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Il teorema di Pitagora prima di Euclide

Flavio Ubaldini racconta nel suo blog di come si possa trovare la dimostrazione di un caso particolare del teorema di Pitagora in uno dei dialoghi platoniani, il Menone: Socrate prende uno schiavo e mediante la famigerata maieutica gli fa dimostrare che se abbiamo un triangolo rettangolo con i due cateti uguali l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è il doppio di quella del quadrato costruito su un cateto. Vabbè, per quanto mi riguarda la maieutica è semplicemente il modo in cui chi sa qualcosa fa sì che il suo interlocutore ascolti gli aiuti che gli vengono dati e tiri fuori la risposta pur senza saperla, ma non divaghiamo. La domanda di Flavio è un’altra: “Ma è stato davvero Euclide a dimostrare per primo il teorema di Pitagora?”

Ve lo dico subito. Io non ho prove, ma per me la risposta è un secco no. Intendiamoci, io parlo di una dimostrazione, non della conoscenza del teorema: è abbastanza assodato che i babilonesi e forse gli egizi lo conoscessero già, ma non sapessero dimostrarlo, né gli sarebbe comunque venuto in mente di farlo. Il punto è che la dimostrazione di Euclide, che potete per esempio vedere qui, pare chiaramente fatta per intimorire il lettore. Schopenhauer non aveva tutti i torti quando scrisse che nella dimostrazione di Euclide “si disegnano delle righe e non sappiamo il perché, e solo in seguito scopriamo che erano una trappola (“eine Mausefallenbeweise”) che si chiude all’improvviso e imprigionano il consenso dell’attonito studente”. Euclide aveva le sue buone ragioni per terminare il suo primo libro degli Elementi con questa proposizione, anzi per amor di precisione con quella successiva che è il suo inverso; era un exploit per mostrare che i teoremi di uguaglianza delle aree che aveva dimostrato in precedenza avevano una certa utilità. Ma è molto probabile che la prima dimostrazione trovata fosse sulle stesse linee di quella del Menone ma più generale.

Nella figura qui sopra vedete due quadrati uguali suddivisi in modo diverso. I quattro triangoli rettangoli A, B, C, D sono tutti uguali tra di loro, semplicemente posizionati in modo diverso; i quadrati colorati sono quello costruito sull’ipotenusa da una parte, e quelli costruiti sui cateti dall’altra: il teorema di Pitagora ne segue immediatamente. Una dimostrazione di questo tipo è perfettamente valida (se si accetta l’assunto che spostare una figura non ne cambi la superficie, ma spero che me lo concediate), e alla portata della matematica greca da ben prima di Euclide, anche se posso immaginare come per un precisino come lui potesse sembrare raffazzonata perché non usa la struttura tipica delle sue dimostrazioni. Certo Platone avrebbe potuto farla usare a Socrate, al posto di quella semplificata che troviamo nel dialogo: ma mi sa che la temesse troppo difficile per il filosofo medio…

P.S.: avevo già raccontato la storia tanti anni fa sul Post, qui una copia del testo. Decidete voi quale delle due spiegazioni è la migliore.

L’intelligenza artificiale e la morte della matematica

Sunil Singh

Sunil Singh

Sunil Singh ha scritto vari libri sul “lato umano” della matematica. Non è dunque così strano che su Medium stia pubblicando una serie di articoli nei quali traccia il percorso che sta portando alla morte della matematica, o almeno in quella che si insegna a scuola. (Lui ha insegnato in Canada, ma almeno parte del discorso si applica anche da noi).

La tesi che espone in The “Climate Crisis” In Math Education: There Is No Mathematics è fondamentalmente “Stiamo insegnando sempre meglio ma con sempre meno contenuto”. In pratica i programmi cercano di introdurre i concetti di base (e non solo) della matematica secondo tutti i crismi e seguendo le nuove scoperte pedagogiche per semplificare l’assorbimento della conoscenza, dimenticandosi però la parte fondamentale della matematica: la curiosità. È inutile avere una modalità perfetta di insegnamento, se poi la materia viene vista come qualcosa di noioso. A.I. Is Helping Accelerate Math Education Towards Its Final Resting Place: Dehumanization spiega qual è il vero pericolo dell’intelligenza artificiale, almeno per quanto riguarda la matematica: che l’accesso rapido e illimitato a infiniti contenitori di conoscenza sarà il canto di morte per la curiosità, il fascino e l’umanità che si aveva nell’imparare.

