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<em>Gauguin e Van Gogh; Millet</em>

Ieri avevamo prenotato e pagato. Oggi non potevamo più tirarci indietro. Non importa che a dispetto delle previsioni solatie stamattina ci fosse una nevicata di quelle davvero toste, che faceva solo voglia di starsene tranquilli davanti al camino. Non importa che stamattina ci avessero comunicato che la nostra povera 147 fosse finalmente pronta: meglio, sarebbe importato se le condizioni climatiche fossero state decenti, ma oggi era fuori discussione prendere un mezzo di trasporto che non fosse il treno. Così ci siamo avviati per Brescia, alla mostra della stagione 2005-2006 (ingresso cumulativo 15 euro; chiude il 19 marzo).
L’inizio non è stato dei migliori: a parte la neve, la prenotazione via internet non funzionava, e arrivati in carrozza il capotreno ha gentilmente comunicato che saremmo partiti con dieci minuti di ritardo… perché la motrice era stata agganciata in ritardo. Non che fosse un problema insormontabile, visto che avevamo appositamente preso un treno con congruo anticipo per potere mangiare un boccone a Brescia, cosa che in efetti abbiamo fatto: non alla caffetteria del museo, che era strapiena come spesso capita quando la gente è comunque arrivata a vedere la mostra ma non vuole uscire per il freddo, ma a un bar a un centinaio di metri. Arrivati e fatta la nostra bella coda – non per i biglietti, ma per il guardaroba – siamo finalmente entrati a vedere la mostra, anzi le mostre, visto che oltre a quella principale su Gauguin e Van Gogh erano esposti una sessantina tra quadri e disegni di Jean-Francois Millet, tutti provenienti dal Museum of Fine Arts di Boston.
Innanzitutto bisognerebbe chiamare la mostra “le tre G”. Oltre ai due pittori, si ergeva alta e fiera la figura di Marco Goldin, il direttore di Linea d’ombra, la società coneglianese organizzatrice delle mostre lì a Santa Giulia. C’erano massime e aforismi di Goldin dipinte sui muri, libri di Goldin al bookshop, l’installazione multimediale a metà della mostra – l’ultimo grido della modernità per una mostra, a quanto pare – aveva una voce che recitava poesie di Goldin, e il video proiettato, dopo un interessante gioco di tridimensionalità con alcuni dei dipinti in mostra, presentava un atto unico di… come? avete detto Goldin? ma allora ci siete già stati! Lascio ai miei lettori, pochi ma indubbiamente intelligenti, decidere se è megalomania o un utile sistema sinergico per ridurre le spese.
A parte ciò, la mostra mi è sembrata molto piacevole. Rispetto a quanto vedemmo al Van Gogh Museum di Amsterdam, il periodo iniziale del pittore olandese presenta una serie molto più variegata di opere, soprattutto disegni, così come si può notare l’eclettismo giovanile di Gauguin prima che decidesse di passare al primitivismo. Anche i pannelli didascalici, e i frammenti di alcune delle numerosissime lettere scritte da Van Gogh, aiutavano a comprendere meglio lo svilupparsi delle carriere dei due grandi, e le loro relazioni e influssi reciproci. Anche la mostra su Millet aveva un senso nel contesto: Van Gogh infatti imparò a disegnare anche dalle stampe milleriane, e così è stato possibile confrontare alcuni quadri e personaggi, come il Seminatore, con gli originali che li hanno ispirati.

Ultimo aggiornamento: 2005-12-28 23:45

_A sua immagine_ (libro)

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Il libro (James BeauSeigneur, A sua immagine [In His Image], Editrice Nord 2005 [1988,1997,2003], pag. 389, € 18, ISBN 88-429-1364-2, trad. Vittorio Curtoni) ha come sottotitolo “un thriller teologico”. Non mi sono perciò stupito più di tanto a scoprire che il traduttore è Vittorio “old Vic” Curtoni, che si è sempre divertito con questo sottogenere (ma guarda, Vic, che si dice “alla Porta Palatina!”) L’idea di base è che la Sindone contenga delle cellule ancora vive (del Figlio di Dio? di un extraterrestre?) dalle quali si riesce a clonare un uomo che farà carriera all’interno di una ONU ormai a guida del pianeta. Il tutto condito da sindonologi, citazioni bibliche, ebrei messianici, spiriti guida new age, diplomatici più o meno intrallazzati, e missili nucleari. A parte lo scoop su chi fu a tradire davvero il Cristo – no, non è stata la Maddalena: Dan Brown qua non è di casa – ho trovato il libro piuttosto pesante, troppo infarcito di nozioncine e note a piè di pagina per far vedere quante cose l’autore conosce; e il disclaimer messo all’inizio e ricordato con una nota verso la fine del libro per evitarsi una fatwa cristiana mi pare francamente eccessivo…
È strano invece che abbia tre date di copyright, come se lo continuasse a riscrivere. Il libro devrebbe essere il primo di una trilogia, ma non credo che proseguirò.

