la recensione della Nona
Dal Cittadino di Lodi del 6 dicembre
(http://edicola.ilcittadino.it/edicola/2008/12/06/Archivio/20081206/SPT4-69-06…
ecco la recensione del concerto in cui ero umile corista.
Dal Cittadino di Lodi del 6 dicembre
(http://edicola.ilcittadino.it/edicola/2008/12/06/Archivio/20081206/SPT4-69-06…
ecco la recensione del concerto in cui ero umile corista.
Questo è l’audio del servizio del TG3 del 23 agosto 2008, ore 19, dove
si parla degli aumenti della frutta e verdura. Ascoltate bene cosa
diventa il duecento per cento nella voce di Francesca Ferrucci!
Questa è la versione MIDI di un corale che ho composto alcuni anni fa.
Sarei stato bocciato all’esame di armonia: però secondo me l’effetto
complessivo non è così malvagio (tranne che nella conversione midi-mp3,
ma su questo non si può pretendere più di tanto).
Ho anche allegato il PDF dello spartito, per chi preferisca provarlo
per conto suo.
per una settimana circa questa pubblicità elettorale è rimasta appesa (ehm…) a un palo della luce in via Populonia. Secondo me Storace avrebbe potuto usare un altro verbo, però.
Nella scuola del paesello in quel momento era l'ora di aritmetica, e i bambini stavano imparando a fare le addizioni coi numeri di due cifre. La maestra Maria aveva scritto alla lavagna a caratteri belli grandi 58+7; si era voltata e aveva chiesto alla classe chi sapeva il risultato. Come sempre, Lisa alzò la mano per prima. "Lo so io! Lo so io! Fa sessantasei!" "No, rispose la maestra, non è la risposta corretta". Lisa, che non voleva mai sentirsi dire che aveva sbagliato, strepitò: "Non è vero, maestra! Guarda qua!" Alzandosi sulla punta dei piedi, sbracciandosi il più possibile e contando con le dita, recitò "58, 59, 60, 61, 62, 64, 65, 66. Visto che ho ragione?" La maestra rimase perplessa. Il conto sembrava giusto, ma il risultato era sbagliato. Era come se mancasse qualcosa.
In quel momento la campanella suonò la fine delle lezioni, e mai il suono fu così apprezzato non solo dagli alunni. Dopo che mamme, nonni e il singolo papà avevano ripreso i loro bambini, la maestra Maria raccolse i fogli rimasti sulla scrivania e uscì per tornare anch'essa a casa; ma fu fermata appena oltrepassato il cancello della scuola da Evaristo, l'appuntato dei carabinieri. "Signora Maria! Hanno denunciato la scomparsa di un numero, e non riusciamo a capire quale sia! Ci può dare una mano?" Nessuno in tutto il paesello riusciva a ricordarsi che numero ci fosse tra 62 e 64. Di per sé nessuno si preoccupava troppo, se si eccettuavano i maniaci della palestra e i collezionisti di figurine, che si impappinavano rispettivamente in mezzo alle loro interminabili serie di flessioni e alla litania "cèlo-manca", ma nondimeno era fastidiosa. La maestra Maria spiegò che cosa era successo in classe e aggiunse che non aveva nessuna idea di cosa fosse capitato; Evaristo la ringraziò, si scusò per la fretta, e disse che doveva scappare per continuare le indagini. Evaristo era un vero segugio quando si trattava di risolvere questo tipo di casi: ma era già quasi sera quando finalmente scoprì cosa era successo. Uno sceicco era casualmente passato dal paesello perché il suo autista aveva sbagliato a contare le uscite di una rotatoria e preso quella sbagliata. Visto che era ora di pranzo si era fermato a mangiare, e il locale gli era piaciuto così tanto che aveva dato una mancia stratosferica al ristoratore per potersi portare via il numero civico sopra la porta… almeno così aveva capito l'oste. Ma ci doveva essere stato un qualche errore di traduzione, e lo sceicco si era portato via il numero vero e proprio. Per fortuna Evaristo aveva imparato un po' di arabo durante i suoi giri di pattugliamento: dopo una lunga telefonata lo sceicco accettò di accontentarsi di una copia del numero e rimandare dunque al paesello l'originale. Tutti furono felicissimi, anche se Lisa non mancò di sottolineare che non era colpa sua se quando doveva fare l'addizione il 63 era scomparso; e la maestra Maria riuscì persino a portare una torta all'appuntato Evaristo senza arrossire troppo…
«Non è possibile! È la quinta volta!»
