Archivi categoria: obituary

Tecla Dozio

Incontrai per la prima volta Tecla Dozio all’inizio degli anni ’90. Il Web non esisteva, Internet c’era ma solo per pochi intimi e sicuramente non per fare e-commerce, e acquistare libri che non fossero bestseller o scolastici – e magari, Dio non voglia, addirittura non in italiano! – non era mica così facile. Io e un gruppetto di amici fidonettari avevamo l’abitudine di fare un ritrovo annuale a Milano in giro per librerie: uno dei nostri passaggi obbligati era la libreria del giallo (la Sherlockiana) in piazza san Nazaro in Brolo. Non che fossimo amanti dei gialli, ma Tecla aveva un’ottima sezione di fantascienza e da ottima libraia qual era sapeva anche darci delle buone dritte.
Quando poi mi trasferii a Milano scoprii che avevamo un amico comune, Aldo Spinelli: mi capitò quindi qualche volta di trovarci negli stessi posti, oltre naturalmente che nella libreria, anche dopo il suo spostamento dietro l’Arco della Pace e fino alla chiusura anche di quella sede. Sapevo che aveva deciso di trasferirsi in Lunigiana, non sapevo che fosse malata.

Ultimo aggiornamento: 2016-02-08 12:20

Glenn Frey

Su David Bowie non avevo scritto nulla, tanto lo stava facendo tutto il mondo: per Glenn Frey però due parole le spendo volentieri.
Gli Eagles hanno avuto una grande fregatura: quella di avere composto Hotel California che è una di quelle canzoni che sono così famose da fare arricciare il naso alla gente. Oh, a me continua a piacere, ma questa è un’altra storia. Ma la cosa divertente è che avevano cominciato a comporre musica tendente al country&western, salvo poi virare quasi immediatamente sul pop-rock che negli anni ’70 andava così di moda. Poi è arrivato Joe Walsh e le cose sono precipitate: il gruppo si è sciolto, salvo qualche riunione per guadagnare un po’ di soldini dai tour e dalle raccolte, e il povero Frey è stato eclissato dal compare Don Henley :-(

Ad ogni modo, lasciate pure perdere Hotel California e fatevi un giro sulla loro discografia. Io vi lascio con un link a una canzone che a me dice molto… ricordi di quasi trent’anni fa, quando ero giovane e stupido: Wasted Time. (Ora sono anzyano e stupido, ça va sans dire)

Ultimo aggiornamento: 2016-01-19 09:41

Amir D. Aczel

Paolo Marino mi segnala che Amir Aczel, l’autore di L’enigma di Fermat, è morto a 65 anni, di cancro. Leggendo il necrologio sul Washington Post ho scoperto che Aczel era di origini israeliani e aveva scritto libri di matematica “seria” prima di scoprire la sua vena divulgativa. Peccato che il Washington Post sia statunitense e non britannico, perché l’inciso «Anche se alcuni matematici hanno ritenuto “Fermat’s Last Theorem” semplicistico» è davvero umoristico. È chiaro che le tecniche usate per dimostrare l’ultimo teorema di Fermat sono a livello superiore a quello studiato all’università, anche a matematica. Come vuoi spiegare alla gente di che si parla, senza scendere nel semplicistico? Se volete, il guaio è che c’è chi pensa che sia meglio non spiegare nulla, perché i beoti non capirebbero comunque.
Dopo il successo editoriale, Aczel si è riciclato come divulgatore scientifico: la cosa buffa – sempre scoperta dal necrologio, io sapevo solo dei libri fisico-matematici – è che ha scelto la strada opposta a quella di Piergiorgio Odifreddi, scrivendo il libro Perché la scienza non nega Dio dove rintuzza le idee di Richard Dawkins affermando che naturamente non ci sono ragioni scientifiche per affermare l’esistenza di un dio, ma nemmeno per negarla.

Ultimo aggiornamento: 2015-12-15 14:55

Giorgio Israel

Giorgio Israel è stata una di quelle persone con cui non sarei probabilmente mai andato d’accordo, ma di cui ho sempre letto con piacere gli interventi sulla didattica della scienza e in particolar modo della matematica. Molto meno noto di Piergiorgio Odifreddi e sicuramente di idee politiche opposte rispetto a lui (collaborando con Il Foglio e Tempi io lo credevo erroneamente cattolico…), tanto che se non ricordo male è stato consulente di un qualche governo Berlusconi, la sua prosa era sanguigna e irruente, ma trattava i temi con competenza e senza preoccuparsi di mandarle a dire a qualcuno. Roars ripubblica il suo ultimo articolo, tanto per farvi un’idea. Israel era insomma una di quelle persone che leggevi perché sapevi che ti avrebbe dato qualcosa, anche se magari poi rimanevi della tua idea. Ce ne vorrebbero tante, di persone così.

Ultimo aggiornamento: 2015-09-25 12:26

Yogi Berra

Io sapevo che Yogi Berra, morto ieri, era una miniera di aforismi che – diciamo – non venivano fuori proprio come previsto. Sapevo anche più o meno che era stato un campione di baseball (e anche un allenatore vincente). Quello che non sapevo proprio è che era di origini italiane e soprattutto che diede il nome all’Orso Yoghi. Certo, se uno ci pensa su “Yogi Berra” e “Yogi Bear” sono evidentemente simili. Però…

P.S.: Grazie a Language Log, aggiungo un elenco di aforismi di Yogi Berra e l’obituary del NYT.