Ultimo aggiornamento: 2018-12-15 18:15

L’oceano del tempo (libro)

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Roger MacBride Allen è uno degli ultimi epigoni del genere “fantascienza hard”, che cioè mette fortemente l’accento sulla parte “scientifica”, lasciando perdere tutte le sortite psicologiche e simili. Troviamo così in questo libro (Roger MacBride Allen, L’oceano del tempo [The Ocean of Years], Urania supplemento 22 – giugno 2005 [2002], pag. 391, €4.10, ISSN 977-1120-528019, trad. Fabio Feminò) una serie di lunghe spiegazioni su come ci si può muovere in un ambiente con muffe altamente velenose che ti si attaccano immediatamente addosso, oppure sulla differenza tra tempo cronologico, soggettivo ed oggettivo: il tutto in giro per lo spazio galattico, alla caccia del terraformatore Oskar DeSilvo, che – se è davvero ancora vivo – forse ha delle idee su come bloccare il declino dell’espansione galattica.
La trama si lascia leggere anche senza avere prima letto il primo volume della saga, Le astronavi del tempo (che io lessi, dimenticandomelo…) Il traduttore avrebbe però potuto leggere più attentamente il testo, e accorgersi di avere sempre scritto casualità invece che causalità

Ultimo aggiornamento: 2005-12-15 10:04

La vedova Socrate

Abbiamo deciso all’ultimo momento di andare allo Studio a vedere questo monologo scritto, diretto e interpretato da Franca Valeri. E quando dico “ultimo momento”, intendo dire che siamo arrivati al teatro a chiedere se c’erano biglietti. Risposta: “tutto esaurito, ma possiamo mettervi in lista d’attesa”. Sì, proprio come in aeroporto: stesso identico assalto al bancone. Siamo alla fine riusciti ad entrare (a prezzo pieno, anche perché naturalmente mica ci eravamo portati gli abbonamenti dietro, e nel mio palmare c’erano i numeri dell’anno scorso), in mezzo a un pubblico più o meno coetaneo alla Valeri.
Devo dire che l’inizio è stato per me uno choc: la Valeri, che tra l’altro non ha voluto il microfono da viso, ha ormai ottantacinque anni, e nelle sue prime battute li si sentiva tutti, anche se paradossalmente con lo svolgersi del monologo ha ripreso forza. Certo che, con un’improbabile parrucca bionda e delle ancora più improbabili zeppe dorate, Valeri-Santippe ne aveva per tutti: non solo per il suo ormai defunto marito Socrate, del quale finalmente si poteva vendicare per tutte le battute da lui fatte, ma per Aristofane, Alcibiade, Agatone… e naturalmente per Platone, che le aveva rubato tutti i diritti d’autore per le opere del marito: e dire che Socrate l’aveva semplicemente assunto come copista!
Un bello spettacolo, non c’è che dire: certo che questi grandi vecchi sono tosti…

Ultimo aggiornamento: 2005-12-12 13:15

American Gods (libro)

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Il titolo di questo libro (Neil Gaiman, American Gods, Mondadori – piccola biblioteca Oscar 2003 [2002], pag. 523, € 9, ISBN 8804520833, trad. Katia Bagnoli) può fare pensare a tante cose. E in effetti nel libro le si possono trovare probabilmente tutte. L’idea di base non è affatto nuova: gli dei esistono perché la gente crede in loro, e la loro potenza dipende direttamente da questo. Solo che un dio è anche legato a un luogo: gli emigranti negli Stati Uniti si sono così portati con sé una nuova copia del dio. Ma l’America, si sa, brucia gli dei: così troviamo questi tipi anzianotti, come il signor Wednesday (colta la citazione? non preoccupatevi, viene spiegata nel testo) che vivono di espedienti vari e cercano di riunirsi tutti insieme per sconfiggere i nuovi idoli, come la signora Media. Il tutto facendosi aiutare da Shadow, quasi un Parsifal riportato nel ventunesimo secolo.
Il libro si legge che è un piacere. L’unica cosa che avrei voluto aggiungere al testo è un glossarietto con tutti i riferimenti alle varie mitologie. Alcune le ho riconosciute facilmente, altre mi hanno fatto risvegliare ricordi sopiti da decenni, ma confesso che ce ne sono alcune che mi sono totalmente oscure.

