Macché “clienti”

Stamattina Adolfo partiva tardi per l’ufficio, e non avevo voglia né di attraversare Milano in auto da solo né di pedalare, così ho preso la metropolitana per andare in ufficio. Sono partito male, perché mi sono dimenticato che era lunedì e che quindi forse era meglio non comprare oggi i biglietti, ma tanto ero in anticipo per l’orario fisso del bus AMP per Rozzano. Peccato che a S.Ambrogio la metro sia rimasta ferma per undici minuti. Ci siamo finalmente mossi verso S.Agostino: altri quattro minuti di fermo. E così via: tre minuti a Porta Genova, otto minuti a Romolo. Eravamo arrivati a S.Ambrogio alle 8:37, siamo giunti a Famagosta alle 9:10.
La cosa peggiore è l’assenza di informazioni. Ci sono dei bellissimi e funzionantissimi altoparlanti: cosa ci vuole a dire “abbiamo un problema sulla linea, una vettura che non funziona, ci hanno invaso le cavallette… non sappiamo quando riusciamo a partire”? No. Silenzio. Solo alle 9:03 qualcuno si è degnato di iniziare a dire che per “problemi di impianto alla stazione Abbiategrasso i treni avrebbero subito dei ritardi”, e a questo punto, forse per la media trilussiana, hanno ripetuto l’annuncio ogni minuto. D’altra parte, ATM è tanto brava a scrivere comunicati contro chi sciopera, ma non si è ancora accorta che da mesi l’11 passa di nuovo per piazzale Lagosta, e nel sito lo fa viaggiare da viale Lunigiana. Inizio a capire chi viaggia senza biglietto.

promoveatur ut amoveatur

Monsignor Stanislao Dziwisz, il segretario di Papa Wojtyla, è stato nominato da Benedetto XVI arcivescovo di Cracovia. Ben lontano dal Vaticano.

Paturnie di Movable Type

Dopo avere copiato ben tre notiziole dal palmare a qua, mi sono accorto che avevo sbagliato a digitare un link. Lo correggo, e mi trovo una nuova notiziola, mentre la vecchia è rimasta intatta. Ricorreggo e cancello il doppione: niente da fare, sembra che sia bloccato. Vediamo se adesso funziona…

Prove tecniche di estate

Questo lungo ponte che la rinnovata Festa della Repubblica (tra l’altro, non capisco perché i leghisti non siano stati tutti regolarmente a lavorare giovedì) ci ha portato ha indubbiamente svuotato Milano. Stamattina ho portato la macchina a far lavare e ho quasi dovuto litigare per dire “gliela lascio e vengo a prenderla a mezzogiorno, tanto non mi serve”, mentre di solito il problema è sperare che per mezzogiorno sia pronta. Sono passato a mezzogiorno da Princi in piazzale Istria: due persone davanti a me. Sono passato a mezzogiorno e un quarto all’Esselunga di viale Zara: ho parcheggiato al primo piano nella prima fila, e dentro si passeggiava tranquillamente tra gli scaffali. Peccato che anche Caprotti si fosse adeguato, e tutta l’insalata era datata primo giugno, così come il latte…

La Cappella degli Scrovegni

Avevo scritto che avrei anche parlato della nostra visita alla Cappella degli Scrovegni, ma per una serie di ragioni me n’ero poi dimenticato. Rimedio subito.
Come avevo già fatto notare, occorre presentarsi con almeno un’ora di anticipo a ritirare il biglietto, che non è un biglietto ma un foglio A4 a colori con istruzioni varie e i tagliandi per le varie sezioni del museo degli Eremitani, di cui la Cappella fa parte. Non sono riuscito a capire la necessità di cotanto anticipo, visto che c’erano due persone davanti a me: misteri della burocrazia. All’ora della visita si aprono le porte della struttura high-tech che dovrebbe servire da camera di compensazione, e si entra per vedere un filmino di un quarto d’ora – in italiano, con sottotitoli in inglese e sopratitoli in tedesco – che racconta la storia della Cappella e alcune particolarità sul’opera pittorica di Giotto. Divertente, anche se a ripensiarci naturale, scoprire che nello stemma del committente era raffigurata… una scrofa. Per una famiglia di noti usurai, una giusta associazione!
Finito il video, prima che si aprano le porte per il gruppo successivo, siamo finalmente entrati. Commento? Non so se perché avevamo la guida, oppure perché le spiegazioni del filmato avevano messo l’acquolina in bocca, ma posso garantire che un quarto d’ora è troppo poco per bearsi di tutto, soprattutto per riuscire a vedere tutti i particolari. Il “finto marmo” dipinto da Giotto, per esempio, l’ho riconosciuto come tale solo perché ne avevano parlato: per me sarebbe stato assolutamente vero, almeno alla distanza di un metro. Ma in genere sono le minuzie che non si possono che apprezzare. Nella raffigurazione dell’Ultima Cena, gli apostoli hanno un’aureola nera e non dorata come al solito (perché quella notte abbandoneranno il Cristo?) con Giuda che nei tre dipinti ce l’ha sempre meno visibile: un trucco che pensavo fosse nato con i fumetti contemporanei. Generalmente le figure sullo sfondo sono poi curate come quelle principali, e nonostante le pose risentano ancora dello stile bizantino si vede benissimo come Giotto facesse di tutto per sßfuggire a tale costrizione.
Come ho detto, dopo quindici minuti e senza preavviso siamo stati fatti sloggiare. Mi piacerebbe però sapere come mai il gruppo penso con guida non solo era già dentro quando siamo arrivati e c’è rimasto quando ce ne siamo andati, ma li facevano andare tranquillamente alle pareti della cappella quando la cosa sarebbe vietatissima. C’è sempre qualcuno più uguale degli altri.

