In questi giorni ho scoperto – con colpevole ritardo, lo ammetto – che non c’è più il “tema” alla maturità ma si parla di “testo argomentativo”, o più precisamente «RIFLESSIONE CRITICA DI CARATTERE ESPOSITIVO-ARGOMENTATIVO SU TEMATICHE DI ATTUALITÀ». (Che la maturità non si chiami maturità lo so da una vita, ma è una di quelle cose assolutamente inutili. Per dire, se io chiamo la segreteria della scuola dei gemelli mi chiedono se frequentano le elementari o le medie, mica la scuola primaria oppure secondaria di primo grado).
Nel mio socialino di nicchia ci siamo naturalmente accapigliati a proposito della traccia sull’iperconnessione, con gli insegnanti che si lamentavano perché tracce così servono solo a far scrivere agli studenti quello che i professori – o peggio ancora i funzionari del ministero che aggiustano le tracce… – vogliono sentirsi dire, e il gruppetto di noi anzyani che dopo decenni di vita lavorativa sappiamo sin troppo bene che scrivere quello che l’interlocutore vuole sentire è fondamentale per sopravvivere. La domanda che mi sono poi posto è leggermente diversa: che cosa vogliamo capire dalla prova scritta di italiano alla maturità? La domanda non è poi così peregrina. All’esame orale si vedono le conoscenze maturate, nel secondo scritto pure, ma la riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo a che serve esattamente?
Ultimo aggiornamento: 2022-06-24 12:46