Archivi annuali: 2008

È proprio vero

Alla Fiera del Libro ho avuto la conferma che chi si lamenta del cambio lira-euro ha ragione. I millelire di Stampa Alternativa adesso costano un euro.

Ultimo aggiornamento: 2008-05-12 10:41

Fiera del Libro

Guarito a tempo di record dalla faringite – purtroppo con i cannoni, leggasi antibiotici – stamattina mi sono fiondato a Torino per la Fiera del libro, sprezzante di tutti i pericoli. L’idea iniziale era di prendermela comoda e andare col treno delle 11:15, sapendo che il vincolo era rientrare con quello delle 17.50 perché avremmo avuto a cena i genitori di Anna; poi il fato ha voluto che una coppia di imbecilli citofonasse alle sette in punto del mattino, svegliancodi del tutto. Dopo mezz’ora di rigirii nel letto, ho pensato bene di alzarmi, preparare colazione e dispormi a prendere il treno precedente, delle 9:15. L’idea si è rivelata fruttuosa: a parte il trovare un picchetto di agenti al binario – che però mi sa tanto volevano solo controllare che queli che andavano alla manifestazione antiisraeliana avessero almeno pagato il biglietto del treno – il regionale è stranamente arrivato in orario e ho potuto prendere la coincidenza per il Lingotto, inteso come stazione ferroviaria. Qui ho scoperto che c’è sì la Passerella Olimpica (molto carina, così come molto carino è il Villaggio Olimpico: hanno fatto proprio un bel lavoro) ma che é ben decentrata rispetto alla stazione, e ci vogliono venticinque minuti a fare tutto il giro. Dire che basterebbe fare un’uscita del sottopasso della stazione dall’altro lato e si risparmierebbero come minimo una decina di minuti: il risultato estetico sarebbe ben minore, ma mi stupisce quasta perdita del sano pragmatismo subalpino.
Ad ogni modo la Fiera è la solita bolgia. Come tutti gli anni ho saltato a piè pari gli stand dei grandi editori, che tanto basta andare giù in Feltrinelli in Duomo per vedere le ultime loro uscite, e mi sono ordinatamente sciroppato i tre padiglioni principali con il mio famoso percorso a serpentina, per assicurarmi di non perdere nulla. Come tendenze, ho notato un numero più o meno costante di banchetti assolutamente fuori tema – a meno che la penna stilografica con inciso il tuo nome serva per scrivere libri; una sempre fortissima presenza dell’editoria cattolica, anzi cristiana in genere (la Società Biblica di Ginevra vendeva Bibbie a un euro e mezzo, se qualcuno fosse curioso); molti stand di regioni italiane, ma nulla di europeo se non uno stand francese e uno piccino piccino della… Lituania (non fossi un timidone, avrei scambiato qualche parola con la standista :-) per sapere il perché della loro presenza). La vera differenza rispetto agli altri anni è data dagli editori di print on demand (ne ho visti almeno quattro: Kimerik, Lulu, e altre due di cui mi sfugge il nome: sapete, la mancanza di interesse…) e dalle librerie online. Bol non l’ho vista, ma c’erano sia IBS (più rutilante) che Deastore, che ha preferito andare sugli incontri con gli scrittori ma non so quanto sia riuscita a sfondare sul grande pubblico. Di ebook intesi come hardware ho visto solo quelli venduti da Tombolini con la sua Simplicissimus, dove tra l’altro sono riuscito a salutare Daniele Minotti anche se purtroppo non ho potuto sentire la sua presentazione del Minottino causa treno da prendere. Nel giro mi sono anche imbattuto in Zop che stava facendo delle per me improbabili inteviste (poi saranno serissime, intendiamoci!). Però, sarà l’età che mi sta facendo perdere le sinapsi o i residui della febbre dei giorni passati, sono riuscito a dimenticarmi di dare uno squilo di telefono a Luigi che sapevo essere alla mostra, e vedere Aragno, dirmi “ah sì, devo chedere loro di Flatterland, ma li becco al prossimo giro della serpentina”, e dimenticarmene del tutto.
Israele? Mah. Gli organizzatori hanno letteralmente rinchiuso in un angolo la parte relativa, e quando ci sono passato c’erano lì vicino cinque o sei poliziotti: a fare figura, perché era chiarissimo che la vera sicurezza era stata appaltata a guardie private probabilmente israeliane in borghese, con giusto una spilla che indicava più o meno cosa facevano, e con l’aria non esattamente amichevole. Da un certo punto di vista la cosa è stata un po’ deprimente: ho avuto la possibilità di saperne di più sulla letteratura israeliana nelle altre edizioni della fiera. Dagli altoparlanti hanno avvisato un paio di volte di rimuovere “per ragioni di sicurezza” le auto parcheggiate in via Genova e piazza Filzi: cosa sia poi successo non lo so, almeno mentre sto scrivendo questa notiziola in treno, rientrando a Torino.
Poi vabbè, c’era lo stand “beppegrillo.it”. Non scherzo, l’aveva messo ovviamente su Casaleggio ma il nome ufficiale era beppegrillo.it. Per la cronaca, era vicino alle edizioni Baha’i.
Avrò speso una settantina di euro in libri, nemmeno poi troppi a dire il vero. Forse è peggio il fatto che non mi sia segnato nessun titolo da cercare con calma, però: sto proprio invecchiando. Ah: entrare in Fiera è stato relativamente facile: uscirne, no. A un certo punto, per disperazione, mi sono fatto strada tra quelli che cercavano di andare a un incontro e sono uscito da una porta di sicurezza aperta e presidiata. Invece la mia t-shirt beatlesiana è stata molto apprezzata, a partire dal giovinotto alla reception che mi ha chiesto dove l’avevo presa…

