George Martin

È un po’ ironico che la notizia della morte di sir George Martin (quello senza R.R. in mezzo, tanto per essere chiari) sia stata data da Ringo Starr. Quando Martin siglò il contratto discografico con i Beatles, infatti, la formazione vedeva ancora Pete Best alla batteria, e il produttore disse a John e Paul che il loro compagno poteva andare bene per i concerti live dove tanto non si sentiva nulla, ma non per le registrazioni. Il duo probabilmente non aspettava altro, fece fuori Best (la cui idea di suonare la batteria era “facciamo casino”) e recuperarono il loro amico Ringo… che però si trovò il posto fregato dal session man Andy White per registrare Love Me Do. Vabbè, poi si sono spiegati.
George Martin aveva bisogno dei Beatles: la sua carriera come capo produttore alla Parlophone era abbastanza traballante e c’era bisogno di una spinta. Ma i Beatles avevano bisogno di George Martin. Erano bravissimi a creare melodie ed armonie, ma questo non basta per avere un disco valido. Ci sono mille minuzie a cui fare attenzione. La magia è stata trovarsi e capirsi, come si è visto per il secondo singolo: Martin spingeva per How Do You Do, scritta da altri, il quartetto contropropose Please Please Me e alla sua stroncatura “quel brano non funziona” risposero rifacendolo da capo con i risultati che poi si videro. Non sembra, ma non è affatto facile trovare un rapporto di questo tipo.
Insomma, non so se possiamo chiamarlo “il quinto Beatle”, ma sicuramente è stato un personaggio chiave, che ha avuto una lunga e interessante vita e la cui morte ha reso un po’ più tristi tutti noi fan del quartetto di Liverpool.

Ultimo aggiornamento: 2016-03-11 19:45

11 pensieri su “George Martin

  1. un cattolico

    «la formazione vedeva ancora Pete Best alla batteria, […] la cui idea di suonare la batteria era “facciamo casino”»

    Non so quale sia quella di Ringo Starr, ma gli esiti non è che fossero così diversi… Da batterista (ora quiescente) non ho remore nel dire che Starr era davvero scarsamente dotato (o forse si tratteneva molto, questo solo lui lo sa!). Ovviamente ciò non toglie nulla al godimento di ascoltare un bel brano dei Beatles.

    1. .mau. Autore articolo

      @un cattolico: Ringo come batterista è sempre stato snobbato perché non si mette in mostra. È indubbio che non sappia cantare né comporre (ma tanto c’erano gli altri tre…); ma le capacità tecniche le ha, ed ha anche avuto l’umiltà di restare nell’ombra e dare la base solida su cui gli altri costruivano, e scusa se è poco. Sui duecento brani dei Beatles, ce n’è uno solo in cui perde il tempo e rallenta: You Won’t See Me.
      (Questo lasciando da parte la sua capacità di essere il collante in mezzo a teste molto dure, cosa che è stata anch’essa parte della magia ma non è strettamente legata alla musica)

      1. mestesso

        Che sia stato snobbato ci sta. Che sia dotato proprio no: è un normale batterista normodotato con un carattere che andava bene con il resto della band. Conosco diversi batteristi che sono buoni tanto quanto quindi troppo per dire di più.

        1. .mau. Autore articolo

          mi sa che la tua definizione di “buono” corrisponda alla mia definizione di “virtuoso”.

          1. mestesso

            Probabile. Ho anche l’impressione che tu conosci pochi batteristi ;-).
            Cmq guarda che andare (leggermente) fuori tempo non è (necessariamente) un fattore di demerito per un batterista.

  2. Stefano

    Quanti quinti Beatles… Stu Sutcliffe era uno. Anche Brian Epstein mi pare (a memoria) che nel libro Shout! venisse ad un certo punto descritto così per via di una foto nella quale compariva vestito come loro. Anche George Martin, sicuramente come arrangiatore non solo della meravigliosa (per me) A day in the life. Tutti importanti, tutti citati nelle memorie. Ma sono ancora convinto che i “primi 4” avrebbero cambiato il mondo della musica e non solo quello anche senza di loro

  3. un cattolico

    Maurizio, da Avvenire per l’anniversario dell’incisione di Please, Please Me:

    «De «Scarabaeis» (vulgo Beatles)» (nella rubrica Torquatus a cura di Daniel Gallagher, il sacerdote che cura l’account twitter in latino del Santo Padre):
    http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/torquatus/De%20%C2%ABScarabaeis%C2%BB%20%28vulgo%20Beatles%29_20160322.aspx

    L’Osservatore Romano segue a ruota questo pomeriggio, con un commento all’articolo di Gallagher fatto da Silvia Guidi https://twitter.com/silviaguidi/ :
    http://vaticanresources.s3.amazonaws.com/pdf%2FQUO_2016_067_2303.pdf a pag. 5, dal titolo “Omaggio ai Beatles in latino. E Ringo diventò «Anulatus»”

    1. .mau. Autore articolo

      il mio latino è abbastanza arrugginito :-) ma non mi ricordavo che George Martin da ragazzo non fosse interessato alla musica. E dire che ho letto giusto un mesetto fa della sua gioventù…

      1. .mau. Autore articolo

        Ho controllato. È vero che a 15 anni George Martin ascoltò un preludio di Debussy e si chiese chi fosse stato in grado di creare musica così celestiale, ma aveva iniziato a suonare il piano a 8 anni e aveva persino composto un brano musicale.

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