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Google e la direttiva copyright: chi l’avrebbe mai detto?

Immaginate una felice città in cui si trovano varie panetterie e un grande supermercato che tra gli scaffali vende anche il pane di queste panetterie. A un certo punto i panettieri si accorgono che nessuno viene più in negozio da loro, perché è più comodo fare un unico giro al supermercato, e quindi si accordano per stabilire che il supermercato deve pagare loro il pane più di quanto loro lo facciano pagare ai loro clienti. Il direttore del supermercato ascolta le lamentele dei negozianti e risponde “Capisco. Vorrà dire che da domani venderò solo pane confezionato industriale”, al che i panettieri gridano allo scandalo perché il supermercato vuole intimidirli.

Ecco a grandi linee cosa sta succedendo in Francia. Ve la ricordate tutta la storia sulla direttiva europea riguardo al copyright, e per la precisione sull’articolo 15 (ex 11) che introduceva un nuovo diritto d’autore su chi raccoglie e ripubblica gli estratti (“snippets”) delle notizie presentate dai giornali. Di per sé i vari stati membri dell’Unione Europea hanno due anni di tempo per implementare nelle leggi nazionali la direttiva, ma i francesi evidentemente avevano fretta – d’altra parte uno degli europarlamentari più attivi a favore della direttiva è stato Jean-Marie Cavada – e quindi a luglio hanno già emanato la legge al riguardo, che copia pedissequamente il testo della direttiva e quindi non richiederà procedure di infrazione. Google ha preso atto della cosa e ha deciso di rispettare la legge alla lettera: se una testata giornalistica vuole esercitare i propri diritti, basta che lo indichi nel file robots.txt del proprio sito, o nei singoli file o addirittura in porzioni specifiche del testo, e loro si limiteranno a riportare il titolo della notizia senza estratti.

Risultato? Diciamo che gli editori non l’hanno presa troppo bene. Qui potete leggere le prime righe del commento di Carlo Perrone (GEDI, ex Secolo XIX); qui potete vedere di come un’agenzia (che il mio amico Federico mi dice essere vicina all’UE) grida al latrocinio da parte di Google che vuole bypassare i diritti dei media. Beh, su: non è proprio così. Capisco che tutta la narrazione che i giornali hanno propinato in quest’anno abbondante si basa sul fatto che Google News ruba loro i proventi senza fare alcun lavoro se non raccogliere automaticamente i loro testi. Potremmo discutere all’infinito se sia vero o falso: non solo l’abbiamo già fatto fino allo sfinimento, ma soprattutto non è un mio problema, non essendo io né Google né un media. Però non possiamo pensare che Google sia obbligato a fornire un suo servizio (quello degli snippet) solo perché gli editori vogliono essere pagati: a Mountain View avranno fatto i loro conti e avranno deciso di forzare la mano. Perché sì, in un certo senso è vero che c’è un ricatto: come avrete notato, Google non ha scelto di bloccare a priori gli estratti, ma costringe le singole testate ad autobloccarsi, immagino per far partire una guerra tra poveri. Epperò resta il punto di partenza: se gli editori sono davvero convinti che le rassegne stampa automatiche toglievano loro ricavi, a questo punto avranno comunque dei soldi in più anche se non arrivano da Google, no? (Come, “no”? Volete forse dire che non ho capito nulla della loro posizione?)

Non mi stancherò mai di ripeterlo: c’è indubbiamente un problema di raccolta pubblicitaria legata alla fruizione delle notizie, ma la soluzione non può essere peggio del problema. È probabile che molta gente si accontenti dei titoli o poco più – gli snippet, insomma – e quindi non vada a leggere le notizie sui siti dei singoli giornali, nonostante i tentativi di clickbaiting di molte testate. Ora, se le notizie di base sono comunque le stesse tra i vari giornali mettere una tassa da far pagare alle terze parti è controproducente: o questi trovano qualcuno che comunque accetta di lasciarle libere, oppure chiudono baracca e burattini e la gente di cui sopra andrà avanti lo stesso senza finire sui siti delle singole testate. Un accordo diretto su modi migliori per mandare i lettori dai motori di ricerca ai siti dei giornali sarebbe stato più furbo: non so se le due parti l’abbiano mai davvero perseguito, ma sicuramente un obbligo ope legis porta alla prevaricazione da chi comunque ha il coltello dalla parte del manico. La chiusura di servizi come Google News può sembrare a prima vista un lose/lose, ma guardando i numeri chi ci perde davvero è solo una delle due parti, per quanto l’altra poi possa piangere. Mi aspetto sempre una confutazione che non sia a base di slogan, ma non trattengo certo il fiato.