Ultimo aggiornamento: 2005-12-05 16:11

Zucker!… come diventare ebreo in 7 giorni (film)

La trama di questo film è più o meno semplice: Jackie Zucker, nato come Jakob Zuckermann, non ha seguito il resto della famiglia fuggita da Berlino nel ’61 ed è diventato un personaggio abbastanza famoso nella DDR, rinnegando le proprie origini ebraiche. La riunificazione però l’ha rovinato, e sta per essere imprigionato per debiti, quando viene a sapere che sua madre è morta e potrà avere la sua eredità… solo se si riconcilierà con il fratello, che invece è rimasto un ebreo ortodosso. La coabitazione forzata finirà più o meno come ci si può immaginare.
La cosa strana di questo film è che è tedesco. E lo si vede: c’è un qualcosa di “Goodbye Lenin”, e le situazioni, più che yiddish, sembrano essere teutoniche. Il risultato finale non è una grossa grassa risata, ma ad ogni modo è una visione piacevole.

Ultimo aggiornamento: 2005-12-03 23:40

_Longitudine_ (libro)

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Oggi abbiamo i GPS che ci dicono dove ci troviamo con un errore massimo di pochi metri, e la facciamo semplice. Ma non è sempre stato così: fino a pochi secoli fa, soprattutto in mare, ci si poteva perdere, e rischiare di morire per inedia o naufragando contro gli scogli. Il problema della latitudine si poteva risolvere abbastanza facilmente; ma la longitudine (“sinistra o destra?” su una cartina geografica, tanto per intenderci) sembrava impraticabile. Ecco così la storia (Dava Sobel, Longitudine [Longitude], Rizzoli BUR Saggi – 1999 [1995], pag. 155, €7, ISBN 88-17-11290-9, trad. Gianna Lonza e Olivia Crosio) di una lotta titanica per trovare un sistema per calcolare la longitudine, il tutto condito da un enorme premio, l’equivalente di vari milioni di euro, offerto da un’apposita Commissione per la longitudine britannica. Eh sì, gli inglesi dominavano i mari e quindi ne avevano un gran bisogno. Ci furono due partiti: quello degli astronomi, che utilizzavano le stelle fisse e una serie di manuali, e quello… di John Harrison, un orologiaio autodidatta che passò la sua vita a costruire quattro diversi modelli di orologio, sempre più precisi. Infatti un orologio sincronizzato esattamente con l’ora di un certo luogo permette automaticamente di calcolare la longitudine relativa: basta misurare la posizione del sole a “mezzogiorno”. Harrison fu sempre inviso all’establishment, nonostante i suoi modelli sbagliassero di qualche secondo in tre mesi di viaggio in mare, e non ottenne mai tutto il premio meritato.
Il libretto è molto avvincente, anche se qualche volta la traduzione mi sembra un po’ tirata; una lettura piacevole.

Ultimo aggiornamento: 2017-02-07 23:11

<em>Mario Sironi/Constant Permeke – I luoghi e l’anima</em>

Sfruttando il fatto che La Repubblica era il “media partner” della mostra, e quindi potevamo entrare con biglietto ridotto – 6 euro e mezzo anziché 8 – e soprattutto con una visita guidata, oggi siamo andati a Palazzo Reale.
Non so se per la nevicata che non faceva certo venire voglia di andare in giro o perché dall’altra parte c’è la finta mostra di Caravaggio, ma Stefano – la nostra guida – ha guidato… quattro persone, il che ci ha dato la possibilità di avere una fruizione molto personalizzata, anche perché comunque non è che ci fossero chissà quante altre persone.
Non ho capito la logica di questo accostamento. Sironi e Permeke sono praticamente coetanei, ed entrambi pittori: ma la similitudine finisce qua. Affermare che “ciascuno superò la propria corrente pittorica” è una frase fatta senza troppi significati; e nonostante i diversi stili che ciascun pittore ha seguito nella loro arte, non è mai capitato di vedere un quadro e sbagliarne l’attribuzione :-)
Alle opere dei due artisti sono state associate delle installazioni (fotografie, e un video in stile fotografico) di Francesco Jovine, che ha ripercorso oggi i luoghi cari ai due pittori. Le immagini erano anche interessanti, ma anche qui non ho assolutamente capito quale fosse la reale relazione con i quadri. E non venitemi a dire che non capisco l’arte, vi prego.
La mostra – che rimarrà fino al 29 gennaio – è comunque interessante, nonostante queste stranezze.

Ultimo aggiornamento: 2005-11-26 22:42