Non so a chi mercoledì scorso sia capitato di leggere il paginone della Stampa dedicato a Franceschini che avrebbe cercato di «convincere i 27 colleghi dell’Ue che è arrivato il momento di superare l’anomalia europea della doppia tassazione per i libri», cioè ad abbassare l’Iva sui libri elettronici. L’articolo è del 24 settembre, si intitola “Non possiamo tassare gli ebook come fossero videogiochi”, e lo trovate qui. Ora si dà il caso che io abbia un minimo di conoscenza del tema, per banali ragioni come il fatto che di ebook ne ho pubblicato uno (e tra poco pubblicherò il secondo) e quindi ho scoperto sulla mia pelle una serie di informazioni che – chissà perché – non collimano proprio all perfezione con quanto scritto in quell’articolo. Provo a spiegarvele qui.
Partiamo con un dato di fatto: in Italia l’Iva sui libri è al 4% (assolta alla fonte dall’editore: per quello negli scontrini l’Iva non è indicata) mentre quella sugli ebook è al 22%. Su quello non ci piove. Perché questa differenza? Non si sa esattamente: da un lato occorre notare che un ebook non è venduto ma viene data un licenza d’uso, proprio come un vidceogame – e quindi non è così strano che venga fatta pagare la stessa Iva, no? – e dall’altro sembrerebbe che ci fosse una direttiva europea che impedisse di mettere un’Iva più bassa sugli ebook. È vera quest’ultima cosa? Non proprio. Per esempio, in questo momento il Lussemburgo ha un’Iva del 3% sugli ebook e anche la Francia ha abbassato l’aliquota al 5,5%. È permesso fare questa cosa? Sì e no. Lussemburgo e Francia sono state deferite alla Corte Europea di Giustizia, ma c’è appena stata una sentenza, perché un editore finlandese aveva presentato un ricorso perché l’Iva sui libri in formato digitale su ebook era diversa da quella sui libri di carta. La sentenza afferma che le singole nazioni possono (non “devono”, attenzione) applicare aliquote diverse. Resta tutto come prima, insomma, o quasi. La sentenza non si applicherebbe comunque direttamente agli ebook, visto che afferma che non è vietato che «books published in paper form are subject to a reduced rate of value added tax and books published on other physical supports such as CDs, CD-ROMs or USB keys are subject to the standard rate of value added tax.»; quella potrebbe essere l’unica ragione per cui Franceschini potrebbe cercare di mettere d’accordo i 28 sul fatto che gli ebook scaricabili siano equiparabili ai libri di carta, anche se la procedura di infrazione contro Francia e Lussemburgo sembra ferma, probabilmente per le ragioni che spiego sotto.
In effetti, quando nell’articolo si accenna alle lamentele degli editori (che, cito dall’articolo, «vorrebbero dal governo un “passo concreto” analogo a quello compiuto da Francia e Lussemburgo, che nel 2012 hanno deciso di sfidare le direttive europee e abbassato l’Iva sugli ebook»), la cosa non è così chiara. In effetti per capire esattamente il problema occorre sapere che dal prossimo gennaio una legge comunitari eliminerà il cosiddetto “Amazon loophole”. Se voi avete comprato ebook chez Bezos vi sarete accorti che sono spediti dal Lussemburgo. Perché? Perché così l’Iva è appunto al 3% e non al 22%. Ma dal primo gennaio 2015 l’Iva da calcolare sarà quella della nazione dove risiede il consumatore: quindi per noi tornerà al 22%. Cosa significa? Semplice. Se voi avete comprato il mio librino a 1,99 euro da Amazon, la suddivisione di quei soldi è questa:
– 0,06 €: IVA
– 0,58 €: Store (in questo caso, Amazon)
– 0,14 €: distributore (sì, negli ebook esiste sempre il distributore)
– 1,21 €: editore e autore (nel mio caso, 42 centesimi a me e 79 all’editore, se non ho fatto male i conti)
Trovate le stesse suddivisioni del totale se l’avete preso su iTunes o su Kobo. Se invece l’avete comprato su LaFeltrinelli.it, le cifre diventano 0,36 €, 0,49 €, 0,11 € e 1,03 € (36 centesimi per me e 67 per l’editore). Cosa succederà quindi dal primo gennaio prossimo? Che gli editori perderanno parte dei loro guadagni (li perderanno anche tutti gli altri attori, ma nel contesto dell’articolo è irrilevante). Non è così strano insomma che stiano premendo su Franceschini: quello che è strano è che, visto il pronunciamento della Corte di Giustizia, Franceschini dica che bisogna muoversi tutti insieme. Questa è una palla: proprio perché non ci sarebbe più distorsione della concorrenza – io il mio libro lo pagherò comunque con l’Iva italiana – la Corte Europea di Giustizia non dovrebbe più preoccuparsi.
Certo, Franceschini afferma: « «Abbiamo valutato varie opzioni, tenendo presente anche lo specifico del contesto italiano, nel quale non si può portare l’Iva dal 22 al 4% perché l’aliquota del 4% è già in deroga rispetto all’Europa.» Vero o falso? È vero che l’aliquota del 4% è “in deroga”, in un certo senso: ma se andiamo a leggere l’articolo 98 della direttiva europea sull’IVA, troviamo scritto
«1. Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.
2. Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III.
e il punto 6 dell’allegato III recita
6) fornitura di libri, inclusi quelli in locazione nelle biblioteche (compresi gli stampati, i fogli illustrativi ed il materiale stampato analogo, gli album, gli album da disegno o da colorare per bambini, la musica stampata o manoscritta, le mappe e le carte idrografiche o altri tipi di carte), giornali e periodici, escluso il materiale interamente od essenzialmente destinato alla pubblicità;
. Insomma, la deroga è semplicemente perché quell’aliquota Iva non è la standard, esattamente come la mortadella paga il 10% e non il 22%.
A onor del vero il terzo comma dell’articolo 98 dice che «Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi di cui all’articolo 56, paragrafo 1, lettera k)» e i servizi in questione sono «i servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui all’allegato II»; se però andiamo a vedere l’allegato non si parla di libri ma di
1)Fornitura di siti web e web–hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature;
2)fornitura di software e relativo aggiornamento;
3)fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati;
4)fornitura di musica, film, giochi, compresi i giochi di sorte o d’azzardo, programmi o manifestazioni politici, culturali, artistici, sportivi, scientifici o di intrattenimento;
5)fornitura di prestazioni di insegnamento a distanza.
e dunque torniamo al punto iniziale: se l’editore ti dà una licenza d’uso dell’ebook e non ti dà un libro, non può pretendere che l’Iva sia diversa da quella di un videogioco (e non stiamo a rompere sul fatto “sì, ma l’ebook si duplica come niente”: certo, ma non è che dire che hai la licenza d’uso ti impedisce di duplicarlo).
Ma quanto ci guadagna lo Stato dal mercato degli ebook? Partendo da questi dati dell’Associazione Italiana Editori, il mercato 2013 è stato (prezzi di copertina) di 1,23 miliardi di euro. Se il digitale vale il 5%, parliamo di 60 milioni, e quindi di una differenza (teorica, perché come detto sopra buona parte di quel 5% è stato venduto partendo dal Lussemburgo) di una dozzina di milioni di euro. Vogliamo essere ottimisti, pensare che il mercato quasi raddoppierà (probabilmente gli editori direbbero di no, perché significherebbe cannibalizzare le edizioni cartacee) e porterà il totale dei mancati incassi Iva a venti milioni di euro? Facciamolo.
Ultimo aggiornamento: 2014-09-29 16:37