Cosa cambia tutto questo per Wikipedia? Al momento nulla. Noi infatti non usiamo estratti degli articoli, perché li riformuliamo sempre; il nostro problema con l’articolo 15 è legato al titolo delle notizie, che per noi è un dato bibliografico ma di per sé risulta tutelato. Il fatto che Google non lo ritenga tale non significa molto, se non per vedere il risultato di un’eventuale contesa legale: ma noi dobbiamo restare sul sicuro e ci atterremo a un’interpretazione il più ampia possibile dei limiti. Per il momento, quindi, aspettatevi che quando la direttiva sarà legge anche in Italia troverete con ogni probabilità un dato in meno sulle fonti (ma il link resterà, non preoccupatevi: non dobbiamo certo fare ripicche.)

toh, ci si inventa una nuova licenza

Leggo sul Post che le Big5 (i gruppi librari più importanti al mondo) hanno citato a giudizio Audible, la società di Amazon specializzata in audiolibri. Come mai? Portava i libri che offriva al lettor… ehm, all’ascoltatore? Ovviamente no. La cosa è molto più sottile. Ultimamente Audible ha prodotto una nuova funzione, “Captions”, che dovrebbe essere resa disponibile dal 10 settembre. Questa funzione è pensata per i bambini che stanno imparando a leggere: man mano che il libro viene letto, un sistema di riconoscimento del parlato traduce i suoni in parole e le mostra una per volta su uno schermo. ArsTechnica spiega un po’ più a fondo la cosa, pur essendo costretta anch’essa a fare alcune ipotesi non essendoci alcuna specifica ufficiale. Gli editori americani contestano che la licenza che loro concedono ad Audible non permette di fare una cosa come quella. Se si associasse al testo letto quello presente nella versione scritta del libro, si potrebbe seguire che in effetti si sta usando qualcosa (il testo scritto) su cui non è stata ottenuta la licenza; non è un caso che quali di Amazon, che sono delle faina ma hanno anche fior di avvocati, abbiano deciso di fare altrimenti. Gli editori hanno pertanto scelto un’altra strada, fortunatamente esplicitata a pagina 3 delle cento pagine della citazione a giudizio. Proprio perché la tecnologia è automatica e quindi con un certo margine di errore – fino al 6% secondo Audible – succederebbe che

Audible Captions could directly compete with both books (physical and eBooks) and authorized cross-format (incorporating both text and audio) products, the latter which benefit consumers by not relying on faulty transcription technology and for which Publishers and authors are compensated.

Questi i fatti. Il mio commento? Innanzitutto, quello che mi preme far notare è che gli editori richiedono un nuovo tipo di copyright, proprio come a inizio anno hanno fatto per la famigerata snippet tax nella direttiva comunitaria sull’e-commerce. Come scrivevo sopra, per gli editori la versione audio+testo generato è diversa da quella audio+testo ufficiale, e qui non ci sono dubbi, che da quella solo audio, di cui sarebbe un formato derivato. Audible ribatte che non si può parlare di opera derivata, perché il testo è inestricalmente legato all’audio e non può essere usato in modo autonomo. Ora, per quanto io non abbia così a cuore Amazon, mi infastidisce molto di più questo ampliamento strisciante dei diritti d’autore, soprattutto perché l’ipocrisia degli editori parla dei mancati compensi loro o degli autori. Non mi stancherò mai di ripeterlo: in questi casi gli autori, salvo eccezioni davvero rarissime, contano zero. Un contratto standard, almeno qui in Italia, cede all’editore tutti i diritti, quindi i soldi per l’autore semplicemente non arriveranno.

