Archivi annuali: 2014

Google e i giornali (tedeschi)

Leggo sul Post (sono andato anche sul blog tedesco di Google, ma ammetto che è stato troppo difficile per me e non mi sono fidato di usare un traduttore automatico) che dalla prossima settimana Google.de non mostrerà più le anteprime delle notizie di vari giornali tedeschi, a partire da Bild. Motivo di tutto questo? Una recente legge tedesca che afferma che titolo e link sono liberamente utilizzabili, mentre per anteprime e ritagli occorre chiedere il permesso e acquisire i diritti dalle società editrici. Google ha detto “Bene: o mi date gratuitamente il diritto, oppure vi scordate che io vi dia dei soldi. Nel secondo caso mi limiterò a mettere titolo e link, come mi è permesso senza dover chiedere nulla”.

Chi ha ragione in tutto questo? Boh. Diciamo che se Google non avesse messo neppure titolo e link alle notizie allora avrebbe sicuramente avuto torto, ma sono stati abbastanza furbi da non farlo. Tra l’altro non so neppure cosa succederà con gli altri motori di ricerca: se per esempio Axel Springer decidesse di permettere a Bing di inserire gli snippet a Bild senza pagare, o pagando una cifra simbolica, Google avrebbe il diritto di ricorrere in tribunale per discriminazione? Vedendo le cose da un altro punto di vista, qual è la quantità di informazione che risulta sufficiente per un lettore, e quindi non lo invita a cliccare effettivamente sul link e andare sul sito del giornale – che a questo punto può guadagnare qualcosa con la pubblicità sul proprio sito? Certo, esistono giornali che ormai non hanno titoli ma click-bait, come raccontavo qualche mese fa: una rapida occhiata a Bild mi ha fatto capire che in Germania non siamo ancora a questo livello ma non si sa mai cosa potrà capitare tra poco. Per quanto mi riguarda, credo che ci sia una bella differenza tra venire a sapere una notizia e leggere un articolo, e non capisco perché io debba fare un clic in più nei molti casi in cui quello che mi importa è solo la prima cosa; ma magari è colpa mia, che voglio tutto e subito. Voi che ne pensate?

Ultimo aggiornamento: 2014-10-03 16:26

Non sono così originale

Dopo non so quanti anni, Telecom mi ha assegnato un bel furbofono: il Sony Xperia Z2 (“la piastrella”). Sto ancora cercando di abituarmi all’interfaccia Android, che in un paio d’anni è incredibilmente migliorata; ma quello che mi ha davvero stupito è l’autocompletion.
Sul vecchio tablet (“il racchettone”) funzionava sì e no, più no che sì; qui mi indovina la parola dopo tre o quattro lettere, senza che io abbia ancora scritto chissà cosa.
Insomma, mi sa che la mia prosa non sia così frizzante come pensavo…

(però postare da furbofono come sto facendo ora è sempre una mezza chiavica, intendiamoci)

Ultimo aggiornamento: 2014-10-02 10:43

mi hanno sbagliato il nome :(

Innanzitutto, dovete sapere che giovedì 16 ottobre alle 15 sarò a Settimo Torinese – Biblioteca Archimede, sala Levi – per fare una chiacchierata matematica nell’ambito della seconda edizione del Festival dell’Innovazione e della Scienza.

Detto questo, sappiate che nonostante quanto scritto nella brochure non mi sono mai chiamato Paolo. (Ovviamente me ne sono accorto solo ora, mica faccio ricerche di ego surfing con un altro nome!)

Ultimo aggiornamento: 2014-10-01 12:06

_L’uomo che credeva di essere Riemann_ (libro)

[copertina] Intorno a pagina trenta di questo libro (Stefania Piazzino, L’uomo che credeva di essere Riemann, E/O 2014, pag. 134, € 15, ISBN 978-8866324386) stavo per esercitare uno dei diritti del lettore e lasciarlo perdere. Poi mi sono detto che in fin dei conti non era troppo lungo e potevo fare uno sforzo; per fortuna è un po’ migliorato, anche se non mi sentirei proprio di parlare di capolavoro. L’idea di base del libro, mescolare psicanalisi e matematica con il protagonista che deve curare il genio matematico che crede di essere diventato Bernhard Riemann alll’apprendere la falsa notizia che la congettura di quest’ultimo era stata dimostrata, è interessante: ma tutta la parte iniziale dove il professore pensa di essere Riemann adolescente è piuttosto stucchevole e la parte di spy story completamente fuori bersaglio (anche se la congettura fosse verificata non succederebbe in realtà nulla agli algoritmi di crittografia a chiave pubblica che usiamo: avremmo solo dimostrato che la struttura dei numeri primi è la più uniforme possibile nella sua non uniformità). In compenso le chiacchiere nella seconda metà del libro sono piacevoli, così come gli scorci di Milano, tra Villa Necchi Campiglio e il vecchio psicanalista (avrei detto fosse Cesare Musatti, ma mi sa che era già morto nell’anno non meglio identificato in cui il libro è ambientato). Per quanto riguarda la parte psicoanalistica non posso dare alcun giudizio, non sapendone nulla. Il risultato finale? un mah.

