_Il Barbiere di Siviglia_ (opera)

Beh, diciamo che la giornata non è stata delle migliori. Già io non stavo bene, e alle otto di sera a un certo punto mi è venuta una serie di brividi che non riuscivo più a muovermi. Poi siamo scesi in ritardo da Trento. Abbiamo sbagliato strada per andare a trovarci con gli amici che hanno casa fuori Verona – e io stavo troppo male per dire “al diavolo la cena, lasciamo qua la macchina che siamo già a Verona, inutile andare avanti e indietro”. Il sistema semaforico veronese è altamente pessimizzato. I parcheggi sotterranei erano tutti pieni, e posti in superficie vicino all’Arena non ce n’erano. Come risultato, siamo arrivati con mezz’ora di ritardo, perdendoci tutti i pezzi più famosi e dovendo vedene il primo atto dalla piccionaia. Niente male, visto che i nostri biglietti, ancorché scontati, venivano 75 euro; ma la colpa era nostra, quindi non recrimino affatto.
Detto tutto questo, passiamo all’opera di per sé, anzi no; due parole sull’Arena. Non c’ero mai stato, e devo dire che fa un bell’effetto, soprattutto se come ieri non pioveva e gli spalti erano belli pieni (le ultime file delle poltrone in platea no, a dire il vero: non so se una politica di prezzi last minute potrebbe aiutare, ma mi sa che non gliene importi più di tanto). Però vedere fuori le scene delle altre opere tutte accatastate che sembrano essere pronte per la discarica non è un bello spettacolo, dovrebbero pensarci su.
L’allestimento era “nuovo”, diceva la locandina. Non saprei giudicare la validità di queste enormi rose poste sopra delle siepi, a loro volta posizionate quasi come labirinto che ogni tanto veniva spostato – e questo dalla piccionaia si vedeva molto bene – però posso dire che hanno fatto le cose in grande: alla fine del primo atto ci saranno state quasi cento persone in scena. Oltre ai cantanti, c’erano infatti una quarantina di soldati, e più di venti ballerini. Di questi ultimi confesso di non avere capito l’utilità, se non per riempire le due estensioni laterali del palco; per quanto riguarda le comparse che facevano i soldati, ho trovato divertente uno che nell’intervallo era uscito fuori dal teatro con qualche suo compare e, tirata fuori una macchina fotografica digitale, gli ha detto “Aho’, immortalami!” Essendo Rossini, l’opera è ovviamente buffa: non so però se certi momenti umoristici non cantati sono stati aggiunti dal regista, oppure sono già presenti nella partitura originale. Sicuramente i fuochi d’artificio alla fine sono un’aggiunta moderna, che però stava molto bene.
Della qualità dei cantanti non parlo, perché non ci capisco nulla. Ho comunque notato che già non riesco in genere a capire una voce lirica femminile; il fatto che Rosina non fosse italiana ha ancora peggiorato la situazione, e ho subito perso ogni speranza di comprendere i suoi gorgheggi. Fortunatamente Almaviva, Figaro e Bartolo avevano una dizione molto più chiara, cosa che è abbastanza utile in un posto senza possibilità di mostrare sopratitoli. Mi chiedo anche come faccia uno come Franco Vassallo a cantare come Giorgio Germont nella Traviata un giorno, e come Figaro il giorno successivo: complimenti.
Ultima nota di demerito sul pubblico. Lasciamo perdere quelle che arrivano con tacco sette e scoprono che forse non era il caso: magari la volta successiva impareranno. Ma c’è di peggio. D’accordo, la rappresentazione è finita a mezzanotte passata. Posso capire che qualcuno avesse dei problemi, e dovesse partire in fretta. Ma non credo che la quantità di gente che ha iniziato a sciamare fuori prima ancora che i cantanti uscissero per gli applausi fosse tutta in così gravi ambasce; soprattutto la tipa davanti a noi che si è anche lamentata a voce alta chiedendosi perché la costringessero a uscire per quelle scalinate cosi ripide al buio, e non accendessero le luci. Ecco: a una tipa così non credo che riuscirebbe a entrare in testa il concetto che se le luci sono ancora spente, magari un motivo c’è.
(ah: a parte la stanchezza, alla fine dell’opera ero tornato perfettamente in forma. Merito dell’Arena o di Rossini?)

