Se ho capito bene, Chrysler finirà in amministrazione controllata (il Chapter 11 della relativa legge americana: mfisk avrà sicuramente apprezzato che ieri Mario Deaglio, intervistato da radiopop, abbia gentilmente spiegato al giornalista che bankruptcy non significa affatto bancarotta); si creerà una newco con il 55% in mano al sindacato USA, il 20% alla Fiat, e il resto ai governi USA e canadese. Mentre la Fiat gioisce, i sindacati italiani sono preoccupati per le ricadute sull’occupazione in Italia.
Mah. Sicuramente al momento la Fiat ci guadagna, visto che non sborsa un euro ma solo del know-how, e si prepara per il futuro dove potrebbe forse raggiungere la maggioranza dell’azienda. Ma anche a me resta il dubbio dei sindacati italiani. Quando si fanno sinergie in genere si tolgono posti di lavoro, è una cosa ormai ben nota. Ma soprattutto se è vero che la capacità produttiva di automobili supera del 30% quella ricettiva allora è ovvio che bisogna tagliare la produzione; ma questo non lo si fa con le fusioni… a meno che i lavoratori non siano scarti della fusione stessa. Non sarebbe giusto parlare anche di queste cose?
Parziale libertà di stampa
Immagino abbiate letto (occhei, non l’ho visto sul Giornale o su TGCOM, ma magari oggi è festa e le redazioni online sono ridotto) il rapporto di Freedom House che declassa l’Italia – insieme a Hong Kong e Israele – da “paese a stampa libera” a “paese a stampa parzialmente libera”. Per la precisione siamo al 73.mo posto, a pari merito con Tonga. Il comunicato stampa afferma che l’Italia è ridiscesa tra le nazioni parzialmente libere (lo era già nel 2004) perché la libertà di espressione è limitata dai tribunali e dalle leggi sulla diffamazione e dall’aumentata intimidazione dei giornalisti da parte del crimine organizzato e dei gruppi di estrema destra; c’è inoltre preoccupazione sulla concentrazione della proprietà dei media.
Giusto per mettere le cose in chiaro: nel 1984 ad essere solo parzialmente libera era la Francia. Quello che però mi preoccupa è che nel 2009 la situazione peggiorerà ancora: non solo continueranno ad esserci le intimidazioni di cui sopra, ma si aggiungerà la crisi che toglierà soldi e farà sì che chi farà ancora pubblicità avrà ancora più potere. E non venitemi a dire “ma ci saranno i blogh a tenere alta la bandiera della libertà di stampa”: non ridiamo, dai.
Non firmo, ma voglio esserci lo stesso
Tra le notizie che mi sa non siano passate troppo sui giornali, c’è quella dell’intesa per riforma del modello contrattuale nella pubblica amministrazione, firmata ieri chez Brunetta da tanti sindacati, ma non dalla CGIL; la quale, nella persona del segretario confederale Guglielmo Epifani, si lamenta con un comunicato stampa denunciando la “grave violazione delle regole democratiche”.
Sarà. Ma da quanto ho capito io, questa è semplicemente la ratifica dell’accordo del 22 gennaio, accordo che la CGIL ha deciso di non firmare. Non entro nel merito della validità o meno della scelta. Mi limito a notare che la CGIL non ha cambiato idea e continua ad essere contraria a tale accordo; quindi non aveva certo senso invitarla giusto per salutare il mininistro e chiederle di scattare le foto di rito ai firmatari. Epifani aveva ragione di arrabbiarsi per non essere stato invitato lo scorso novembre alla cena di palazzo Grazioli; tecnicamente quello sarà stato un incontro privato, ma sicuramente aveva un significato ben preciso. Ma non ha ragione di lamentarsi per non essere stato invitato a una cosa che tanto non avrebbe fatto.
troppi gradi di libertà
Come forse ricordate, la legge attuativa del dettato costituzionale sui referendum prevede che essi siano svolti tra il 15 aprile e il 15 giugno. Naturalmente la scelta del 7 giugno non è stata approvata, e nessuno credeva davvero che si potesse votare il 14. Prima non se ne parla nemmeno, quindi si è detto a Camera e Senato di fare una leggina ad horas, come direbbe il PresConsMin.