Ultimo aggiornamento: 2008-05-10 22:44

Primo giorno di governo

Stamattina, sul treno regolarmente in ritardo da Milano a Torino, ho avuto un po’ più di tempo del solito per riuscire a leggere il giornale (la Busiarda, claro) e scoprire cosa vogliono fare i ministri del Silvio IV. Tralascio solo la coppia Simpli(fi)cius-Bossi e il loro siparietto con Gheddafi, anche se mi sa che il Senatur abbia ragione quando afferma che è Tripoli a favorire i flussi dei migranti.
Ignazio La Russa, costretto a fare un commento sulla situazione in Libano, riesce a dire «Quand’ero solo un politico ho detto che le regole d’ingaggio andavano modificate. Ora, prima di ripetere quella frase ho bisogno di informazioni piu approfondite». Detto in altro modo, un politico può dire tutte le idiozie che vuole, tanto si sa che non contano un tubo. Ci ha messo qualche decina d’anni per accorgersene, ma meglio tardi che mai.
Renato Brunetta, al grido “Banda larga per tutti”, inizia col dire che vuole dare al cittadino la possibilità di svolgere tutte le pratiche pubbliche per via telematica, e ciò è molto bello. Peccato che poi, novello Napoleone, si faccia prendere la mano e affermi di volersi tagliare i ponti alle spalle, eliminando l’accesso tradizionale: «sarà la piu grande rivoluzione, una rivoluzione gioiosa e giocosa». Io penso alle persone anziane e mi auguro che la cosa faccia il paio con l’occhettiana “gioiosa macchina da querra” del ’94. (ah: con il suo piano, parte della struttura pubblica diverrà “eccedentaria”. Anche parte del lessico italiano, mi sa)
Secondo Ugo Magri, poi, correrebbe la voce che i sottosegretari che Berlusconi vorrebbe nominare (solo 38) siano troppo pochi, perché bloccherebbero il lavoro delle commissioni – dove a quanto pare deve esserci necessariamente un membro del governo, a fare non si sa bene cosa: dare l’augusta benedizione ai lavori? Spero non si superino i centoun membri del governo Prodi II, ma sappiate già sin d’ora che la colpa non è di Silvio!
Per par condicio dovrei anche parlare del monocolore ombra creato da Uòlter: non vorrei però farmi troppo del male. Il governo ombra funziona (forse) nel Regno Unito, dove c’è un gentlemen’s agreement tra maggioranza e opposizione e quindi il ministro ombra ha dei dati su cui lavorare per fare delle proposte: qui da noi è al massimo un modo per far credere ai trombati che contano ancora qualcosa…
Aggiornalmento (12 maggio): per completezza devo aggiungere che non ho nulla da dire contro l’intervista a Giorgia Meloni.