Murphy

Cioè. Uno sta male (non ce l’ho mica fatta ad arrivare integro a casa in bicicletta… in piazzale Lagosta è rimasta una parte che sarebbe potuta essere di me). E non gli capita ancora di beccarsi in faccia e nei pantaloni una scagazzata di piccione? Che poi è stata la prima che io mi ricordi in vita mia?
(per chi si preoccupasse di me: oggi va meglio, ma mi sa che stamattina ho bevuto troppo)

Bollettino medico

Occhei, è probabilmente meglio adesso che nei giorni scorsi quando ero in Norvegia. Però non è possibile che il primo giorno in cui sono a Milano sia qua a vomitare l’anima: solo quella semplicemente perché non è che oggi abbia mangiato chissà cosa, proprio perché non mi sentivo bene.
Però è anche vero che nel weekend sarò di nuovo in giro, quindi magari la vendetta divina c’è comunque!

Vito Pallavicini

Leggo da Chartitalia che la scorsa settimana è morto Vito Pallavicini. Probabilmente il nome vi dirà poco, al limite a qualcuno verrà in mente un’ode scritta dal Foscolo. A me il nome dà come associazione immediata “Pallavicini-Conte: Azzurro”; ma ho scoperto solo ora che Pallavicini è stato il paroliere di robetta tipo “Insieme a te non ci sto più”, ‘Deborah”, “Tripoli ’69”, “Mexico e nuvole” scritte coi fratelli Conte, o “Io che non vivo (senza te)” e “Le mille bolle blu”. Diciamo che forse gli si può perdonare di avere portato al successo Al Bano, Romina Power e il mio quasi omonimo Toto Cutugno… il tutto essendo un ingegnere chimico.

Garlasco

garlasco No, non vi parlo dell'”omicidio di Garlasco”: la curiosità morbosa non è uno dei miei innumerevoli difetti, e tanto credo che brunovespa™ stia già preparando tutti i modellini da mostrare a Porta a Porta per chi apprezza queste cose.
Il punto è che io sapevo dell’esistenza di Garlasco perché secondo le statistiche di FeedBurner qualcuno da quelle parti si mette a leggere il mio blog, come si vede dal ritaglio di immagine postato qui sopra.
Posso immaginare che la persona in questione – mi rifiuto anche solo di pensare che ce ne sia più d’una – non stia proprio a Garlasco ma nei dintorni. Ancora ieri ci sono stati tre collegamenti da lì, quindi immagino anche che non sia la povera ragazza assassinata. Ma chi mai sarà? Caro/a anonimo/a, non è che vorresti palesarti, anche privatamente?
Aggiornamento: Di per sè un’idea ce l’avrei, anche se il tipo sarebbe vigevanese :-)

Da me a te

Il giorno in cui sono nato, il disco in cima alle classifiche britanniche era From me to you. È anche vero che in quell’anno era difficile non avere un disco dei Beatles :-). Gli USA erano ancora immusicati, e la canzone leader era I will follow him cantata da Little Peggy March, ma magari la ricorderete nella versione cantata in Sister Act. Il tutto dal sito This day in Music. Aspettiamo che Chartitalia faccia lo stesso per l’Hit Parade nostrana… A me toccherebbe Il tangaccio di Celentano.
(via Leibniz*)

Banca “Intensa”

È il mittente di uno dei phishing arrivatimi mentre ero in ferie. Di per sé era anche scritto in un italiano corretto: però mi chiedo se il nome del mittente non sia in un qualche modo legato allo spam di pilloline varie per avere una più intensa vita sessuale…

<em>Sophie Germain – Una matematica dimenticata</em> (libro)

[copertina] (se vuoi una mia recensione più seria di questo e del precedente libro, va’ su Galileo!)
Come per il libretto su Galois, anche qui (Laura Toti Rigatelli, Sophie Germain – Una matematica dimenticata, Archinto – Le mongolfiere 2007, pag. 77, € 9, ISBN 978-88-7768-486-8) abbiamo la storia di un matematico attraverso le sue lettere. No: in questo caso si parla di una matematica: Sophie Germain, una delle prime donne a riuscire ad ottenere una certa fama nelle scienze… nemmeno troppa, a dire il vero, visto che non credo che la conosciate in molti ed è stata financo “casualmente” dimenticata quando si è trattato di ricordare su una placca della torre Eiffel tutti gli scienziati il cui lavoro ha permesso la costruzione del monumento. Purtroppo la realizzazione pratica è molto inferiore. Le lettere sono state messe in ordine casuale – quelle senza data, anche se anteriori, sono lasciate per ultime – e soprattutto manca quel nonsoché che ti permette di sentire la persona come reale. Perlomeno c’è un utile glossarietto con la spiegazione di chi sono i matematici i cui nomi si incontrano nelle lettere riportate; però rimane un senso di dispiacere per quella che sarebbe potuta essere un’ottima occasione per fare vedere al grande pubblico che la matematica non si declina solo al maschile.