Io non pretendo che chiunque segua il modello Wikipedia, con testi e immagini liberamente disponibili anche per essere usati in opere commerciali: non lo faccio sempre nemmeno io, tra i libri pubblicati ufficialmente per cui cedo i diritti e i testi come quelli di questo blog per cui uso una licenza di riuso non commerciale. Però la mia idea di opera derivata consiste in qualcosa che possa essere fruito in modo indipendente da quella originaria, e che non sia una mera rappresentazione. In questo caso l’indipendenza certo non si ha, per come Captions è stato pensato. Possiamo al più chiederci se a un bambino serva davvero un software che può fare errori: la mia risposta è che entrambe le parti in causa hanno esplicitamente alzato la probabilità di errore, ciascuna per i propri scopi. Stiamo parlando di libri letti professionalmente, quindi ben scanditi: potrebbero esserci errori di punteggiatura, ma le parole dovrebbero essere in massima parte corrette.

Chiudo con una considerazione sulla “rappresentazione”. Tra quattro giorni comincia Wiki Loves Monuments, e come capita da vari anni Wikimedia Italia ha passato mesi alla caccia delle autorizzazioni per fotografare liberamente almeno nel mese di settembre le tante opere d’arte italiane. Già per le opere antiche è un problema, ma per quelle contemporanee è praticamente impossibile, perché gli archi e i progetisti hanno il copyright non solo per l’opera in 3D ma anche per le foto, che sono viste appunto come opere derivate. Ma come si può fruire della foto di un palazzo o di una statua? E quale sarebbe la differenza tra vederla in foto o trovarsela di fronte? Ecco, il problema rimane questo: i diritti d’autore sono ormai un modo per impedire la creatività rimanendo fissi a quanto già fatto e cercando di sfruttarlo anche per cose che non si pensavano nemmeno.

Ultimo aggiornamento: 2019-08-28 17:43

Il blocco turco a Wikipedia e la Corte europea dei diritti dell’uomo

Come spero ricordiate, da più di due anni non è possibile accedere a una qualunque edizione di Wikipedia dalla Turchia. Il motivo è semplice: erano state scritte cose che non piacevano. Lo scorso maggio la Wikimedia Foundation ha presentato un ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Bene: in tempi assolutamente rapidi per la Corte (che spesso anzi decide di non avere giurisdizione…) il 5 giugno scorso il ricorso è stato messo in corsia privilegiata e il 5 luglio la Corte ha mandato una richiesta di informazioni alla Turchia, che ha ora tempo fino a fine ottobre per le controdeduzioni. Maggiori informazioni sul sito WMF.

Non so se ci saranno risultati pratici, ma almeno è un segnale che qualcuno pensa ai problemi della censura.

Autunno caldo

Se la mattina del 28 giugno qualcuno fosse capitato sulla pagina di Wikipedia dedicata all’autunno caldo (era questa: Wikipedia non butta via mai nulla…) a prima vista non avrebbe notato nulla di strano. La voce era sufficientemente ampia, e soprattutto ricca di fonti. Se però la persona in questione si fosse messa a leggere la voce in questione, avrebbe trovato affermazioni piuttosto sconcertanti. Si partiva dalla frase nell’incipit secondo la quale l’autunno caldo è «ritenuto il preludio del periodo storico conosciuto come anni di piombo» agli emendamenti parlamentari allo Statuto dei Lavoratori che «furono in gran parte peggiorativi, perché nel merito offrirono il modo di penalizzare i buoni lavoratori, a vantaggio dei cattivi: inoltre rimasero nel documento le norme che proteggevano i diritti dei dipendenti, cancellando il passaggio secondo cui quei diritti dovevano essere esercitati “nel rispetto dell’altrui libertà e in forme che non rechino intralcio allo svolgimento delle attività aziendali”».

A questo punto dobbiamo sperare che il nostro ipotetico lettore abbia i suoi neuroni funzionanti e non sia semplicemente in modalità copincolla. Se è sufficientemente sveglio noterà che la prima frase da me riportata non ha nessuna fonte al riguardo, e quindi dovrebbe pensare “e chi l’ha detto?”; per la seconda, si accorgerà che le fonti riportate per quella parte dell’articolo si riducono a una sola, il libro L’Italia degli anni di piombo scritto dai due noti pericolosi bolscevichi Indro Montanelli e Mario Cervi. Mettiamo pure che il lettore sia un diciottenne che non ha mai sentito parlare di loro: dovrebbe comunque essergli saltato agli occhi che di fonte ce n’è una sola e che magari essa potrebbe essere di parte.