dinamiche da giardinetti

Davanti all’asilo dei miei bimbi ci sono dei giardinetti. Niente di che, tre giochi in croce e qualche panchina, poi fuori dal recinto un campo di basket, una specie di gazebo dove ogni tanto ci sono dei sudamericani che si allenano a fare coreografie di danza, e una microcollinetta che copre il parcheggio sotterraneo gestito da ATM. Ogni tanto viene fatta una raccolta di firme per avere una macchina dei vigili a stazionare la mattina per mandare via un po’ di gentaglia; al pomeriggio generalmente trovi solo mamme nonne e bimbi di varie nazionalità.

Oggi pomeriggio come al solito c’eravamo anche noi, nel senso di io e i cinquenni; loro a giocare con i compagni di scuola, io a chiacchierare. A un certo punto arriva Jacopo e mi dice “non c’è più il mio monopattino!” Io do un’occhiata in giro e non vedo il monopattino. Ricontrollo più attentamente tutta la parte recintata: niente da fare. A questo punto esco e comincio a cercare in giro. A un certo punto vedo, ben lontano e verso la parte della collinetta, un bimbo su un monopattino. Vado a vedere più da vicino: il bimbo intanto se ne sta salendo sulla rampa della collinetta. Arrivo sotto la rampa e verifico che il monopattino è quello di Jacopo. Dico al bimbo “Di chi è quel monopattino?”: e lui “È mio”. Io replico “No, non è tuo, perché è quello di mio figlio” e me lo prendo. (Non preoccupatevi: il bimbo in questione era in piedi vicino al monopattino: non l’ho toccato né si è dovuto spostare).

A quel punto la madre del bambino, che era a qualche metro di distanza, inveisce contro di me perché non si fa così, che quello era un bambino di tre anni e mica mi stava rubando il monopattino; dopo che le ho risposto dicendo che non ho dubbi su cosa diventerà il bambino con una madre simile ha continuato a prendersela con me, fiancheggiata poi dalle sue compagne che casualmente erano sedute vicino a dove mi ero fermato io.

Ora, io ho un bambino che è un esperto nel prendere roba altrui, da anni. Il punto è che mi ricordo perfettamente che quando lui aveva tre anni faceva la posta alle biciclette degli altri bambini, e appena le posavano davanti ai loro genitori quello lì si piantava davanti e chiedeva “Signora? Posso?” (E comunque se ne stava nella zona recintata). Se Jacopo avesse fatto quello che ha fatto l’altro bambino, per prima cosa mi sarei scusato con l’altro genitore e per seconda cosa l’avrei sgridato perché le cose non si prendono senza chiedere.

Inutile specificare la nazionalità della signora in questione.

Ultimo aggiornamento: 2014-09-29 19:41

ebook, Iva, ciurlate nel manico

Non so a chi mercoledì scorso sia capitato di leggere il paginone della Stampa dedicato a Franceschini che avrebbe cercato di «convincere i 27 colleghi dell’Ue che è arrivato il momento di superare l’anomalia europea della doppia tassazione per i libri», cioè ad abbassare l’Iva sui libri elettronici. L’articolo è del 24 settembre, si intitola “Non possiamo tassare gli ebook come fossero videogiochi”, e lo trovate qui. Ora si dà il caso che io abbia un minimo di conoscenza del tema, per banali ragioni come il fatto che di ebook ne ho pubblicato uno (e tra poco pubblicherò il secondo) e quindi ho scoperto sulla mia pelle una serie di informazioni che – chissà perché – non collimano proprio all perfezione con quanto scritto in quell’articolo. Provo a spiegarvele qui.

