Lo stato in cui versa l’università

ricordate la scopiazzatrice? Ne avevo parlato ad aprile.
Bene, ho avuto posta da lei (dopo che il suo ragazzo ha fatto una ricerca sul suo nome). Per ragioni di privacy non posso citare verbatim il suo testo (ma il titolo del suo messaggio, la scopiazzatrice…! IHIHIIHIHIHIHI, sì). La fanciulla doveva fare un esame di matematica, e il professore ha chiesto agli studenti di creare un blog sulla matematica. Come potete immaginare, la fanciulla alla matematica non è interessata per nulla, e il concetto “indicare la paternità di quanto scritto” le è assolutamente alieno, visto che (per lei) era chiarissimo che non poteva averlo scritto lei, quel testo.
In tutto questo io vedo un grosso problema. No, il problema non è la fanciulla: è quel professore universitario, che fa fare delle cose a cui lui per primo non crede (altrimenti la fanciulla non avrebbe preso 30: o volete forse dire che copiare roba senza nemmeno una riga di commento serve a fare matematica?), che non servono assolutamente a nulla, ma fanno tanto “moderno”. Il tutto da una persona che in teoria dovrebbe essere parte dell’élite culturale italiana. Il vero problema è questo.

Il Codacons supera i patrii confini

Persino la BBC riporta la richiesta del Codacons di mettere un tetto al montepremi (in questo caso del Superenalotto) e distribuire tra i premi minori i soldi che altrimenti sarebbero andati al jackpot. Se non sbaglio non è la prima volta che Rienzi fa questa proposta, anche se stranamente mi sono accorto di non averne mai parlato in occasione delle precedenti ondate di caccia ai sei numeri vincenti.
Sapete benissimo che non sono mai stato tenero con il Codacons, ma in questo caso sono dalla loro parte. So perfettamente che allo Stato fa tanto piacere che il jackpot cresca, perché le persone sono sempre più invogliate a giocare e tanti soldini vanno all’erario. Però è anche vero che non penso la vita cambi molto vincendo cinquanta, settanta o cento milioni di euro (lo so, ci sono i gruppi di giocatori che comprano la quota del sistemone: a parte che da buon matematico non comprendo l’utilità pratica del sistemone, vorrà dire che il numero di giocatori del gruppo si ridurrà). In compenso, tutti i giocatori che fanno tre oppure quattro si troverebbero una sommetta maggiore, il che dovrebbe comunque fare piacere. Occhei, la ridistribuzione del reddito è un concetto prettamente marxista: però non credo che Groucho… ehm, Karl pensasse anche ai concorsi a premi. La televisione ha sicuramente rimpiazzato la religione come oppio dei popoli, ma le lotterie non sono poi così dietro.

Parola d’ordine: minimizzare

[comunicato ATM] Come mi ha fatto notare il mio collega Fred, questa settimana siamo in ritardo. L’incidente tranviario milanese del lunedì stavolta è capitato di martedì: come scrivono Cor&Rep, due tram della linea 16 si sono scontrati in corso Vercelli, e sembra ci siano dei feriti non leggeri.
Per una volta, bisogna dire che il sito di ATM è stato immediatamente aggiornato: la home page ha in evidenza la notizia che ho salvato nell’immagine a fianco. Peccato che si siano dimenticati di scrivere come mai ci sia questa modifica di percorso. (Tra l’altro, se ci pensate su un attimo non ha nemmeno senso scrivere di una instant modification: non so voi, ma io non controllo sul sito se è successo qualcosa di particolare, prima di prendere i mezzi)

Come sono diventato stupido (libro)