Insomma, quella voce era fatta male. Questo è un fatto, indipendente dall’essere o meno presente su Wikipedia: si possono fare le medesime considerazioni se il testo fosse stato trovato in un qualunque altro luogo. Visto che però quello non era un luogo qualsiasi, se il tizio in questione fossi stato io avrei fatto qualcosa: avrei cancellato la frase sugli anni di piombo commentando “senza fonte”, e avrei aggiunto un avviso di non neutralità (c’è un testo apposito da inserire), in modo che anche il successivo lettore non troppo sveglio sapesse subito che c’era qualcosa che non funzionava. Purtroppo non siamo ancora stati capaci di insegnare agli insegnanti queste operazioni elementari, in modo che loro poi le spiegassero ai loro studenti; ma diciamo che posso capire uno che si lamenta dicendo che la voce è “sbagliata”.

Il duo Gad Lerner-Michele Serra ha scelto un’altra strada. Forte del fatto che loro sono loro, e soprattutto scrivono sul secondo quotidiano più letto d’Italia, «Con un uno-due ben coordinato […] abbattono Wikipedia.» (La frase è di Massimo Mantellini, per la cronaca). Non si sono limitati a lamentarsi, ma Lerner se l’è presa contro “wikicialtroni” che a quanto pare sono gli unici che di solito riescono a intervenire nelle voci, mentre Serra rincara la dose contro quei cattivoni degli anonimi: scrive «Ma chi l’ha scritta, o almeno assemblata, e riletta, e giudicata, non lo sapremo mai.» In verità la voce sull’autunno caldo è sostanzialmente così da tre anni, senza nessuna guerra di edit, il che significa che non c’è mai stato nessun altro a interessarsene; e le frasi incriminate saranno anche state inserite da un utente anonimo, ma sono state scritte da Montanelli e Cervi.

Non penso che quest’ira funesta che nel weekend ha preso il duo sia un problema generazionale: in fin dei conti io ho solo nove anni meno di loro. Non penso nemmeno sia un problema di scienziati contro umanisti: come Mantellini scrive nel suo post, all’estero non ci si fa problemi a fare edit-a-thon anche e soprattutto su temi lontani dalle scienze dure, che tanto vanno già avanti per conto loro. Quello che io credo è che ci sia un problema tutto italiano, legato a un certo nucleo di persone abituate al loro orticello che si vedono insidiato. In effetti sarebbe divertente pensare a cosa avrebbe detto Montanelli al riguardo :-) Il tutto è esacerbato dalla banale considerazione che il numero di persone che si occupano davvero di portare avanti disinteressatamente Wikipedia è sempre troppo basso, e quindi – come dicevo – è fin troppo facile per alcune persone far dire quello che si vuole a certe voci scegliendo oculatamente le fonti, sapendo che chi potrebbe rimettere le cose a posto è troppo impegnato oppure ha deciso da molto tempo di abdicare.

Per la cronaca, se io avessi avuto parecchio tempo a disposizione, cosa che non ho praticamente mai, mi sarei magari lanciato alla ricerca di una fonte di orientamento opposto e avrei riscritto il testo per tenere conto delle due opposte visioni: è però anche vero che la storiografia contemporanea non è proprio il mio campo di competenze e quindi avrei lasciato volentieri il lavoro a chi può trovare fonti molto più in fretta. Il guaio è che adesso la voce è più o meno ritornata al livello di tre anni fa, il che significa che si è perso qualcosa: a me serve sapere che c’è stato chi ancora vent’anni dopo sentenziava livorosamente contro l’autunno caldo, come servirebbe sapere cosa era successo al tempo riguardo a quelle tesi revisioniste. Ma mi pare che né Lerner né Serra siano in realtà interessati a tutto ciò…