Ultimo aggiornamento: 2008-05-10 20:12

Una gita a… i forti di Genova

Domenica scorsa, sfruttando il fatto che mi ero preso il lunedì di ferie, Anna e io abbiamo preso un simpatico treno (di cui ho parlato in altra notiziola) che ci ha portati a Genova. Programma della giornata era fare un pezzo del percorso dei Forti di Genova, che lo scorso gennaio avevamo rinviato causa neve. Abbiamo assoldato due guide locali (Guido e Marta) a cui abbiamo anche affidato il servizio di catering, dopo che ci avevano fatto notare che lassù non si sarebbe trovato nulla da mangiare, gettandomi così nello sconforto. Alla comitiva si è aggregata anche Marina, che arrivava dal Ponente.
Arrivati in congruo ritardo a Genova Principe, siamo usciti dalla stazione giusto in tempo per vederci partire il bus che ci sarebbe servito. Nessun problema, per fortuna, visto che avevamo sufficiente tempo per riuscire comunque a prendere il trenino per Casella, una ferrovia a scartamento ridotto segnalata nelle varie guide di itinerari turistici. Purtroppo né l’azienda che gestisce i treni su quella linea né i tagger hanno una qualsivoglia idea di cosa significhi “attrazione turistica”, come si può capire dallo stato in cui sono ridotti gli esterni delle carozze: in compenso abbiamo scoperto che anche l’idea di “orario ferroviario” è piuttosto labile, e mantiene al suo interno un certo tempo per far fare improbabili manovre a locomotore e vagoni, un po’ come in alcuni problemini matematici. Ma tutto è improbabile, a dire il vero, anche il controllore che passa da un vagone al’altro passando bel bello en plein air. Tanto non si parla certo di Alta Velocità.
Scesi a Campi – nome assolutamente incongruo per la località – e scartata la mia proposta di associarci al locale circolo aderendo contestualmente a una grigliata, ci siamo incamminati verso Forte Diamante. Dopo qualche centinaio di metri di strada asfaltata abbiamo visto il forte svettare, e abbiamo improvvisamente compreso l’etimologia del verbo: deriva da “vetta”, e il forte era proprio in alto. Tanto in alto. Estremamente in alto. E come capita spesso, la vicinanza è solo apparente, e dopo un po’ ci si accorge che la distanza rimane sempre la stessa. Guido, da quel momento in poi soprannominato “Stamby”, era l’unico che non si preoccupasse più di tanto della cosa: c’è voluta l’alleanxza di tutto il resto della comitiva per fermarlo e concederci di fare picnic su un pianoro. Ma la sosta è state di breve durata, e subito ci ha preceduti di un bel po’ in cima al forte, che era tra l’altro relativamente pieno di gente. La ragione l’abbiamo scoperta dopo: sull’altro versante il sentiero era sì più lungo, ma molto meno ripido e più ampio, praticamente una mulattiera. In effetti, dopo aver passato Forte Fratello Minore, arrivati a Forte Puìn abbiamo trovato un cavallo, che se ne stava lì immobile che sembrava quasi impagliato. Sarà stato un cavallo genovese, che risparmiava sulla fatica? Ah, il gruppo si era sgranato nel frattempo, con Guido che faceva l’uomo solo al comando e Marina e io a chiudere la comitiva molto flemmaticamente.
Da Forte Puìn parte la linea di mura che è stata conservata, il che è stata una fortuna o una sfortuna. Fortuna, perché il sentiero più che vederlo lo si doveva immaginare, e le mura ci davano un’idea della direzione da prendere; sfortuna, perché mi sa tanto che abbiamo preso il lato sbagliato delle mura. Ad ogni modo siamo riusciti ad arrivare senza soverchi problemi a Forte Righi, dove “si ritorna alla civiltà” secondo le parole di Guido, e ci siamo infatti beccati un’esercitazione della Croce Rossa e una festa di Legambiente, festa che è stata un po’ un controsenso visto che buona parte della gente era arrivata fin lassù… in macchina. (E tra l’altro qualcuno dovrebbe dire loro che su qui e qua l’accento non va).
Per ritornare al livello del mare abbiamo poi sfruttato completamente il costoso biglietto del trasporto pubblico: funicolare, bus, ascensore (dopo una pausa granita, apprezzata da tutti e soprattutto da me che avevo i piedi fumanti causa concomitanza di scarpe poco adatte), ancora bus – purtroppo il 20 sarebbe stato gestito con filobus a partire dal giorno dopo – e finanche treno, quando dopo avere salutato Marina siamo arrivati a Sampierdarena per fermarci a mangiare un boccone da Guido e Marta. corendo anche il rischio di perdere il treno di ritorno ipnotizzati da Report. Tra l’altro sono salito in moto per la prima volta da quasi trent’anni, e per la primissima come passeggero: lo scooterone di Marta è sì tranquillo, ma ero piuttosto preoccupato lo stesso ancorché cecato (gli occhiali li avevo messi nel marsupio) e continuavo a non rendermi conto dello spazio occupato dal casco.
A parte la stanchezza e le vesciche che mi sono trovato il giorno dopo devo però dire che la parte montagnosa di Genova è davvero bella, e ancora di più se fatta in ottima compagnia come noi. Dovrei fare il buon proposito di essere un po’ meno pigro :) Ci sarebbero anche delle foto, ma dovete aspettare ancora qualche giorno!
Aggiornamento: (25 maggio) Le foto che ho scattato stanno su Picasa.

