Venerdì pomeriggio siamo partiti per un weekend in Trentino. Il nostro treno era alle 16.05: arrivo in stazione con una decina di minuti di anticipo, mentre Anna era già davanti a una di quelle famigerate macchinette “Fast Ticket”. I biglietti li aveva presi stamattina via Internet, ma la modalità “ticketless” non era disponibile e quindi bisognava stamparli. La macchina scrive sul display “sto stampando…”, rimane così per un minuto buono, e poi appare una minacciosa schermata rossa “Sportello Chiuso”. Comincio a temere il peggio: andiamo a un’altra macchinetta, rimettiamo il codice di prenotazione, e ci appare la scritta “Prenotazione bloccata: rivolgersi in biglietteria”. Il tutto alle 16.01, con le biglietterie che come si può immaginare erano un carnaio unico. A questo punto andiamo al binario, becchiamo il controllore e gli spieghiamo il tutto. Lui ci dice “io non posso stampare il biglietto: per me non ci sono problemi ma quando cambiate a Verona dovreste provare alle macchinette là”. Il tutto con una coincidenza di otto minuti.
Nonostante il treno fosse strapieno, con i corridoi completamente bloccati alla faccia delle prenotazioni obbligatorie, fortunatamente è arrivato in orario e così sono riuscito a catapultarmi nell’atrio e stampare questi stramaledetti biglietti. Non che ci siano serviti, visto che di controllori non ne abbiamo trovati… L’avventura è terminata alla stazione di Trento, dove ho acquistato due prenotazioni per il tratto Trento-Verona del ritorno: visto che l’eurocity di domenica non ha la prenotazione obbligatoria, Trenitalia non ti permette di acquistarla via Internet e devi per forza andare in biglietteria. Gentili, vero?
Riuscire a stampare un biglietto non è per nulla una cosa facile.
Domande spiazzanti
Su Repubblica cartacea di venerdì, sezione milanese, c’è un intervista al neomaturato Matteo Albini. Domanda: “I commissari esterni sono stati molto severi?” Risposta: “Noi abbiamo avuto professori bravi che però facevano domande spiazzanti. A me hanno chiesto chi c’era in Etiopia prima che arrivasse Mussolini”. La domanda “spiazzante” non è stata fatta a uno studente di un istituto tecnico, dove magari non è che storia sia una materia così seguita dagli studenti, ma in un liceo classico. D’altra parte, visto che il giovane lo dice con tutta tranquillità, immagino che per lui fosse assolutamente normale non sapere nulla al riguardo. E poi ci chiediamo quali sono i danni della televisione?
Se questo è il livello di chi esce da un liceo classico…
Nel marketing il lessico è tutto
Non ho mai capito bene il perché, ma una volta ho commesso l’errore di fare un test su Tickle. Così ogni anno mi arriva un messaggio dicendo “guarda che ti stiamo buttando via l’account”, e – continuo a non avere capito il perché – mi ci ricollego. Ieri, in un attimo di follia, ho persino provato a fare un test di Rorschach, che nella parte aggratis del risultato mi ha detto che io sarei “a man of peace”. Bah.
Ma la cosa più divertente è stata l’email che mi sono trovato stamattina, che fondamentalmente mi diceva “ma come, non vuoi il report completo per soli novedollarienovantacinque?” Il divertente naturamente non è questo, ma l’ultimo link in fondo: il testo è «Click to get free info on how to start processing credit cards». Molto americana, quest’idea di informazioni GRATUITE per permetterci di pagare, non trovate?
Ma a Repubblica/Espresso lo sanno?
sincretismo nel phishing
Perché limitarsi a fare phishing su un solo sistema? L’ultimo esempio che mi è arrivato ha lo slogan «Il più buon modo di comprare o vendere on-line su eBay sta usando PostePay», qualunque cosa ciò dovesse significare in italiano per gli amiconi che hanno scritto il messaggio. Altre chicche nel testo: «Ad attivo i servizi on-line e nuovi con eBay per favore completano il Suo Poste.it conto on-line» che è al di là della mia comprensione, e «L’Assistenza Clienti […] immediatamente vuole attivo i Suoi servizi nuovi con eBay», che almeno è più chiaro.
D’altra parte, il sito del phishing, 125.70.253.8, è situato a Pechino…
Nota a lato: gli indirizzi IP stanno davvero per finire, se la classe A 125.x.x.x è già stata assegnata. Dopo di quella c’è solo la 126.x.x.x… (sì, lo so che le classi A sono allocate per continente e magari gli asiatici sono più avanti nel loro uso, ma il concetto non cambia) Ricordo ancora quando in Cselt non eravamo connessi via Internet ma solo con Decnet, e usavamo indirizzi IP interni 125.x.x.x “perché tanto non davano fastidio in ogni caso”!