L’affaire North Face, spiegato bene

Forse avete sentito che il mese scorso la società di abbigliamento The North Face, per mezzo della società di pubblicità Leo Burnett Tailor Made, ha inserito su Wikimedia Commons immagini con il suo logo e poi ha fatto un video per gloriarsi di come è stata brava, mostrando come le voci sui luoghi relativi avevano il logo The North Face, “il tutto in collaborazione con Wikipedia e senza pagare un centesimo”. Dopo la pubblicazione del video, le immagini sono state immediatamente tolte dagli amministratori di Commons e The North Face ha pubblicato un messaggio di scuse (pelose, probabilmente; ci sono voci che anche la campagna contro l’azienda fosse stata prevista, seguendo il famoso motto “bene o male, l’importante è che si parli di noi”. Ma non è di questo che volevo parlarvi, bensì di cosa è stato fatto al riguardo su Wikipedia (in inglese).

Slate ha pubblicato un articolo (ben fatto) al riguardo. Il punto di partenza è molto semplice: la voce sull’azienda deve o no riportare quanto successo? La discussione tra i contributori in en.wiki è stata molto articolata, perché c’erano punti di vista molto diversi e tutti di per sé sensati. Da un lato, non si riteneva bello parlare di qualcosa che ha riguardato Wikipedia dentro Wikipedia stessa; c’erano inoltre dubbi su quello che nel gergo wikipediano è detto “recentismo” (Wikipedia è un’enciclopedia, non un giornale: ha senso parlare di cose che magari tra dieci anni avranno ben poca rilevanza?); e ovviamente non si voleva usare l’enciclopedia come rappresaglia, per quanto questo sia stato il primo pensiero di molti. D’altra parte questo affaire ha avuto molta risonanza nei più importanti media in lingua inglese, e ha portato molto più traffico dell’usuale sulla voce dell’azienda. Alla fine si è trovata una soluzione di compromesso, legata anche al fatto che la voce sull’azienda era piuttosto breve, essendo al tempo composta di sole sedici brevi frasi; una trattazione troppo lunga non sarebbe per nulla stata equilibrata. Si sono così aggiunte solo due frasi su quanto successo, cercando di restare il più possibile aderenti ai fatti senza aggiungere opinioni.

Personalmente trovo adeguata la soluzione adottata: avrei forse accorciato ancora di più il testo non indicando le scuse ma lasciandole solo tra le fonti, ma apprezzo il fatto che non sia stata creata una sottovoce apposta come capita fin troppo spesso. E soprattuto apprezzo che la soluzione sia stata scelta in breve tempo e con il consenso dei contributori, il che mostra che nonostante tutto il concetto iniziale da cui Wikipedia è partita funziona ancora. E in Italia? Il risultato è un po’ diverso. Mentre sto scrivendo, la voce The North Face contiene una frase asettica su quanto successo; però il suo peso relativo è molto alto perché il testo totale è ridotto. Credo però non si potesse fare molto meglio, data la nostra “potenza di fuoco” molto minore…

Ultimo aggiornamento: 2019-06-17 13:39

E ti dovremmo anche pagare

C’è una persona (qui sul blog non faccio nomi, ma visto che uno dei tanti posti in cui ha scritto è un forum pubblico potete trovarvelo da voi, almeno fino a che non cancellerà il post) che si lamenta perché su Wikipedia hanno cancellato un testo scritto da Lui. Fin qua, nulla di nuovo, come non è neppure nuovo che cerchi qualcuno che gestisca Wikipedia Italia – anche se mi piacerebbe che questo qualcuno venisse trovato, così almeno potrei mandargli tutta la gente che fa queste domande.

Quello che è un po’ diverso dal solito, e che mi ha convinto a scrivere questo post, sono un paio di sue affermazioni:

«Tralaltro nonostante i fondi e la normativa non ti pagano neanche»

«non c’era un sito …cera la mia parola… così facendo credo sia diffamazione»

Posso immaginare che “la normativa” sia la direttiva sul copyright, spiegata benissimo dalla stampa tutta. Già comincio ad avere seri problemi a comprendere perché se non Ti si fa scrivere da qualche parte qualcosa “sulla Tua parola” Tu parli di diffamazione: io avrei piuttosto detto “censura”, ma evidentemente i Tuoi processi mentali ti fanno dedurre che se io [*] non credo alla Tua parola allora ti sto diffamando. Ma l’apoteosi è pensare che qualcuno debba essere pagato per scrivere quello che lui stesso vuole scrivere: in un sito privato, tra l’altro, ma anche se Wikipedia fosse pubblica non cambierebbe nulla. O forse no: potremmo proporre al nostro governo che attualmente si trova un po’ in difficoltà di aprire un sito italiani.gov.it e pagare chiunque voglia scriverci su. Anziché il reddito di cittadinanza avremmo il reddito di scrittura!