Vero o falso? Come sapete, io non sono per nulla bravo a insegnare, nel senso che parlo di matematica ai convertiti. Me ne accorgo quando (sin troppo spesso) sono costretto a spiegare matematica ai miei figli. Io vedo le cose in un certo modo, di solito diverso da quello riportato nei testi, ma non riesco comunque a passare loro questa mia visione. Ma sono anche convinto che sia una questione ben più ampia che la sola matematica! Io mi perdo a saltare tra le voci di Wikipedia proprio come da ragazzo mi perdevo – con maggior lentezza, ovvio – tra le voci di un’enciclopedia. La curiosità insomma non è tanto legata alla matematica ma è un approccio generale alla conoscenza; i contenitori sono solo un punto di partenza, non di arrivo come paventa Singh. Per quanto riguarda la pedagogia, i libri attuali mi sembrano semplicemente malfatti in modo diverso rispetto a quelli che usavo quasi cinquant’anni fa. Quelli avevano una serie infinita di dati, questi vorrebbero avere un approccio più interattivo ma non ci riescono. Non che io abbia idea di come fare a migliorarli, come scrivevo sopra; però ho il forte sospetto che il problema non sia solo dell’insegnamento della matematica ma sia su tutte le materie. Dovremo forse ripensare tutto l’insegnamento, e non limitarci al nostro orticello. Ma come?

I numeri di Dedekind

funzioni booleane monotone con 0,1,2,3 elementi Il matematico tedesco Richard Dedekind è soprattutto noto per la sua definizione dell’insieme dei numeri reali (i “tagli di Dedekind”), e per la sua corrispondenza con Georg Cantor sulla teoria dei numeri transfiniti. Come molti matematici, però, ha anche fatto altre scoperte: tra le altre cose, nel 1897 studiò una successione di numeri che in suo onore sono detti numeri di Dedekind. (Al momento in cui scrivo non c’è la voce di Wikipedia in lingua italiana, ma potete sempre scriverla voi :-) )

I numeri di Dedekind contano quanti sistemi di un certo tipo si possono costruire con 0, 1, 2, … elementi. Che tipo di sistemi? Beh, ce n’è più di uno, il che fa capire che il concetto ha un certo qual interesse teorico, visto che rappresentazioni apparentemente diverse si scoprono essere equivalenti: qui ne mostro tre. Il primo sistema è quello delle funzioni booleane monotone di n variabili. Una funzione booleana ha come ingresso n variabili che possono assumere solo due valori (Vero e Falso, V/F), ed essendo una funzione ha un solo valore di uscita, sempre V o F. In informatica si usano spesso funzioni a due variabili, come AND, OR, XOR, ma nulla ci vieta di aumentare il numero di variabili. Una siffatta funzione si dice monotona se quando cambiamo un qualsiasi valore di input da F a V si possono dare solo due casi: l’output resta lo stesso oppure passa anch’esso da F a V. La funzione AND è per esempio monotona, mentre XOR non lo è perché XOR(V,F) = V ma XOR(V,V) = F. Il secondo sistema è quello delle anticatene. Dato un insieme parzialmente ordinato, un’anticatena è un sottoinsieme di questo insieme in cui nessun elemento è contenuto in un altro elemento. Per esempio, se prendiamo come insieme parzialmente ordinato quello dei divisori di 30, {2, 3, 5} e {6, 10, 15} sono delle anticatene, poiché nessun elemento dell’insieme ne divide un altro, mentre {2, 5, 15} non lo è perché 5 è un divisore di 15. Se prendiamo un insieme di n elementi e consideriamo il suo insieme delle parti, cioè tutti i suoi sottoinsiemi possibili, abbiamo un certo numero di possibili anticatene. Per n=2, cioè con i soli elementi 0 e 1, le anticatene possibili sono {{0,1}}, {{0},{1}}, {{0}}, {{1}}, {{∅}} e {∅} (notate la differenza tra le ultime due anticatene; la seconda è quella vuota, la prima contiene l’insieme vuoto). Il terzo modo consiste infine nel prendere un ipercubo a n dimensioni, metterlo in modo che si poggi su un vertice e abbia il vertice opposto perpendicolare all’iperpiano passante da quel vertice; in due dimensioni abbiamo un quadrato ruotato di 45 gradi, come vedete nel disegno qui sotto. Se la regola è “non possiamo colorare di blu un vertice dell’ipercubo se ce ne sono di bianchi più in alto”, otteniamo di nuovo sei possibili colorazioni.