Ultimo aggiornamento: 2008-05-10 20:04

_Breve storia di (quasi) tutto_ (libro)

[copertina] Bisogna sempre darsi degli orizzonti ampi. E non si può dire che il giornalista Bill Bryson non se li sia dati. Una volta che decise di voler sapere (quasi) tutto sul nostro pianeta, si è imbarcato in una ricerca che l’ha portato a scrivere questo librone (Bill Bryson, Breve storia di (quasi) tutto [A Short History of Nearly Everything], Tea 2008 [2003], pag. 589, € 9, ISBN 9788850215492, trad. Mario Fillioley) che spazia dalla fisica alla cosmologia alla geologia all’evoluzione per vedere come siamo potuti arrivare ad esistere. Lo stile è forse un po’ troppo americano per i miei gusti, quando ad esempio comincia a dire degli esperti che ha incontrato descrivendoli fisicamente, e soprattutto verso il fondo mi pare che l’editing non sia stato dei migliori, con frasi riscritte quasi uguali a distanza di alcune righe: il traduttore ha opportunamente consultato molti esperti ma si è poi dimenticato di spiegare che i trilioni e quadrilioni sono da intendersi all’americana. Ma complessivamente il libro è scritto in maniera davvero accattivante, e i pettegolezzi su come sono state fatte le varie scoperte scientifiche – comprese quelle che oggi crediamo vere ma non lo sono affatto – permettono di capire come le scoperte scientifiche sono sempre frutto di più idee e come non sia detto che il nome che noi associamo a una scoperta sia quello della persona che l’ha fatta davvero. Una lettura che vale la pena.

Ultimo aggiornamento: 2017-01-14 12:45

malato!

Per la prima volta da quando sono a Milano, sono in mutua. Due giorni (mai esagerare), per una faringite. Si direbbe la maledizione di Torino, visto che sabato dovrei andare alla Fiera del Libro: altro che il Museo Egizio!