Partiamo con un dato di fatto: in Italia l’Iva sui libri è al 4% (assolta alla fonte dall’editore: per quello negli scontrini l’Iva non è indicata) mentre quella sugli ebook è al 22%. Su quello non ci piove. Perché questa differenza? Non si sa esattamente: da un lato occorre notare che un ebook non è venduto ma viene data un licenza d’uso, proprio come un vidceogame – e quindi non è così strano che venga fatta pagare la stessa Iva, no? – e dall’altro sembrerebbe che ci fosse una direttiva europea che impedisse di mettere un’Iva più bassa sugli ebook. È vera quest’ultima cosa? Non proprio. Per esempio, in questo momento il Lussemburgo ha un’Iva del 3% sugli ebook e anche la Francia ha abbassato l’aliquota al 5,5%. È permesso fare questa cosa? Sì e no. Lussemburgo e Francia sono state deferite alla Corte Europea di Giustizia, ma c’è appena stata una sentenza, perché un editore finlandese aveva presentato un ricorso perché l’Iva sui libri in formato digitale su ebook era diversa da quella sui libri di carta. La sentenza afferma che le singole nazioni possono (non “devono”, attenzione) applicare aliquote diverse. Resta tutto come prima, insomma, o quasi. La sentenza non si applicherebbe comunque direttamente agli ebook, visto che afferma che non è vietato che «books published in paper form are subject to a reduced rate of value added tax and books published on other physical supports such as CDs, CD-ROMs or USB keys are subject to the standard rate of value added tax.»; quella potrebbe essere l’unica ragione per cui Franceschini potrebbe cercare di mettere d’accordo i 28 sul fatto che gli ebook scaricabili siano equiparabili ai libri di carta, anche se la procedura di infrazione contro Francia e Lussemburgo sembra ferma, probabilmente per le ragioni che spiego sotto.

In effetti, quando nell’articolo si accenna alle lamentele degli editori (che, cito dall’articolo, «vorrebbero dal governo un “passo concreto” analogo a quello compiuto da Francia e Lussemburgo, che nel 2012 hanno deciso di sfidare le direttive europee e abbassato l’Iva sugli ebook»), la cosa non è così chiara. In effetti per capire esattamente il problema occorre sapere che dal prossimo gennaio una legge comunitari eliminerà il cosiddetto “Amazon loophole”. Se voi avete comprato ebook chez Bezos vi sarete accorti che sono spediti dal Lussemburgo. Perché? Perché così l’Iva è appunto al 3% e non al 22%. Ma dal primo gennaio 2015 l’Iva da calcolare sarà quella della nazione dove risiede il consumatore: quindi per noi tornerà al 22%. Cosa significa? Semplice. Se voi avete comprato il mio librino a 1,99 euro da Amazon, la suddivisione di quei soldi è questa:
– 0,06 €: IVA
– 0,58 €: Store (in questo caso, Amazon)
– 0,14 €: distributore (sì, negli ebook esiste sempre il distributore)
– 1,21 €: editore e autore (nel mio caso, 42 centesimi a me e 79 all’editore, se non ho fatto male i conti)

Trovate le stesse suddivisioni del totale se l’avete preso su iTunes o su Kobo. Se invece l’avete comprato su LaFeltrinelli.it, le cifre diventano 0,36 €, 0,49 €, 0,11 € e 1,03 € (36 centesimi per me e 67 per l’editore). Cosa succederà quindi dal primo gennaio prossimo? Che gli editori perderanno parte dei loro guadagni (li perderanno anche tutti gli altri attori, ma nel contesto dell’articolo è irrilevante). Non è così strano insomma che stiano premendo su Franceschini: quello che è strano è che, visto il pronunciamento della Corte di Giustizia, Franceschini dica che bisogna muoversi tutti insieme. Questa è una palla: proprio perché non ci sarebbe più distorsione della concorrenza – io il mio libro lo pagherò comunque con l’Iva italiana – la Corte Europea di Giustizia non dovrebbe più preoccuparsi.

Certo, Franceschini afferma: « «Abbiamo valutato varie opzioni, tenendo presente anche lo specifico del contesto italiano, nel quale non si può portare l’Iva dal 22 al 4% perché l’aliquota del 4% è già in deroga rispetto all’Europa.» Vero o falso? È vero che l’aliquota del 4% è “in deroga”, in un certo senso: ma se andiamo a leggere l’articolo 98 della direttiva europea sull’IVA, troviamo scritto

«1. Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.
2. Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III.

e il punto 6 dell’allegato III recita

6) fornitura di libri, inclusi quelli in locazione nelle biblioteche (compresi gli stampati, i fogli illustrativi ed il materiale stampato analogo, gli album, gli album da disegno o da colorare per bambini, la musica stampata o manoscritta, le mappe e le carte idrografiche o altri tipi di carte), giornali e periodici, escluso il materiale interamente od essenzialmente destinato alla pubblicità;

. Insomma, la deroga è semplicemente perché quell’aliquota Iva non è la standard, esattamente come la mortadella paga il 10% e non il 22%.