Insomma, il numero di Dedekind D(n) corrisponde al numero di combinazioni possibili. Quanti sono? Dedekind trovò che i valori da D(0) a D(4) sono rispettivamente 2, 3, 6, 20, 168. Nel 1940 Randolph Church calcolò (immagino con una calcolatrice elettrica) D(5) = 7581; nel 1946 Morgan Ward calcolò D(6) = 7.828.354; nel 1965 di nuovo Church calcolò D(7) = 2.414.682.040.998; nel 1991 Doug Wiedemann calcolò D(8) = 56.130.437.228.687.557.907.88. La successione OEIS corrispondente si fermò lì fino a questa primavera, quando due diversi articoli mostrarono indipendentemente che D(9) = 286.386.577.668.298.411.128.469.151.667.598.498.812.366. Come racconta Quanta, il problema era che D(9) non può essere calcolato direttamente per la banale ragione che non esisterebbe sufficiente potenza di calcolo in tutto il pianeta, e dunque occorre trovare delle scorciatoie. Ottenere lo stesso risultato calcolandolo in due modi differenti ci permette di essere più che ragionevolmente certi che esso sia quello giusto: anche in matematica ogni tanto bisogna fidarsi dell’output dei computer!

Si potrà mai conoscere D(10)? Secondo Patrick De Causmaecker, coautore di uno degli articoli, tra qualche decennio potremmo farcela. Ma Christian Jäkel, che ha scritto l’altro articolo, è scettico. La cosa buffa è che però esiste una stima analitica che sbaglia di pochi punti percentuali il valore di D(n). In altre parole, abbiamo un’idea abbastanza precisa di quante sono queste funzioni, ma il diavolo si nasconde nei dettagli…

Immagine di Watchduck, da Wikimedia Commons.

Quante nuove soluzioni al problema dei tre corpi!

I punti lagrangiani del sistema Sole-Terra, https://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Lagrange_points2.svg

Come sapete, la teoria della gravitazione newtoniana permette di calcolare le orbite di due corpi celesti che interagiscono tra di loro, dando una formulazione teorica alle leggi di Keplero. Il guaio comincia quando i corpi sono tre: il povero Poincaré pensava di aver trovato una soluzione al problema, ancorché con le orbite descritte per mezzo di una serie infinita di potenze, ma si accorse di aver fatto un errore, e le soluzioni non convergevano. Anche i migliori a volte si sbagliano (ma si accorgono da soli di avere sbagliato); e comunque Poincaré sfruttò l’errore per far nascere la teoria del caos, quindi ci abbiamo comunque guadagnato.
In generale insomma non è possibile prevedere le posizioni relative di un sistema a tre corpi se non per un periodo di tempo limitato; spesso se si lancia un terzo corpo in un sistema a due corpi si può vedere un balletto e poi uno dei tre corpi se ne va via. Questo però non vuol dire che non ci sia nessuna soluzione. Per esempio, già Lagrange aveva scoperto che considerando il sistema Terra-Luna esistono alcune posizioni, i punti lagrangiani appunto, dove si può aggiungere un corpo che rimarrà fermo in quella posizione relativa se non ci sono forze esterne. Nella figura vedete i punti lagrangiani.
Ma quante sono le soluzioni possibili? Il New Scientist riporta che Ivan Hristov, con Radoslava Hristova, Veljko Dmitrašinović e Kiyotaka Tanikawa, hanno preso un supercomputer e trovato 12392 nuove soluzioni che si aggiungono alle meno di 2000 che si conoscevano. Le soluzioni, a differenza di quelle lagrangiane o quelle dei quasi satelliti come Cruithne, prevedono che i tre corpi abbiano la stessa massa. Il risultato è interessante da un punto di vista teorico, perché mostra come almeno in teoria possa esserci stabilità nelle orbite: le condizioni sono però così particolari che non c’è un vero interesse pratico, per la gioia di chi preferisce che la matematica non serva…