Di Pietro e Second Life
Ormai Antonio Di Pietro sembra essersi davvero lanciato su Second Life, come si può vedere dalla “conferenza stampa virtuale” tenuta ieri e che il Corsera ha preso in giro.
Second Life è una di quelle cose che non mi ha mai acchiappato, quindi non saprei nemmeno dire se la conferenza stampa è stata un successo oppure no. Stefano Epifani ha ragione: non solo tra i blog (che non ho letto), ma nemmeno l’articolo del Corsera racconta quali erano i temi trattati, ma si limita a considerazioni di colore e a parlare delle domande del pubblico.
Detto tutto questo, non me la sento comunque di andare contro Tonino. Innanzitutto lui (occhei, i suoi spin doctor) sono riusciti a prendersi il primo posto, con tutto il battage pubblicitario correlato; pubblicità sicuramente positiva rispetto a quella che ci si becca con le piazzate tra colleghi della maggioranza. Poi c’è un altro punto che mi sembra non essere stato considerato a sufficienza. Il politico è virtualmente visibile, ma non è affatto detto che le risposte le scriva lui, o perlomeno le scriva senza nessun controllo altrui. Questo aiuta molto chi è facile alle gaffe, e di per sé non è nemmeno una brutta cosa, perché paradossalmente è contro la spettacolarizzazione della politica. Sì, è buffo dirlo quando si sta parlando di Second Life. E allora?
Il vantaggio competitivo di Italia1
Prendo spunto da un post di PaulTheWineGuy per chiedere lumi al mio colto pubblico su un quesito che mi sta assillando da parecchio tempo.
No, la domanda non è “in quale squadra gioca il figlio di Ciccio Graziani”. Quello si fa in fretta a saperlo con una guglata. Il quesito è molto più serio: “Perché mai tutti i televisori nei bar sono accesi su Italia1?”
Potrei forse capire che lo faccia il bar in via Giacosa, anche se di gggggiovane non è che abbia molto. Potrei ancora accettare il bar di Monza (vicino al Parco) dove domenica pomeriggio ho preso un caffè. Ma il kebabbaro in via Padova, dove ti trovi anche i giornali che ricordano – in italiano – che l’Italia è d?r al-harb, perché ha la tv puntata su Italia1? Ci sono messaggi in codice per i bravi seguaci dell’Islam? E com’è che nell’area ristoro Avis di Largo Donatori di Sangue c’è una tv accesa su Italia1? Forse ci sono degli studi che hanno mostrato l’aumento improvviso di emoglobina in chi si trova a passare vicino alle immagini trasmesse? Quelli del Tour de France lo sanno? Non lasciatemi nell’ignoranza!
ps: Gabriele Graziani almeno nello scorso campionato giocava nel Mantova. Adesso potete dormire tranquilli.
Etnomatematica (libro)
(se vuoi una mia recensione più seria, va’ su Galileo!)
Per tutti noi la matematica è fondamentalmente una successione di teoremi e dimostrazioni. Magari le dimostrazioni non le capiamo, ma ci fidiamo. Questo però è il lascito del pensiero greco, e non è affatto detto che la stessa cosa capitasse con altri popoli. Ma effettivamente, come potrebbe la matematica essere diversa? In questo libro (Marcia Ascher, Etnomatematica [Mathematics Elsewhere], Bollati Boringhieri – Saggi Scienze 2007 [2002], pag. 235, € 28, ISBN 978-88-339-1767-2, trad. Paolo Pagli) l’autrice cerca di dare una risposta, proseguendo le ricerche etnologiche già portate avanti da lei in passato. Vengono cosi presentati vari concetti matematici in culture primitive, anche se non necessariamente: la sezione in cui viene spiegata la logica “prescrittiva” del calendario ebraico è assolutamente gustosa, cosi come la struttura ciclica che i baschi delle montagne usavano fino a pochi decenni orsono per ottenere equità ed evitare prevaricazioni. La matematica sottostante i vari procedimenti raccontati è svolta in maniera fin troppo completa, il che forse potrebbe nuocere a chi non è così abituato a masticarla; la traduzione è ottima – ma Paolo Pagli è docente universitario di matematica, quindi ce lo si può aspettare. Peccato per qualche svista sfuggita ai correttori di bozze.