Il giovane matematico era furioso. Il suo volto sarebbe stato paonazzo, se solo l’algoritmo di codifica video non avesse ritenuto impossibile un simile colore e avesse autonomamente deciso di ricolorare tutta l’immagine, donandogli così un ancora meno probabile tenue arancione. Dall’altra parte della connessione 6G, la faccia della Sovrintendente Zonale era impassibile, e soprattutto di una perfetta nuance ebano.
«Certo che non è possibile! – replicò gelida la Sovrintendente Zonale – È la quinta Unità Computazionale Logica che è riuscito a distruggere. Gliel’avevo ribadito: queste Unità Autoapprendenti sono sperimentali, e non conosciamo perfettamente il loro comportamento in condizioni non standard. Le avevamo vietato di continuare le sue ricerche; eppure lei ha perserverato, persino falsificando le sue credenziali per poter accedere ancora al Reticolo. Non ci resta che terminare la sua interfaccia di connessione.»
«Ma… Come… Questo è un sopruso! Come faccio a terminare le mie ricerche? Sarei già arrivato alla dimostrazione del Teorema di Inconsistenza, se i gestori del Reticolo fossero stati in grado di far funzionare decentemente queste Unità Autoapprendenti!»
laquo;Niente ma e niente come! Se crede davvero di essere il Gödel del ventunesimo secolo, si metta a fare i suoi conti a mano. Ah: buon lavoro amanuense…»
L’ologramma della Sovrintendente Zonale sparì. Ma quel che era peggio, sparì anche quello della scrivania di collegamento con il Reticolo. L’avevano fatto davvero! Per fortuna, pensò il giovane matematico, avevo salvato il testo della parte iniziale del mio lavoro. Quella lì credeva di aver fatto una battuta ironica, invitandomi a lavorare a mano? Le farò vedere io di cosa è capace un Vero Matematico!
Il Teorema di Inconsistenza sarebbe stato il coronamento del lungo processo di distruzione delle certezze matematiche. Tutto era iniziato un secolo prima con la pubblicazione del notissimo articolo di Kurt Gödel che dimostrò come un qualunque linguaggio abbastanza potente da essere usato per eseguire le usuali operazioni aritmetiche aveva un guaio: nel linguaggio si può definire un teorema che è vero, ma non è dimostrabile se non “uscendo dal sistema”, cioè aggiungendo un nuovo postulato ad hoc. Ma questa aggiunta generava nuovi teoremi indimostrabili, e così all’infinito: un po’ come il paradosso di Achille e della tartaruga, si era costretti a compiere tutta una serie di passi obbligati senza mai vedere nemmeno avvicinarsi la fine. I matematici del ventesimo secolo furono inizialmente sconcertati, temendo che tutto il loro castello di costruzioni e dimostrazioni crollasse miseramente: ma gli esseri umani sono esperti nell’abituarsi a tutto, e in pochi anni si era passati dal chiedersi “vero o falso?” a un meno assolutista “vero, falso o indecidibile?” quando si doveva analizzare un enunciato matematico.