Ultimo aggiornamento: 2015-09-23 16:32

Marco Scudeletti

Stamattina alle sette guardo la mia bacheca Facebook e leggo uno status di Marco Scud che ieri sera, commentando un altro post scriveva «Tutto sommato sembra il mio ritratto giovanile. Ci dovrei solo aggiungere: Sono un pensionato 72enne, il che fa di me un affamatore del popolo ed un incrementatore del deficit statale e sociale.» Toh, ho pensato, nessuna sbalardata di foto come fa di solito. Alle nove e mezzo leggo su frenf.it che è morto, torno su Facebook e vedo il messaggio di sua moglie Patrizia, che scrive che Marco era morto alle sei e mezzo di mattina.
Con lo Scud abbiamo avuto per anni una running gag su Facebook, con lui che continuava a chiedere l’amicizia e io che continuavo a negargliela. Io ho una policy, stupida quanto volete ma comunque una policy: i miei status sono pubblici ma faccio amici solo chi conosco di persona. L’anno scorso è poi capitato che ci siamo trovati a una cena di friendfeeddari e quindi finalmente era stato accontentato: poi ci si era ancora visti un paio di volte, era anche venuto in Triennale a sentirmi presentare il libro e scattare foto su foto come sua abitudine. Il giudizio più azzeccato è forse quello di Roberto Corda: «alla fine era uno di famiglia, il vecchio zio rompicoglioni». Logorroico e fotorroico, dovevi stare attento a NON chiedergli una foto a meno che poi non ne volessi avere qualche dozzina. (Belle foto davvero, tra l’altro). Diciamo che dovevi prepararti alle sue lunghissime tirate, ma poi alla fine scoprivi che era piacevole sentirlo, soprattutto per la sua solarità in un mondo di musoni incazzosi come è quello che appare spesso nei social network. Non era un buonista, altra categoria che almeno a me fa venire l’orchite, ma proprio una persona positiva, che si tuffava nelle discussioni ma mai a gamba tesa. Non ce ne sono tante di persone così.
Addio, amico mio. Un abbraccio alla MMdM (la Migliore Moglie del Mondo, Patrizia) e ai figli; e una preghiera per te.

Ultimo aggiornamento: 2015-07-21 10:53

Hermann Zapf

Può darsi che io sia stato poco attento, ma non ho visto sull’italica stampa articoli sulla morte di Hermann Zapf, avvenuta la scorsa settimana. È vero che anche sulla stampa estera la notizia è apparsa solo ieri – vedi per esempio questo articolo del New York Times – ma mi sarei comunque aspettato qualcosa. In fin dei conti Zapf nella sua lunghissima vita (è morto a novantasei anni) è stato una fontstar: come per le archistar, anche nel campo delle font tipografiche la seconda metà del secolo scorso ha visto crescere una generazione di designer che hanno rivoluzionato l’uso dei caratteri. La fregatura è che oggi siamo pieni di font che nel migliore dei casi sono scopiazzature con qualche peggioramento rispetto all’originale per evitare problemi di copyright (anche da parte di grandi aziende… Arial è stato commissionato da Microsoft perché una licenza di Helvetica costava troppo) e nel peggiore sono semplicemente illeggibili.

Lo stile di Zapf è molto peculiare: date un’occhiata a questa lista di font composta da lui. Il Palatino nasce dalla scrittura italiana rinascimentale, mentre lo Zapf Chancery (sì, dopo un po’ decise di dare il proprio nome alle font che produceva) è più vicino alla scrittura inglese; poi c’è lo Zapf Dingbats con i disegnini che abbiamo usato quasi tutti per divertirci. Ma credo che la font più interessante sia senza dubbio Optima. Come forse sapete, le font si dividono in graziate e senza grazie (serif e sans serif in inglese): le grazie sono quei trattini che chiudono i caratteri. Le font senza grazie sono relativamente recenti, e hanno iniziato ad avere successo dopo la seconda guerra mondiale perché più leggibili nei cartelloni, mentre le font graziate funzionano meglio a stampa. Quello che in genere non si nota è che il tratto nelle font graziate non è uniforme, ma varia di spessore similmente a quello che succedeva con una penna d’oca, mentre le sans serif hanno generalmente un tratto dello stesso spessore. Bene: Optima è una font senza grazie ma con il tratto a spessore variabile. A prima vista uno non se ne accorge, ma gli rimane una sensazione di grazia :-)

La voce della Wikipedia in italiano su Zapf è molto scarna: meglio leggere quella in inglese, dove ho per esempio scoperto come Zapf si fosse interessato già negli anni 1960 alla tipografia al computer, tanto che fu il primo titolare di cattedra in programmazione tipografica al computer; creò inoltre un linguaggio per la programmazione tipografica, hz-program, di cui si sa ben poco se non che il brevetto venne acquistato da Adobe per il suo InDesign: l’idea fondamentale sembra fosse quella di scalare leggermente i caratteri, oltre naturalmente a lavorare sulla crenatura, perché il rapporto testo/spazio fosse visivamente gradevole. Tutte cose che naturalmente non si potevano fare con i font in piombo… Insomma, Zapf era un tipo di tanti caratteri :-)

(P.S.: sì, font è femminile e non maschile)

Ultimo aggiornamento: 2015-06-11 12:14

Elio Toaff

Scoprii l’esistenza di Elio Toaff (morto ieri a una manciata di giorni dal compiere il secolo di vita) nel 1987, quando pubblicò la sua autobiografia “Perfidi giudei, fratelli maggiori”.
Ovviamente non sono in grado di parlare di Toaff in quanto ebreo né in quanto rabbino. L’impressione che però mi fece leggendo quel libro è stata di una persona non solo di una profonda cultura ma anche di uno spessore umano non indifferente, e soprattutto di una persona positiva, qualità assai rara: mi sa che la sua livornesità abbia contato molto.
Che la terra gli sia lieve.

Ultimo aggiornamento: 2015-04-20 09:11