A parte che manca l’esplicitazione del fatto che quelli forniti (non i soldi, ma le eventuali malattie dell’apparato urinario) sono dati sensibili, mi chiedo ancora una volta a che serve nome e cognome se tanto affermano di non usarlo.
Abuyon non cadrà (libro)
La mia fama di spietato recensore di libri si sta sempre più diffondendo. Ugo mi ha così spedito questo libro di fantasy (Michele Lerda, Abuyon non cadrà Araba Fenice 2007, pag. 156, € 13, ISBN 9788886771771) chiedendomi di leggerlo e dare un parere.
La storia è molto interessante, e presenta l’enorme vantaggio – almeno per me – di essere fantasy senza riciclare Harry Potter o Il signore degli anelli. Le protagoniste sono infatti due gatte, e il mondo è parallelo a quello degli umani, con qualche punto di contatto come appunto Abuyon. Le trovate che si trovano man mano nel racconto sono spesso inaspettate, come ad esempio il linguaggio Fusa: la storia scorre bene. Detto questo, e tralasciati un paio di refusi (“accattate” invece che “attaccate” a pagina 35, e “I” invece che “Il” a pagina 149), e il piemontesismo “solo più”, devo aggiungere che quello che mi pare mancare nel libro è una visione d’assieme. L’autore ha affermato di averlo scritto di getto, e riguardato solo alla fine: caratteristica che ha in comune con parecchi grandi scrittori dell’Ottocento, ma che porta inevitabilmente a non avere personaggi disegnati a tutto tondo, con un loro carattere ben definito. Per dare un esempio, Milù parte come gatta sempre pronta a mangiare, e poi non la si vede praticamente più interessata al cibo… anche in un romanzo di iniziazione è troppo. Anche alcuni artifici, come quello degli alter ego, sono stati usati un po’ troppo spesso come metodo per togliere le castagne dal fuoco quando la storia si ingarbugliava troppo.
Ma in definitiva quest’opera prima del nostro Camilleri alla rovescia (non solo perché è della Provincia Granda…) lascia ben sperare per il futuro.
Specchio+
Con una decina di giorni di ritardo, racconto rapidamente le mie impressioni sulla nuova incarnazione dell’ex-settimanale – ora mensile, con il “+” nel nome che dovrebbe indicare una miglioria – che esce come allegato de La Stampa l’ultimo sabato del mese. Il costo è di trenta centesimi oltre il prezzo del giornale, restando allineato con gli omologhi inserti dei quotidiani concorrenti: c’è però la differenza che mentre il vecchio Specchio era in abbinamento facoltativo in Piemonte, Val d’Aosta e Ligura, cioè nel bacino storico della diffusione del giornale, adesso mi pare che lo debbano comprare anche loro. Le altre differenze esteriori sono nel formato, che è più grande di prima, e nel dorso, che è di nuovo in formato libro, e non semplicemente spillato. Per quanto riguarda il contenuto, secondo la copertina e l’editoriale il supplemento dovrebbe essere dedicato a “innovazione e creatività”, parole che fanno tanto moderno, e tutto il supplemento dovrebbe avere un respiro più ampio di quello del vecchio settimanale. In pratica? Beh, innanzitutto c’è una quantità incredibile di pubblicità. Sulle 264 pagine del supplemento, ce ne sono 105 che sono réclame per così dire “ufficiali”: quindi escludendo redazionali e liste di oggetti trendy, che in fondo sono sempre pubblicità. Sul resto, mancano le rubriche, che comunque erano già state sfrondate negli ultimi mesi di Specchio, e gli articoli sono sempre più visivi e meno testuali. Capisco che fare dei veri approfondimenti non è così facile, ma non riesco esattamente a capire l’utilità che avrei nel leggere questo supplemento.
Un’ultima curiosità: la redazione di Specchio+ si trova a Milano, in piazza Cavour. Ormai Torino conta sempre di meno.