L’ormai famoso trio composto da Marina, Anna e il sottoscritto ha colpito ancora, e questo weekend siamo andati in Trentino a trovare il nostro amico Franco. In treno, per evitare le code del weekend di esodo: così almeno ha deciso la maggioranza del trio (Anna). Il viaggio di andata non ha avuto nulla di particolare, a parte l’esuberanza che ha portato a obliterare anche i biglietti di ritorno – non guardate me, non c’entro – e le emozioni gentilmente offerte da Trenitalia. A Verona avevamo una coincidenza stretta, otto minuti; il treno è rimasto perfettamente in orario fino alla periferia di Verona, dove si è fermato per dieci minuti senza alcun motivo. Fortunatamente il regionale per il Brennero l’ha aspettato: peccato che l’Intercity arrivi al binario 1 e il regionale parta al 12, e che quando arranchi sulle scale – dal lato verso Vicenza perché l’altra scala è chisa – scopri che l’ultimo vagone è sessanta metri piu in là perché il treno è corto e in direzione Trento. Ci si mantiene in forma.
Siamo comunque saliti sul treno e arrivati in orario, dove ci aspettava Franco che per prima cosa ci ha portati a prendere un aperitivo in piazza MazziniCesare Battisti, affermando che “non è che abbia preso molto per cena”. Io da stupido gli ho creduto, mi sono strafogato della robaccia dell’happy hour, e così non sono riuscito a fare onore al pagello da un chilo e ezzo che era stato preparato per la cena di quattro persone. Non imparerò mai.
Il programma di sabato prevedeva una gita in val di Fassa, con partenza alle 9 per arrivare intorno alle 10:30 a Campitello. Come ci capita spesso, la teoria è una bella cosa ma la pratica è stata ben diversa, e ci siamo messi in macchina solo alle 10:15. Aggiungiamo una coda incredibile per attraversare Moena, visto che la circonvallazione non è ancora terminata; il risultato è stato che siamo arrivati a Campitello alle 12:10, giusto in tempo per perdere la corsa delle 12:15 della seggiovia e prendere così l’ultima della mattinata alle 12:30. Arrivati ai quasi 2400 metri del Col Rodella, ci siamo incamminati allegramente sul Friedrich August Weg. L’idea era di fare tutto il sentiero fino al rifugio Sasso Piatto per poi scendere seguando il rio Udai e tornare a piedi a Campitello; percorso lungo ma facile e senza troppe salite. Solo che le previsioni del tempo si sono rivelate leggermente sbagliate. Davano infatti un progressivo peggioramento delle condizioni dalle 12 alle 18: all’una abbiamo sentito le prime gocce di pioggia e in cinque minuti ha iniziato a grandinare pesantemente. Di per sé avevamo tutti con noi felpa e giubbotto, ma il mio giubbotto si direbbe non reggere più la pioggia, e lo zaino non deve averlo mai fatto; e i miei compagni non erano in condizioni molto migliori. Siamo così arrivati al rifugio Sandro Pertini completamente bagnati: fortunatamente c’era ancora un tavolo libero e ci siamo seduti a mangiare qualcosa… al buio, perché cinque minuti dopo che siamo arrivati è anche saltata la luce. Siamo rimasti un’ora e mezzo in attesa, mentre intanto è anche arrivato un elicottero del soccorso alpino altoatesino che aveva recuperato un paio di persone; alla fine, visto che almeno la grandinata era terminata e la pioggia era un po’ meno battente, abbiamo preso il coraggio in mano e ci siamo rimessi in cammino per tornare alla seggiovia, dato che era il modo più rapido per tornare indietro. Il tutto non senza avere ancora preso un tè al rum, e avere capito che nella prossima occasione il rum lo lascio bere agli altri.
I quaranta minuti del ritorno, che poi in pratica sono stati quarantacinque ma date le condizioni del tempo non potevamo pretendere troppo, sono stati piuttosto interessante. La pioggia non era battente, ma comunque era continua, e la felpa mi si è bagnata tutta; la maglietta era già stata messa via in quanto zuppa d’acqua. Il sentiero è tutto a mezza costa e quindi ventoso; per terra c’era ancora tutta la grandine; e si alternavano tratti scivolosi sulla pietra e tratti infangati dove gli scarponi venivano risucchiati giù. Alla fine siamo comunque arrivati e scesi a Campitello, dove la temperatura era di 11 gradi, il che mi fa pensare che su eravamo a 5-6 gradi. L’ideale, come si può immaginare. Inutile dire che eravamo inzaccherati da capo a piedi, oltre che bagnati come pulcini, comprese le mutande: l’unica parte del corpo asciutta erano i piedi, visto che avevamo degli scarponi seri. Siamo tornati verso Pergine col riscaldamento a palla, scoprendo due cose: che a Moena c’era tutto quel casino perché la Sampdoria stava facendo il ritiro precampionato – è proprio vero che c’è dietro un indotto incredibile! e che giù non era per nulla piovuto.