[*] Qui e in seguito “io” è da intendersi in senso generico: non ho mai avuto a che fare con la persona in questione, per mia fortuna.

lobbying

Come potete leggere, finalmente il presidente dell’Europarlamento Antonio “Mussolini ha anche fatto cose buone” Tajani ha pronunciato una decisa presa di posizione contro i lobbisti che “fanno pressioni indebite” sugli eurodeputati (i “MEP”, Members of the European Parliament). Come? Dite che Tajani in realtà si riferiva agli altri lobbisti, quelli che sono contro la direttiva sul copyright nella forma in cui è stata definita? Che rimane schierato? Naaaah, non è possibile. Tajani, voi lo sapete è un uomo di onore.

Parliamo più in generale. Fare lobbying non è necessariamente Una Brutta Cosa: tra l’altro è un modo per esprimere i punti di vista dei vari attori. Quello che non va è farlo di nascosto, direttamente o indirettamente. È vero che per trasparenza le varie società devono indicare quanti soldi hanno usato per le attività di lobbying e spulciando molto attentamente i rapporti dell’Europarlamento si possono trovare questi dati. Ma non sapere come sono stati usati rende più difficile capire se si parla di attività borderline. Da questo punto di vista noi di Wikimedia Italia siamo tranquilli, perché gli unici (pochi) soldi che abbiamo messo sono serviti per mandare un nostro rappresentante a Strasburgo per cercare di convincere all’ultimo minuto gli indecisi. Inoltre noi cerchiamo di essere il più possibile oggettivi. Sono stato intervistato per Radiouno (i miei due minuti si dovrebbero sentire dopo le 10:30) e non ho avuto prolemi a dire che ci sono alcune parti della direttiva apprezzabili, come la maggior tutela degli autori e la parte sulle opere orfane: certo non è quallo che avremmo auspicato, ma è chiaro che direttive come queste non possono che essere un compromesso. Sono certo che la “fazione opposta” non sarà così equa…

P.S.: La mia profezia, a parte l’approvazione della direttiva a larga maggioranza, è che Google e Facebook non ne verranno poi molto toccate. Non ci sarà più Google News, i filtri automatici già presenti su YouTube saranno un po’ ristretti, Facebook metterà lo stesso tipo di filtri. Se arriveranno du’ spicci ai media, arriveranno dai medi-piccoli attori che saranno i veri sconfitta. Eppure i “liberisti” voteranno in massa a favore della direttiva…

Ultimo aggiornamento: 2019-03-26 10:02

Wikipedia vuole oscurare Angela Luce. Perché?

Il titolo di questo post non è ovviamente mio: arriva nientepopodimeno che dal comunicato stampa di un evento tenutosi ieri al Palazzo delle Arti di Napoli, con un intervento di un docente di Diritto Costituzionale, di cui purtroppo non ho trovato fonti istituzionali.

Facciamo un passo indietro. Ieri nel tardo pomeriggio, dopo una di quelle sessioni estenuanti di lavoro in cui non si riesce a far funzionare nulla, scopro che ci sono stati due giornalisti di testate diverse che hanno chiesto informazioni su Angela Luce: uno è stato gestito autonomamente dallo staff di Wikimedia Italia, all’altro ho poi risposto io dopo aver cercato di capire esattamente cosa poteva essere successo; non mi era ancora chiaro che il tutto arriva dopo la conferenza stampa, e quindi avevo solo a disposizione le informazioni che potevo ricavare direttamente dalla cronologia della voce di Wikipedia.