Ultimo aggiornamento: 2008-05-08 11:36

Il teorema di Pick

[Figura 1]Quando andavo alle medie, tra le ore di lezione c’erano quelle di “applicazioni tecniche”. Non so se e cosa ci sia ora; alcuni anni dopo la materia era stata rinominata “educazione tecnica” e se non sbaglio maschi e femmine la facevano insieme. Ai miei tempi, invece, c’era ancora una divisione sessista, forse perché si pensava che una donna dovesse fare i “lavori da donna”, ed è già tanto che non fosse ancora chiamata “educazione domestica” come una volta. In queste ore di lezione, tra le varie cose che ci facevano fare mi è rimasto impresso nel mio cervello – anche se fortunatamente non nelle mie dita – il mettersi a piantare chiodi su una tavoletta di compensato in un reticolo rettangolare, tendendo poi opportunamente alcuni elastici intorno ad essi per costruire delle figure. Sono cose forse divertenti: credo però che se il professore mi avesse raccontato del teorema di Pick io sarei stato molto più interessato e mi sarei subito lanciato a cercare di dimostrarlo, perché è davvero qualcosa a prima vista incredibile. Non ci sarei magari riuscito, ma volete mettere la soddisfazione di provarci?
Immaginiamo di avere un piano cartesiano e di evidenziare al suo interno il reticolo di punti a coordinate intere: o più banalmente prendiamo un foglio a quadretti. Il teorema di Pick afferma allora che l’area di un qualunque poligono semplice i cui vertici sono punti del reticolo è data dalla formula
[1]      I + (P/2) – 1
dove I[Figura 2] è il numero di punti del reticolo interni al poligono (quelli indicati in blu nella Figura 1 qui a fianco) e P il numero di punti sul suo perimetro: i vertici, indicati in rosso, ma anche i punti indicati in verde che si trovano all’interno dei lati. In questo caso, abbiamo 32 punti blu e 18 tra rossi e verdi, quindi l’area del poligono è di 40 quadretti. Come si vede, il poligono non deve necessariamente essere convesso perché valga il teorema di Pick; più precisamente, la definizione di “poligono semplice” significa infatti che esso non deve avere buchi al suo interno, lati ripetuti o incrociati come negli esempi della Figura 2 per cui il teorema per l’appunto non vale. Anche con queste restrizioni il teorema ha a prima vista qualcosa di magico, pensando a tutti i possibili lati storti; d’altra parte Georg Alexander Pick, il matematico austriaco che dimostrò il teorema nel 1899, oggi non sarà molto famoso però è stato lui a presentare Gregorio Ricci Curbastro a un certo giovincello (Albert Einstein) che aveva bisogno di un esperto matematico per i conti della teoria della relatività. Insomma, Pick non era proprio l’ultimo arrivato.
Ma bando alle ciance, e vediamo una possibile dimostrazione del teorema: non garantisco sia la più semplice, soprattutto perché me la sono trovata io e le mie contorsioni mentali sono peculiari, ma dovrebbe essere sufficientemente chiara da poterla seguire senza sbattere la testa contro il muro. Iniziamo con una classe di poligoni molto semplice: i rettangoli [Figura 3]i cui lati sono paralleli al reticolo, come quello della Figura 3. In questo caso i conti sono alla portata di tutti: basta stare attenti a non sbagliare a contare i puntini, ricordando che se i punti sono a distanza 1, un segmento di lunghezza 10 ne conterra undici! Se i lati del rettangolo sono a e b, la sua area è ab. Il perimetro conterrà 2(a+b) punti e l’interno ne contiene (a-1)(b-1), vale a dire ab-(a+b)+1; quindi la formula in questo caso è corretta.
Passiamo adesso al punto fondamentale della dimostrazione: mi occorre un teorema ausiliario che afferma che se abbiamo due poligoni per cui vale la formula [1] e che hanno in comune parte di un lato (almeno due punti), allora anche per il poligono risultante vale la [1]. Attenzione: non sto affatto dicendo che la formula sia vera! Per fare un esempio pratico, pensiamo di avere delle confezioni di caramelle con indicato il loro peso, e che ci venga detto che la formula per il costo delle caramelle è data dal prodotto di un euro per il numero di etti del loro peso; è chiaro che prendendo due confezioni [Figura 4]basta sommare il loro peso in etti e moltiplicarlo per un euro. Ma la stessa cosa varrebbe se il costo fosse di due euro l’etto, o cinquanta centesimi: quindi non possiamo sapere il costo. Peggio ancora, magari ci sono caramelle confezionate in una bella scatola di latta, il cui prezzo è un euro l’etto più un euro per la scatola; se prendiamo una confezione normale e una inscatolata, fare la somma non serve a un tubo. Quest’ultimo esempio, riportato ai nostri poligoni, ci ricorda che per il momento sappiamo solo misurare rettangoli, e già un triangolo ci darebbe problemi. Ma facciamo un passo per volta.