(vorrei ricominciare a postare un po’ di matematica tutti i mercoledì, come appuntamento fisso. Non so quanto riuscirò a mantenere il buon proposito)

Ultimo aggiornamento: 2023-09-20 10:02

Perché non fidarsi delle AI generative, parte N

come ChatGPT sbaglia Se volete chiacchierare con una AI, non ci sono problemi. Se volete trovare la risposta a una domanda matematica, io ci starei attento. Nella figura qui sopra vedete l’incipit della risposta di ChatGPT alla domanda “49 + 610 + 320 è primo? Come lo posso dimostrare?”. Se andate su Quora potete cliccare e leggere tutto il suo “ragionamento”.
Peccato che quel numero non sia un multiplo di 13. Probabilmente il metodo predittivo aveva un bias verso certi numeri. Lo si vede fin dall’inizio, quando scrive «We can start by noting that [math]4^2 \equiv 1 \pmod{13}[/math]»: quattro al quadrato fa 16, che chiaramente è congruo a 3 modulo 13 e non a 1. Insomma, evitate di usarlo se volete barare sui compiti a casa: ci sono siti molto più accurati :-)

Ultimo aggiornamento: 2023-09-07 10:40

Dati veri ma presentati male

deviazioni standard per il ghiaccio antartico

Ecco un esempio di grafico da NON usare

Ieri Giulio Betti ha pubblicato su Twitter questo bel thread, che fa luce sul reale significato dell’immagine qui a fianco che ha girato parecchio per i social.

Quel picco verticale indica il numero di deviazioni standard dell’estensione della banchisa artica. Sei sigma è qualcosa di enorme, un fisico delle particelle considererebbe il risultato vangelo. Ma se leggete bene, abbiamo 35 anni di dati (e la media è calcolata su 30, ma questo è un problema minore). Trentacinque anni sono troppo pochi per essere certi che l’anomalia sia davvero così anomala. Qualcosa che non va c’è sicuramente, come si può vedere dal grafico con i valori assoluti della quantità di ghiaccio; ma guardando attentamente quegli altri dati si scopre che l’anomalia è nata alla fine del 2022 e non si è più riassorbita. Anche questo è importante, perché se cerchiamo di spiegare l’anomalia con quello che sta succedendo ora non ce la possiamo fare.

Quello che Betti dice tra le righe è che i più furbi tra i negazionisti (e ce ne sono parecchi: poi non so se ci credano davvero o ritengano di avere la loro bella convenienza a fare così) fanno in fretta a mostrare la falsità del significato dato all’immagine, aumentando i dubbi di chi non ha gli strumenti per farsi un’idea informata. Io lo dico sempre: non inoltrate cose che non sapreste spiegare solo perché coincidono con le vostre idee!

Ultimo aggiornamento: 2023-08-03 15:21

Ci sono solo sette numeri la cui radice cubica è uguale alla somma delle loro cifre

radice cubica di 19683 Se prendete la radice cubica di 512, ottenete 8. Se fate la somma delle cifre di 512, ottenete 8. È un caso? Noi di .mau.ager crediamo di no. D’altra parte, possiamo vedere se la cosa è così comune, cercando tutti i numeri con questa caratteristica. Per esempio 0 e 1 hanno come radice cubica sé stessi, e quindi la somma della singola cifra è uguale alla loro radice cubica: ma magari ci sono altri esempi. Come trovarli?