Ma non c’era da preoccuparsi: a ora di cena la pioggia ha deliziato anche Trento mentre siamo andati a mangiare alla Locanda Margon. Non lasciatevi ingannare dal nome: il posto è un ristorante di lusso, anche se in una locazione assolutamente in capo al mondo – ma è attaccato ai vigneti Ferrari, e in quei casi contano di più le vigne che le strade di comunicazione – con tutti gli ammenicoli del caso. Ci siamo trovati ad esempio i menu sessisti, con quelli muliebri senza i prezzi (tranne per i dessert, dove ci hanno portato tre menu prezzati e il mio senza); il cameriere che versa l’olio in un piattino, non ho esattamente ben capito per quale uso; tutta la serie di passaggi di camerieri ogni momento; e naturalmente il costo finale che ha toccato gli 80 euro a testa. Si è mangiato e bevuto bene, intendiamoci, e il posto ha una stella sulla Guida Michelin; ma ribadisco che non è roba per me, e fosse per me non finirei mai in posti così.
Dopo tutte le avventure del sabato, domenica mattina non siamo riusciti ad alzarci prima delle 9: tanto il tempo era comunque brutto, e quindi l’idea di lanciarci in un’altra passeggiata su per i monti era già stata cassata da Franco. In sostituzione ci ha proposto una “passeggiata da pensionati”, consistente in un giretto di un paio d’ore che partiva da casa sua, saliva un po’ su per i boschi e poi scendeva sul lungolago, dove c’è una pista ciclopedonale tra la ferrovia e la riva. Anna ha comunque declinato l’invito, visto che non si sentiva troppo bene, e siamo rimasti in tre a farci la passeggiata, comprensiva di una birra presa a Calceranica sul lago. Ah, Calceranica, che in fin dei conti è una frazione del comune di Caldonazzo che farà a dir tanto tremila persone, ha tre chiese: la pieve di Santa Maria Asunta in alto, la chiesetta di sant’Ermete a metà (chiesa che era stata inizialmente costruita nel quarto secolo!) e un robo in cemento in basso. L’altra cosa interessante è che il comune di Caldonazzo ha pensato al turismo internazionale e ha messo i cartelli stradali bilingue; però si direbbe che la traduzione è stata preparata dal nipote del competente assessore, che ha preso un vocabolario e tradotto parola per parola, ottenendo risultati tipo “Parking to payment”.
Tornati a casa e pranzato, confesso che mi sono steso a letto e mi sono addormentato di colpo fino a quando Anna mi ha fato notare che era ora di andare a prendere il treno, un Eurostar da Monaco dove avevamo prenotato i posti nella carrozza numero… 257. La mia idea di base (tutti i treni tedeschi sono rigorosamente ordinati, e quindi dal numero della carrozza puoi capire qual è il treno e l’ora di partenza) è stata subito smentita vedendo che tutti i treni sulla linea del Brennero hanno le carrozze numerate intorno al 260. Chissà, forse hanno lasciato dei numeri liberi nel caso debbano aggiungere vagoni? Il treno poi era strapieno, con siparietti interessanti come quello della signora salita a Desenzano che si lamentava perché non c’era scritto da nessuna parte dov’era la sua carrozza 5, e che alla fine si è fiondata nel nostro scompartimento chidendo “ma qua c’è qualcuno con la laurea?” per esternare il suo caso. Nel caso ve lo chedeste – ma se mi conoscete immaginate già cosa ho fatto – me ne sono stato inizialmente zitto, salvo poi seraficamente dirle “Signora, lei ha la prenotazione in carrozza 5, ma di quale treno? Perché vede, questo è l’eurocity 89. Mi fa vedere il suo biglietto?” Lei me lo mostra, e io, indicandole il numero: “Vede? La sua prenotazione è sul treno 626, che è il Trieste-Torino che sarebbe passato dieci minuti dopo.” Anna dice che sono stato un bastardo dentro. Io? Impossibile, dai!
Arrivati coi soliti dieci minuti di ritardo a Milano ci siamo subito ricordati del motivo per cui i milanesi cercano di fuggire via dalla loro città non appena possibile: umida e appiccicosa come al solito. Ma non si può pretendere tutto dalla vita, lo so.
Qualche foto la trovate qua, se vi interessa.
Ultimo aggiornamento: 2008-07-30 14:44