In effetti, rispetto a quello che capita di solito – qualcuno che si ritiene importantissimo ma che in realtà non si fila nessuno e quindi viene espunto da Wikipedia – non ci sono dubbi che la signora Luce sia una persona rilevante: la voce su lei è presente sull’enciclopedia sin dal 2007. Qual è allora il problema? Cito direttamente dal comunicato stampa, presumibilmente opera di Giovanna Castellano:

Come sarà spiegato nel corso della conferenza stampa, si tratta di persone (almeno 3) che conoscono molto bene sia l’artista che il suo percorso e tuttavia, scientemente, hanno deciso di eliminare dalla sua pagina, eventi importantissimi che la riguardano. E, quel che è peggio, trincerandosi dietro l’anonimato garantito dai nick-name e forti del “potere” di controllo, potere che nel caso di Angela Luce viene usato in maniera distorta e schizofrenica.

Occhei, forse rileggendolo non è molto chiaro. O almeno a me non è chiaro come si possa sapere che quelle persone “conoscono molto bene sia l’artista che il suo percorso” considerando che “si trincerano dietro l’anonimato”. Qualcosa in più si può forse comprendere leggendo la parte fuori dal paywall dell’articolo del Mattino al riguardo:

la Luce vorrebbe inserire alcuni premi, come quello letterario di Camaiore, gli incontri con principesse e presidenti della Repubblica, serate in suo onore, i complimenti e i biglietti di stima ricevuti dai grandi artisti.

Ora non c’è nulla di male se la signora Luce viene intervistata e racconta di tutti i “complimenti e i biglietti di stima” da lei ricevuti. Ancora più naturale è che una sezione del sito personale della signora Luce riporti tutti questi complimenti e biglietti di stima. Ma voi vi aspettereste forse che una voce sull’Enciclopedia del Cinema Treccani riporti quelle notizie? E allora perché dovrebbero esserci su Wikipedia? Cosa c’entra – sempre citando dal comunicato stampa – che “tutto l’apparato di gestione della
sedicente enciclopedia è tenuto in piedi grazie a donazioni di privati”? (Ah, ricordo che l'”apparato di gestione” è in mano alla Wikimedia Foundation americana ed è la gestione tecnica del sito; la gestione delle singole voci è tenuta in piedi grazie al lavoro volontario e gratuito di chi ci scrive).

Comunque se volete scoprire “quanto è stato rimosso” per il momento non ci sono problemi: basta aprire la cronologia della voce (è un tab in alto in mezzo alla pagina) e cercare. L’ho appena fatto e ho scoperto che per esempio a fine 2017, per una decina di volte, un’utente che si trincera dietro il nick-name “Marisa roberti” voleva tra l’altro far sapere a tutti i lettori della voce che

Angela Luce ha avuto tre incontri con gli studenti: all'[[Università di Bologna]] e alla [[Federico II di Napoli]] con una lezione-spettacolo su [[Raffaele Viviani]] e la sua opera, e ancora a Napoli, nell’Aula Magna della Facoltà di Sociologia.

Purtroppo non ci era comunque dato di sapere qual è il suo piatto preferito per colazione; ma immagino che nel caso ce lo potrebbe dire la signora Giovanna Castellano, che presumo sia pagata per gestire l’immagine della signora Luce – nulla di male in questo, figuriamoci! – e quindi ha scelto questo modo per guadagnarsi il suo onorario – ecco, qui un po’ di male c’è, perché se vuoi metterti a fare qualcosa in un posto che non è tuo magari cominci prima a studiarti le regole di quel posto.

P.S.: ho scritto “per il momento” non perché Wikipedia o la Wikimedia Foundation voglia cancellare le tracce di quanto successo – non ce ne sarebbe nessuna ragione – ma perché l’articolo del Mattino lascia intuire che verrà sporta denuncia per conto della signora Luce contro la Wikimedia Foundation ed eventualmente coloro che hanno editato la voce: in questi casi la policy della WMF prevede che la voce in questione sia oscurata fino alla fine della contesa legale, per evitare ingerenze. È vero che ci saranno tanti altri luoghi della rete dove avere tutte le informazioni e notizie sulla signora Luce, però sarebbe sempre una perdita che Wikipedia non possa fornire quelle principali.

Ultimo aggiornamento: 2019-03-05 16:39