Nella Figura 4, siano A e B i due poligoni e C quello ottenuto unendoli; il segmento comune sia s. Per A, abbiamo Ia punti interni e Pa punti sul perimetro; similmente per B ci saranno Ib punti interni e Pb punti sul perimetro. [Figura 5]I punti interni di C saranno quelli interni di A, quelli interni di B e quelli interni di s (nella figura ce n’è uno, indicato con un cerchietto blu); quelli perimetrali saranno la somma dei perimetrali di A e di B, togliendo due volte i punti interni di s (nei poligoni separati contavano doppio, in quello unito non ci sono) e una volta i due punti estremi di s (indicati in figura con un cerchietto verde: nei poligoni separati contavano doppio, in quello unito sono singoli). Ma guardando la formula [1], il peso dei punti interni di s tolti dal perimetro è esattamente uguale al peso dei punti aggiunti all’interno di C. Abbiamo quindi tolto solo i due punti estremi di C, che contano per una unità: proprio quella che dovremmo togliere in più, visto che nella somma di A e B ci sono due addendi che valgono -1 mentre in C ce n’è uno solo.
Prima di continuare, faccio notare che il teorema ausiliario funziona anche alla rovescia, “in sottrazione”. Se noi siamo certi che per il poligono B [Figura 6]valga la nostra formula, allora possiamo affermare con sicurezza che “se la formula vale per A, allora varrà anche per C; viceversa, se vale per C allora varrà anche per A”. Questo sarà il grimaldello per terminare la dimostrazione.
Passiamo ora a dimostrare che il teorema di Pick vale per i triangoli rettangoli con i cateti paralleli al reticolo. Il trucco, come si vede nella Figura 5, è di metterne insieme due per ottenere un rettangolo. I due triangoli sono assolutamente identici, quindi con le notazioni precedenti possiamo dire che Ia=Ib e Pa=Pb; è questo fatto che ci permette di ricavare la formula, suddividendo come nel caso precedente i punti interni al rettangolo ma che stanno sulla diagonale, e quindi devono essere tolti dal totale degli interni e associati ai perimetri dei due triangoli. Fortunatamente i punti perimetrali valgono solo un mezzo, e quindi la suddivisione è perfetta… se non fosse per i due estremi della diagonale del rettangolo, che danno giusto un’unità in più. Nel nostro esempio pratico, abbiamo un triangolo rettangolo di cateti 4 e 12; il rettangolo ha 33 punti interni (di cui 3 sulla diagonale) e 32 punti perimetrali; i due triangoli hanno ciascuno (32/2)+1=17 punti sui cateti, 3 all’interno della diagonale e (33-3)/2=15 punti interni. Come potete vedere, i conti tornano perfettamente.
Siamo ormai verso la fine. Con il nostro teorema ausiliario applicato al più tre volte ai triangoli rettangoli esterni nella Figura 6, possiamo affermare che il teorema di Pick è valido per un qualsiasi triangolo, come quello all’interno della figura stessa. A questo punto possiamo finalmente tornare alla nostra figura iniziale. Potrei tranquillamente dire “visto che ogni poligono semplice è triangolabile, basta suddividerlo in un insieme di triangoli, e siamo a posto”. Peccato che io non sia mica così certo che sia banale dimostrare che ogni poligono semplice è triangolabile: visto che tanto abbiamo già fatto un lavorone, tanto vale andare fino in fondo. Il trucco è rendere convesso il poligono: si cercano due lati consecutivi che formano un angolo più grande che piatto e per cui il segmento che unisce gli altri due vertici è tutto all’esterno del poligono, e si sostituisce il nuovo segmento ai due originali. In pratica si è sommato un triangolo (per cui il teorema vale), e si è ottenuta una figura con un numero di vertici inferiore di uno. Prima o poi continuare sarà impossibile, e si giungerà a un poligono convesso: a questo punto si può fare lo stesso giochetto della Figura 6 e rettangolare il poligono, riuscendo finalmente ad applicare il teorema in un caso noto: a questo punto, basta tornare indietro passo passo e sappiamo che la cosa vale anche per il poligono iniziale.
Il tutto visto scritto così sembra una faticaccia immane, lo ammetto. Ma credo che la cosa più difficile sia mettere in forma scritta i vari passaggi, nessuno dei quali è particolarmente complicato. Inoltre il ragionamento segue esattamente quello che ho fatto io per riuscire a dimostrare il teorema, e quindi può dare un’idea di come ci si possa muovere quando si vuole fare una dimostrazione matematica. Mica come le dimostrazioni dei libri, che sono fatte a posteriori!

Ultimo aggiornamento: 2008-05-08 08:19