Bene, la legge c’è stata. Solo che non hanno detto “per l’anno 2009 i referendum si terranno il 21 giugno”, cosa che sarebbe stata troppo semplice. No. «I referendum previsti dall’articolo 75 della Costituzione da tenersi nell’anno 2009 sono indetti per una domenica compresa tra il 15 aprile e il 30 giugno del medesimo anno.» Che il 19 e il 26 aprile siano già passati, non importa. Che comunque ci siano dei tempi tecnici, nemmeno. Ma a questo punto non sarebbe stato più semplice dire che i referendum si terranno in una domenica compresa tra il 15 e il 27 giugno?
P.S.: mentre per le europee si vota in due giorni, sabato pomeriggio e domenica, il secondo turno delle amministrative e il referendum si svolgerà solo la domenica. Vediamo quanto spesso ce lo ricorderanno.
Cavallette 2009
Occhei, domani è la festa del Lavoro e i negozi sono chiusi. Ma sabato sono aperti, e domenica l’Esselunga è pure aperta. Posso solo dire che ho commesso il primo errore andando in automobile a far la spesa – acqua da bere e sabbia per le gatte mi hanno impedito di provare il bel carrellino. Sopravvissuto al blocco di viale Zara ho scoperto che i vigili bloccavano via Veglia, e passi. Ho trovato parcheggio solo al terzo piano, e passi; poi sono cero che con un po’ di attesa sarei potuto fermarmi al primo, ma non vedo perché perdere tempo inutilmente. Quando però ho scoperto che non c’era un carrello libero, ho capito che sarebbe stata una bella serata… dico solo che la coda per le casse arrivava a metà corsie. Mi sa che ho perso il messaggio tv che intimava alla popolazione di chiudersi in casa per il prossimo mese.
chi mi ha cercato?
Oggi ho avuto il telefono a volume zero fino a dieci minuti fa. Non è successo nulla, se non che mia mamma mi ha cercato (perché ieri sera tardi l’avevo chiamata per sbaglio: nessun commento sulla mia abilità nell’usare un telefono) e che c’era una chiamata da un interno di un numero fisso romano: 06.41211.0626. Per la cronaca, non credevo nemmeno potessero passare così tante cifre in rete.
Ho provato a chiamare il numero: dopo un po’ di tentativi in cui era occupato, ha risposto un tipo che mi ha detto “boh, qui è un ufficio grande, c’è tanta gente”. Non mi pareva il caso di chiedere “quale ufficio”, cosa che mi avrebbe potuto dare una dritta: in fin dei conti, non credo fosse qualcuno che mi avrebbe offerto un milione di euro. Se però qualcuno dei miei ventun lettori ha idea di come trovare il proprietario del numero, si faccia vivo :-) (no, paginebianche non funziona, ovviamente, il nemmeno il 1254)
Influenza suina
Berlusconi mangia mortadella in pubblico. Strano: credevo Prodi gli fosse rimasto sul gozzo.
Il Messiah di Händel
Col concerto di ieri sera a Lodi è terminato anche il mio secondo – e mi sa davvero ultimo, almeno per un po’… – impegno col Forum Corale Europeo. Stavolta abbiamo cantato la seconda parte del Messia di Händel, la cosiddetta “piccola Passione”, che termina con l’Hallelujah: un mio sogno da quando diciottenne ho accompagnato all’organo la mia corale parrocchiale.
