Umberto Eco, internet e gli imbecilli

Yawn. Direi che questo è il commento più adatto all’esternazione di Umberto Eco, che a margine della sua laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media affermava «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Lo sbadiglio è perché sono anni che ripete le stesse cose contro Internet, dimenticandosi – come fa notare il peraltro direttore del Post Luca Sofri – che le imbecillità che arrivano in rete sono tipicamente prese dalla stampa e dalla televisione. Ma lo sbadiglio è anche perché la frase in questione è indubbiamente vera, ma non significa nulla.

Tra i commenti che ho letto credo che il giudizio che Pasolini diede di Eco quasi mezzo secolo fa in un’intervista fattagli da Oriana Fallaci sia illuminante: «Considera gli italiani: sono sempre padroni del sapere, anche quando sono ignoranti. Non c’è mai un attimo di timidezza, negli italiani, verso il sapere. Un tipo come Umberto Eco, ad esempio. Conosce tutto lo scibile e te lo vomita in faccia con l’aria più indifferente: è come se tu ascoltassi un robot.» Eco è della scuola che pensa che ci siano i docenti e i discenti, e che solo i primi abbiano diritto di parola (e ovviamente ragione su tutto ciò che dicono, perché se uno sa allora sa tutto di tutto). Gli imbecilli ci sono sempre stati e ci hanno sempre invasi. Prima di Internet scrivevano appunto sui giornali, e prima ancora convincevano magari la gente ad andare in guerra “perché era giusto così”.

La tecnologia è neutra: sta a noi imparare ad usarla, e giudicare quanto valgono le affermazioni di chi stiamo leggendo. Quello sì che è importante: il diritto di parola ce lo possono avere tutti, io però rivendico il diritto di scegliere chi ascoltare. Ma mi sa che Mario Tedeschini Lalli abbia proprio ragione, quando con perfida cattiveria fa balenare il pensiero che i suoi colleghi giornalisti hanno fatto con Eco la stessa cosa che facevano con Berlusconi: hanno lanciato l’esca sapendo che l’interlocutore avrebbe mangiato anche amo e lenza, se non addirittura la canna da pesca. Almeno queste sue banalità sono meno da facepalm delle barzellette dell’ex PresConsMin.

P.S.: mi meraviglio che Eco non abbia citato questo racconto.

Ultimo aggiornamento: 2015-06-11 16:03