Piste ex-ciclabili milanesi

Ho già raccontato della fantasmagorica pista ciclabile sul cavalcavia Eugenio Bussa; la preposizione sta a significare che le rampe di accesso, che sono tra l’altro a senso unico, non hanno alcuna protezione per le bici, che possono solo andare avanti e indietro sul ponte. Ma dovrei dire “potevano”, visto che ho notato che il cordolo è rimasto, ma sono state accuratamente cancellate con la vernice nera i simboli delle biciclette disegnati sull’asfalto, esattamente come sono stati tolti i cartelli di inizio/fine della pista su un lato. Sull’altro sono stranamente rimasti, ma non è così facile fare un lavoro completo. Chissà se l’ineffabile assessore Goggi si è anche ricordato di togliere quegli ottanta metri dal novero delle ciclovie meneghine… (d’altra parte non era il tratto più corto. A Padova ho visto una “pista” che non raggiungeva i dieci metri di lunghezza, con tanto di cartelli di inizio e fine e strisce gialle)

<em>De Nittis</em>

Dopo Boldini, Anna e io abbiamo pensato fosse doveroso vedere un’altra faccia della pittura italiana “emigrata” della seconda metà dell’800, e siamo così andati a vedere la mostra che la fondazione Mazzotta ha dedicato a Giusepe De Nittis. Anche in questo caso avete ancora poco tempo a disposizione, visto che termina il 19 giugno. Per prima cosa, una nota tecnica. Ci sono biglietti scontati praticamente per tutti, se avessimo portato il nostro abbonamento al Piccolo avremmo potuto pagare 5 euro e mezzo invece che 8; ma la cosa più assurda è che, visto che Lottomatica è uno degli sponsor, se uno aveva una schedina giocata anche solo da due euro poteva risparmiare due euro e mezzo sul biglietto. Mah.
La mostra ha un gran numero di opere, e ha preferito evitare le audioguide mettendo piuttosto una serie di pannelli esplicativi in italiano e inglese che danno ampie spiegazioni sui dipinti e sul background culturale. Alcuni quadri sono molto belli, ma in generale lo stile di De Nittis non è che mi ispiri molto, forse perché è un “falso impressionista” né carne né pesce. Vale comunque la pena di visitare la mostra, se ci si vuole acculturare. Curiosità: l’artista barlettano spesso preferiva non firmare i suoi quadri, chissà perché.

sentenza politica

Dare cinque ergastoli (in primo grado) ai brigatisti che hanno assassinato Marco Biagi è una sentenza politica, anche se tutti i giornali fanno finta di niente. Non è infatti un caso che la richiesta del pubblico ministero sia stata disattesa. Paolo Giovagnoli aveva chiesto l’ergastolo per gli altri quattro imputati: per un omicidio premeditato la condanna è giustamente quella. Ma aveva differenziato la posizione di Simone Boccaccini chiedendo per lui una pena di 24 anni, visto che non aveva partecipato all’agguato e quindi – almeno in teoria – poteva avere avuto dei dubbi.
Invece no: tutti uguali, quasi come se in questo modo Biagi potesse rivivere oppure lo Stato dimostrare che le cose le sa fare bene.
Chissà però perché chi è sempre a piangere per le “sentenze a priori” stavolta non ha detto nulla…