Mio nipote ha scritto un libro di favole. Ha provato a scrivere a un editore per la pubblicazione, editore che gli ha risposto positivamente: mio fratello mi manda la bozza del contratto per vedere se va tutto bene. Il contratto è sufficientemente standard, anche se mi faceva specie che per un testo cartaceo i diritti durassero solo tre anni; vabbè, la stampa è in print-on-demand ma non si può pretendere più di tanto dalla vita. Ma poi c’è un Accordo Integrativo dove casca l’asino. L’autore può scegliere se comprare (a prezzo pieno…) cinquanta copie del suo libro, oppure 20 copie e venti altri volumi di quella collana, oppure cinque copie e trenta altri volumi di quella collana.
Non so che farà mio fratello, potrebbe anche dire “stavolta ti faccio un regalo e ti compro il libro” nel vero senso della parola: la cosa non è molto importante. Quello che vedo è che in questo modo il rischio d’impresa per l’editore è nullo, giusto dover tenere qualche copia in magazzino per tre anni (la tiratura minima prevista è cento copie). Sì, si appoggiano su Messaggerie, ma questo significa semplicemente che se qualcuno va in una libreria e chiede quel libro allora glielo stamperanno se non hanno più copie e glielo manderanno. Ma la cosa per me peggiore è che tutto questo sia relegato in un Accordo Integrativo. Un sussulto di onestà avrebbe dovuto far mettere tutto nel contratto per la cessione dei diritti: patti chiari e amicizia lunga. Invece a quanto pare le bieche questioni economiche si lasciano sotto il tappeto…
(No, non dico il nome dell’editore. Non lo direi nemmeno se il contatto fosse mio, figuriamoci con una terza parte).