Preparare cose così complicate non significa solo studiare la parte: occorre anche entrare un po’ nella storia dell’opera, e scoprire così una serie di minuzie davvero interessanti. Il Messia è stato composto in soli 24 giorni, salvo probabilmente avere richiesto qualche modifica perché il vescovo aveva sentenziato che il testo non era troppo cristiano; d’altra parte, le esecuzioni con Händel ancora vivo sono tutte leggermente diverse, con pezzi aggiunti tolti spostati come usava al tempo. Il compositore devolvette l’incasso della prima all'”ospedale dei matti”; tra l’altro, il contralto che scelse era appena stato al centro di uno scandalo – suo marito, impresario teatrale in difficoltà economiche, aveva dato in uso le sue grazie dietro congruo pagamento, salvo poi chiedere il divorzio per infedeltà… – e probabilmente venne scelto anche per solleticare la curiosità dei dublinesi che assistettero alla prima.
Musicalmente ci sono dei punti molto interessanti. Händel è contemporaneo di Bach, anche se i due non si sono mai incontrati, e ha anch’egli contribuito a portare la musica dal barocco verso il romanticismo classicismo. Bach sdoganò il tritono (l’intervallo di quarta aumentata o quinta diminuita, fa-si oppure si-fa) usando l’accordo di settima diminuita, che per noi è più o meno armonico ma alle orecchie delle persone colte nel ‘700 doveva sembrare terribilmente dissonante; Händel prevede vari tritoni nei pezzi più cupi del Messiah: guardando più attentamente la linea melodica, però, i tritoni sono tutti formalmente delle appoggiature sulla nota successiva, un po’ come cantare il pezzetto di scala do-re-mi-fa, scendere al si e tornare sul do. Così poteva dire che formalmente non faceva nulla di vietato dalle regole armoniche del tempo! Addirittura, come nelle altre sue opere, c’è anche un pezzo più arcaico: The Lord gave the Word ricorda molto Purcell.
A proposito di testo e musica, si sente come le note si pieghino al testo: le tonalità usate nei brani che raffigurano la Passione sono piene di bemolli, e le armonie sono più dure – in un punto i contralti entrano con un sol e mentre lo tengono lungo noi bassi rispondiamo con un la bemolle, roba che pensavo si fossero solo inventati i Beatles con Please Please Me. Insomma, se uno riesce a capire l’inglese del 1700 si trova perfettamente a suo agio con la musica. Il coro enorme – stavolta eravamo in novanta – ha sempre una massa notevole, e i contrappunti danno persino un effetto quadrifonico, visto che non eravamo divisi in sezioni ma più o meno sparpagliati: io ad esempio stavo davanti, perché tanto cantavamo da seduti (almeno noi fortunelli… io in effetti spunto sempre troppo a stare in piedi) e facevo parte del gruppetto dei “pochisti” che in uno dei pezzi, All we like sheep, rispondeva al coro tutto.
I concerti del 18 e 19 aprile avevano dei brani per solisti: basso, l’ottimo Davide Rocca che già avevamo con noi per la Nona di Beethoven, tenore e… contraltista, un uomo che cantava in falsetto (o di testa, non sono un esperto musicologo) e sulle prime lascia sempre un po’ di stucco. L’orchestra era molto più piccola che per la Nona, con trombe e timpani che sono arrivati letteralmente “last minute”: una prova e ingresso a metà del concerto, visto che tanto suonano solo nell’Hallelujah. Tra l’altro Martinho Lutero ce l’ha fatto fare a una velocità incredibile; l’ho cronometrato una volta ed è durato 3’17” nonostante una cadenza finale che non finiva più.
A Lodi invece siamo andati il 29 per la seconda parte di un concerto con le Quattro Stagioni di Vivaldi, e ci siamo limitati a tre cori del Messiah col maestro Stefano Lucarelli a dirigere e un bis con Martinho. L’auditorium della Popolare di Lodi è davvero favoloso, sia come forme (con i dischi volanti in cima) che come acustica; a mio parere il coro è stato davvero ottimo, e il pubblico, purtroppo non eccessivo, spero abbia anche apprezzato. Purtroppo mi sa che la mia carriera finirà davvero qua, anche se confesso che ci stavo prendendo gusto.