A onor del vero il terzo comma dell’articolo 98 dice che «Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi di cui all’articolo 56, paragrafo 1, lettera k)» e i servizi in questione sono «i servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui all’allegato II»; se però andiamo a vedere l’allegato non si parla di libri ma di

1)Fornitura di siti web e web–hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature;
2)fornitura di software e relativo aggiornamento;
3)fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati;
4)fornitura di musica, film, giochi, compresi i giochi di sorte o d’azzardo, programmi o manifestazioni politici, culturali, artistici, sportivi, scientifici o di intrattenimento;
5)fornitura di prestazioni di insegnamento a distanza.

e dunque torniamo al punto iniziale: se l’editore ti dà una licenza d’uso dell’ebook e non ti dà un libro, non può pretendere che l’Iva sia diversa da quella di un videogioco (e non stiamo a rompere sul fatto “sì, ma l’ebook si duplica come niente”: certo, ma non è che dire che hai la licenza d’uso ti impedisce di duplicarlo).

Ma quanto ci guadagna lo Stato dal mercato degli ebook? Partendo da questi dati dell’Associazione Italiana Editori, il mercato 2013 è stato (prezzi di copertina) di 1,23 miliardi di euro. Se il digitale vale il 5%, parliamo di 60 milioni, e quindi di una differenza (teorica, perché come detto sopra buona parte di quel 5% è stato venduto partendo dal Lussemburgo) di una dozzina di milioni di euro. Vogliamo essere ottimisti, pensare che il mercato quasi raddoppierà (probabilmente gli editori direbbero di no, perché significherebbe cannibalizzare le edizioni cartacee) e porterà il totale dei mancati incassi Iva a venti milioni di euro? Facciamolo.

Ultimo aggiornamento: 2014-09-29 16:37

_Particelle familiari_ (libro)

[copertina]C’è una cosa che non mi piace in questo libro (Marco Delmastro, Particelle Familiari, Laterza 2014, pag. 203, € 16, ISBN 978-8858112274): gli spunti per spiegare la fisica delle particelle sono fatti in prima persona, con la famiglia di Marco Delmastro. Il punto è che non ci credo che ci siano davvero state quelle scene, che dano tanto l’aria da sitcom più che di vita reale. Se ci pensate bene su, però, questo significa che il libro è scritto così bene che ti fa pensare almeno per un attimo che queste cose potrebbero essere davvero successe. A parte questo, poi, la spiegazione di come (non?) funziona il Modello Standard e il LHC del Cern è la migliore che io abbia mai visto. Il vantaggio non sta solo nella chiarezza della spiegazione, ma nell’essere riuscito a mettere tutto insieme in un ragionamento coerente. È facile trovare alcune spiegazioni di singoli punti della teoria o della pratica della fisica delle particelle, ma avere la visione complessiva del puzzle non è affatto banale; Delmastro ci è riuscito pienamente. E non preoccupatevi: non ci sono né formule né tabelle, il libro è fondamntalmente un lungo racconto. Caldamente consigliato a tutti.

Ello

“The new kid in town”, come cantavano gli Eagles, è l’ultimo arrivato ma in senso positivo: “quello nuovo” che tutti vogliono conoscere. Stamattina per esempio abbiamo avuto Ello, un social network davvero minimale – e che funziona meglio su mobile che da desktop, per la cronaca. La sua interfaccia è piuttosto strana. Puoi suddividere chi segui solo come “friends” e “noise”; è difficile vedere a prima vista come si fa a scrivere e commentare; e il font monospaziato è davvero retrò. Meno strano che il sito sia a inviti, e soprattutto che mentre chi si era iscritto ieri sera come me avesse a disposizione una ventina di inviti chi l’ha fatto oggi ne ha avuti solo quattro: sono quelle cose che scoppiano nelle mani degli sviluppatori, come scritto qui.

Ello non ha pubblicità e afferma esplicitamente nel suo manifesto che non vuole vendere i dati degli utenti. Però è vero che si sono beccati 400.000 dollari da un fondo di Venture Capital (che immagino vorrà prima o poi rientrare dei soldi), e c’è gente con forti dubbi sul modello, specificatamente per quanto riguarda la privacy. E allora perché ci stanno andando tutti? Perché le usanze sono queste :-)

Ultimo aggiornamento: 2014-09-26 16:45