[copertina] Questo (Martin Page, Come sono diventato stupido [Comment je suis devenu stupide], Garzanti 2005 [2001], pag. 122, € 7,50, ISBN 978-88-11-67844-1, trad. Roberto Rossi) è un libretto molto strano (a parte la stranezza che nell’edizione originale del 2002 che ho letto il titolo nelle pagine interne è “Perché sono diventato stupido”…). La storia di per sé non è chissà cosa: il giovane Antoine, pronto a studiare qualunque cosa pur di non fare nulla di specifico, decide che la sua intelligenza lo sta rovinando e quindi cerca di vedere come obnubilarla, finendo a fare il perfetto yuppie… salvo poi venire salvato dai suoi amici improbabili come lui. Ma in effetti, un po’ come il miglior Benni, il libro vale la pena di essere letto per le divagazioni e le scenette che lo compongono, dal ristorante islandese dove gli amici si riuniscono senza capire assolutamente quali piatti vengano loro propinati ai cento milioni di franchi guadagnati in borsa quando Antoine rovescia il suo caffè (decaffeinato) sulla tastiera del PC alla scuola di suicidio. Non tutto è però uscito così bene: la tiratona sul perché essere intelligenti è una malattia per giunta non riconosciuta dal resto del mondo è lunga e stucchevole. Direi comunque che vale la pena di passare qualche ora nella lettura. La traduzione mi sembra “correttamente pesante”, e direi che è stata la giusta scelta stilistica.

Facebook, privacy e chiacchiere a vuoto

Apis mi chiede “un autorevole parere sul mio blog” riguardo Facebook e la privacy, “considerato che ne parlano Mantellini (2 post), Attivissimo e molti altri”. Io gli ho risposto che di queste cose non ne so niente; però, vivaddio, sono un bloggher, e quindi devo essere per definizione in grado di pontificare su cose che non so. Ecco quindi le mie (assolutamente inutili) considerazioni, per la gioia di quel pezzetto di blogocono che non solo ha conosciuto questo blog, ma non si è ancora scocciato della mia logorrea.
Premessa: ho un account su facebook. Ce l’ho da giugno 2007, secondo i miei record. Sul mio profile ci ho scritto una spataffiata di cose, tutte rigorosamente vere. Mi ci collego regolarmente per ignorare le richieste di amicizia (a meno che non conosca personalmente e seriamente le persone, o abbiamo fatto almeno tre anni di Usenet assieme ai bei vecchi tempi), ignorare il 99% delle varie richieste di far parte di un gruppo o di attivare un’applicazione, ed eventualmente rispondere al messaggio di qualcuno.
La mia personale opinione è che Facebook sia l’esperimento meglio riuscito di social engineering su scala planetaria. Per chi non lo sapesse, il social engineering è il modo più semplice per ottenere informazioni segrete. Crederete mica che i cracker e gli hacker abbiano fatto attacchi bruta forza per penetrare nei sistemi? Figuriamoci. È molto più semplice ricavare la password direttamente dalla persona stessa, magari chiacchierando un po’ e facendo in modo che ti dia implicitamente degli indizi. Facebook è appunto l’estensione di questo concetto. Ti senti invogliato a riempire il tuo profilo parlando di te, perché così i tuoi amici ti possono trovare. (Tra l’altro, nota che il profilo non fa parte dei setting, cioè la parte che viene tipicamente vista come “la sicurezza”). Ti senti invogliato ad accettare tanti amici, perché così ti puoi mantenere in contatto con loro. Addirittura, non appena qualcuno ti manda un messaggio attraverso un’applicazione – e questo è così facile, visto che te lo fa fare di default – tu sei pronto a dare tutti gli accessi in lettura a questa applicazione. E lo fai volontariamente. Il paradiso per un social engineer, non c’è che dire.
Io non sono così paranoico. Come ho scritto, i dati che ho fornito sono parecchi e tutti rigorosamente veri. Però sono tutti dati che non mi dà fastidio riportare, anche in un unico posto il che permette di fare molta fatica in meno a radunarli. D’altra parte, basta leggere il mio blog per avere una quantità simile se non maggiore di informazioni su di me, quindi non è che ci perda così tanto :-) Il guaio è più che altro per chi non è abituato a questa perdita di intimità nell’Era della Rete (e poi magari piange perché pretende il diritto all’oblio…); inoltre non so cosa potrebbe succedere con un’applicazione meme che però ricavi abbastanza dati per fare un profilo demografico di un numero davvero grande di persone.
Se io dovessi rivedere il modello di Facebook, credo che lo farei “a cipolla”: non definirei solo amici ma anche contatti, conoscenti, colleghi, familiari, intimi; renderei impossibile sapere a quale categoria appartiene una persona (un “contatto” non può vedere direttamente nulla, un “conoscente” vede amici colleghi familiari intimi tutti come “conoscenti”, e così via), e per ogni dato lascerei la scelta di indicare fino a che categoria renderlo pubblico, con default “a nessuno”. Ma so anche che un modello del genere non avrebbe mai avuto successo: il bello del social engineering è proprio che funziona proprio perché è il tapino stesso che vuole così, come del resto tutte le truffe anche nella vita reale. Quindi teniamoci Facebook così com’è; e svegliamoci, non sveliamoci!