Il teorema di Gödel era però più sottile di quanto il grande pubblico aveva letto nelle riviste di cultura popolare. Esso affermava infatti l’esistenza di teoremi indimostrabili sotto un’ipotesi ben precisa: che la matematica fosse coerente, che cioè non fosse possibile dimostrare una cosa e allo stesso tempo il suo contrario. Nessun matematico nel pieno possesso delle sue facoltà mentali – anche se un’affermazione di questo tipo, parlando di matematici, è piuttosto pericolosa – credeva che la matematica potesse non essere coerente: in fin dei conti, due più due come potrebbe mai fare cinque? Eppure il giovane matematico aveva avuto un’intuizione. Catene molto lunghe di inferenze matematiche potevano prendere percorsi diversi nello spazio dei problemi e ritrovarsi nello stesso punto ma con valori di verità opposti, un po’ come due formiche che camminassero in direzioni opposte su un nastro di Möbius finirebbero per ritrovarsi, ma essendo l’una diventata l’immagine speculare dell’altra. Una simile scoperta rivoluzionerebbe tutta la matematica che conosciamo, e porterebbe dritti al premio Abel, il Nobel per la matematica, e poi chissà…
Senza l’uso del Reticolo l’impresa sembrava al di fuori della portata di chiunque, ma per sua fortuna il matematico aveva salvato due catene inferenziali promettenti: secondo le sue stime, bastava aggiungere una cinquantina di passaggi ai 1250 già presenti per arrivare alla contraddizione. Un lavoro che il Reticolo avrebbe computato in una giornata, ma anche fatto a mano richiedeva al più un paio di mesi. Il matematico si mise a lavorare febbrilmente, ricontrollando tre volte ogni passaggio. L’ultima notte la passò insonne: la prima catena era ormai completa, e non restava che scrivere esplicitamente l’ultimo passaggio della seconda, per ottenere la tanto agognata contraddizione. I simboli si allineavano regolari e la contraddizione era lì davanti, quasi personificata: restavano ancora da trascrivere cento simboli, cinquanta, venti, dieci, cinque, tre, due, uno. Il giovane tremava, mentre faceva l’ultimo controllo: ma i passaggi erano tutto corretti, e a prova di errore. Non c’era dubbio: la matematica è contraddit
«Non è possibile! È la quinta volta!»
L’entità osservò l’universo giocattolo che andava velocemente a pezzi. La trama delle sue vibrazioni non aveva più alcuna regolarità: frequenze irrazionali continuavano a emergere, senza che l’entità riuscisse a smorzarle.
«Certo che non è possibile! – replicò gelida l’altra entità, mentre la compenetrazione andava rapidamente scemando. – È il quinto universo che sei riuscito a distruggere. Te l’avevo spiegato che con quelle leggi aritmetiche non avresti potuto ottenere nulla di stabile. E invece tu hai perseverato, e hai persino cercato di barare inserendo una routine di autoblocco non appena un computer avesse trovato una contraddizione di base, per aggirare l’impossibilità della costruzione di un universo contraddittorio… Eppure è una nozione di base: non appena appare una contraddizione in un punto qualsiasi di un universo, essa si propaga istantaneamente e non c’è tempo per bloccare il disfacimento. Mi spiace: sei bocciato anche stavolta.»
(il racconto fa parte dell’antologia L’ennesimo libro della fantascienza, un ebook di Barabba edizioni, scaricabile da qui. Tutto gratis.)
Ieri stavo pedalando in Corso Buenos Aires – operazione in effetti da evitare per quanto possibile, al ritorno ho cambiato strada – e ho scoperto che in piazza Argentina era stato approntato quello che con tanta buona volontà potrebbe essere definito "mercatino di Natale". Complice il semaforo rosso, mi è saltato l'occhio sul banchetto qui fotografato, e il grammar nazi che è in me ha subito notato che mancava qualcosa…
(foto scattata il 21 dicembre 2011, piazza Argentina, Milano)
Come potete vedere dal ritaglio che ho scansionato, non sono le galline ad essere allevate all'aperto ma le uova. Sto cercando di immaginarmi cosa sia una uovagione, ma ammetto di avere qualche problema al riguardo…
Questo negozio dev'esserci da qualche mese, qui a Milano in viale Monza; non di più perché ricordo quello che c'era prima. Io me ne sono però accorto solo stamattina, quando sono passato di qua mentre pedalavo verso l'ufficio. Non so, il tutto mi ricorda qualcosa, ma non saprei dire esattamente cosa. Magari sono i colori, quel giallo e quel blu che mi fanno immediatamente ricordare la mia natia Torino… Avete qualche suggerimento?
… Microsoft abbia corretto questo simpatico messaggio di attenzione in Word 2003 🙂