Per prima cosa, notiamo che il numero non può essere troppo grande. Se avesse sette cifre la loro somma sarebbe al più 7×9 = 63, ma 63³ è un numero di sei cifre e quindi non possono esserci numeri di sette (o più) cifre con quella proprietà. Quindi il numero può avere al più sei cifre, ed essere al massimo 6×9 = 54. Basta pertanto testare tutti i numeri da 0 a 54 e vedere quali hanno la proprietà richiesta. Oltre a 0, 1 e 512 abbiamo 4913 = 17³, 5832 = 18³, 17576 = 26³ e 19683 = 27³. Questi sette sono gli unici numeri di Dudeney, dal nome del matematico ricreativo che – almeno in era moderna – è stato il primo a trovarli tutti.

Notate che a parte 8 i numeri sono a coppie di consecutivi: 0-1, 17-18, 26-27. E questo sarà un caso? Beh, mi sa di sì…

Discreto o continuo?

copertinaHo letto il libro di Daniele Caligiore IA – Istruzioni per l’uso. Non mi è piaciuto molto, ma ne parlerò un altra volta: qui volevo commentare una frase che ho trovato interessante soprattutto per quello che sottintende. Caligiore scrive a pagina 39:

ll problema dell’informazione complessa del mondo reale non è che non possa essere espressa in forma binaria, ma che può non esserlo in forma discreta. Binario o base 10 sono la stessa cosa.

La seconda frase è del tutto corretta: dal punto di vista teorico, lavorare in base 2 o in base 10 non cambia nulla. Occhei, lavorando con calcolatori finiti i numeri (“di macchina”) esprimibili in base 2 non sono gli stessi esprimibili in base 10, almeno se si usa una codifica a virgola mobile: ma non è molto importante. Quello su cui vorrei discutere è se davvero esistono fenomeni che possono essere espressi solo in maniera continua.

La mia prima osservazione è che il verbo usato da Caligiore non è corretto: quello che vogliamo davvero sapere è se l’informazione complessa del mondo reale non possa essere trattata in forma discreta. La differenza è enorme, non tanto per il “discreta” anziché “binaria”, come ho detto sopra, ma per il verbo usato. Noi non vogliamo entrare nelle diatribe se lo spazio e il tempo sono discreti o continui, diatribe che hanno alle spalle due millenni e mezzo di filosofia e mezzo secolo di fisica (se la distanza e il tempo di Planck sono le minime misure esprimibili con le attuali teorie fisiche, non è chiaro se esista qualcosa al di sotto di esse). Vogliamo semplicemente capire se possiamo usare un formato digitale e ottenere dei risultati pratici sensati. In fin dei conti, poi, l’uso di equazioni nel campo continuo per modellare le informazioni fisiche nasce con Galileo. È ovvio che il continuo era già considerato in passato: pensate al sistema tolemaico con cicli ed epicicli per rappresentare le orbite terrestri: ma il movimento era pensato come geometrico e non analitico, tanto che poi si usavano le tavole numeriche per ottenere il risultato originale.

Passiamo dunque alla domanda davvero importante, almeno per me. L’informazione del mondo reale può essere trattata in modo digitale? Caligiore sa sicuramente che i nostri neuroni lavorano in modo discreto: sotto una certa soglia di input non fanno nulla, sopra di essa lanciano una scarica. E sa ancora meglio che i modelli di IA che abbiamo adesso scimmiottano questo comportamento con neuroni virtuali il cui input può tecnicamente essere definito continuo (i pesi sono numeri di macchina semplicemente per le limitazioni hardware, ma sono da intendersi come approssimazioni di numeri reali) ma che hanno un output essenzialmente discreto. Si potrebbe trattare meglio l’informazione del mondo reale in modo analogico? In linea di principio può darsi. Ma dire che potrebbe darsi che sia impossibile trattarla in modo digitale significa che nemmeno noi esseri umani possiamo trattarla, il che di nuovo è di per sé possibile ma sicuramente preoccupante per le nostre speranze di capire il mondo. Quello di Caligiore mi sembra insomma un non-problema, o se preferite una frase a effetto buttata lì…