Niente assistenza medica ai clandestini?

Premessa: ho fatto una ricerca sul sito del Senato, e non sono riuscito a trovare l’emendamento leghista che, secondo Repubblica, vorrebbe cancellare
l’articolo 35, comma 5 del Testo unico sull’immigrazione: «l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità». Di per sé questo non vuol dire nulla, se non che non è così facile cercare un emendamento nel sito del Senato.
Io spero che la notizia sia falsa. D’altra parte, anche se non lo fosse trovo ancora più triste il pensiero che la possa credere vera. L’idea di delazione aprioristica mi fa venire solo in mente la seconda guerra mondiale.
Aggiornamento: (h 17:55) A quanto pare è proprio vero, almeno secondo questo PDF. Non sono abbastanza esperto per capire la differenza per i commi 4 e 6, ma il 5 è indubbiamente cancellato.

allo spammatore UDC trentino

Parlo a te, Michele Trentini.
Già una persona con un minimo di cultura dovrebbe sapere che spammare è Male. Un politico dovrebbe saperlo ancora di più.
Però riuscire a scrivere a me (nato a Torino e residente a Milano) per le elezioni provinciali in Trentino dimostra semplicemente che non hai capito proprio nulla (oltre naturalmente ad avere violato la legge, visto che hai inviato una comunicazione non richiesta). L’unica cosa che mi dispiace è che non credo di avere tra i miei lettori dei residenti in Trentino a cui dire “se proprio volete votare UDC, non date il voto a Michele Trentini”. Però non si sa mai: i motori di ricerca sono fantastici a questo riguardo.

Wall-E (film)

[locandina]Due film in due settimane è una cosa incredibile, per il sottoscritto. D’altra parte eravamo a Novara, non siamo riusciti a visitare la cupola di San Gaudenzio (fare visite gratuite a numero limitato senza prenotazione è una follia), e così ci siamo infilati in uno dei residui cinema novaresi a gustarci Wall-E, l’ultimo film della Pixar.
Il film, come sempre, è scritto per gli adulti, pur lasciando un contesto tale da far divertire anche i bambini; si segue insomma la sana vecchia abitudine del comprare i trenini giocattolo per far divertire il genitore. Confesso di non aver colto almeno metà delle dotte citazioni rinvenute da altri critici: le uniche indubbiamente chiare sono state per me “il blu è il nuovo rosso”, e la musica di “Also sprach Zarathustra”. Aggiungo anche che la trama è insolitamente fallace pur accettando la solita suspension of disbelief iniziale; mi viene quasi in mente che alla Pixar abbiano tentato di far dimenticare la cosa con una grafica che per la prima metà del film è più che eccezionale. La morale del film, “muovi il culo e fai qualcosa per evitare che il tuo pianeta sia sommerso dai rifiuti” è lapalissiana, anche se il tema forse per gli italiani è un po’ troppo scontato (compresi i video che non sono del presidente degli USA ma del CEO della super-iper-corporation, nonostante a prima vista sembri l’opposto… ma da noi non farebbe differenza). Detto tutto questo, a me il film è piaciuto, anche se mi ha lasciato come spesso accade un senso di tristezza. Ah, una cosa davvero meritevole sono le immagini nei titoli di coda, che raccontano inizialmente cosa succede dopo la fine del racconto e poi ripercorrono il film stesso. Consiglio di guardarli attentamente.
Noticina finale: ho detto che il film è più per adulti che per bambini. Però, quando Eve riassembla Wall-E, cambiandogli anche tra l’altro una scheda bruciata, e quest’ultimo riaccendendosi non riconosce l’altro robot, un ragazzino vicino a noi ha detto “Per forza: gli ha cambiato la scheda!”. Magari certe cose loro le capiscono meglio di noi!
(siti ufficiali: italiano e inglese)