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ebook, Iva, ciurlate nel manico

Non so a chi mercoledì scorso sia capitato di leggere il paginone della Stampa dedicato a Franceschini che avrebbe cercato di «convincere i 27 colleghi dell’Ue che è arrivato il momento di superare l’anomalia europea della doppia tassazione per i libri», cioè ad abbassare l’Iva sui libri elettronici. L’articolo è del 24 settembre, si intitola “Non possiamo tassare gli ebook come fossero videogiochi”, e lo trovate qui. Ora si dà il caso che io abbia un minimo di conoscenza del tema, per banali ragioni come il fatto che di ebook ne ho pubblicato uno (e tra poco pubblicherò il secondo) e quindi ho scoperto sulla mia pelle una serie di informazioni che – chissà perché – non collimano proprio all perfezione con quanto scritto in quell’articolo. Provo a spiegarvele qui.

Partiamo con un dato di fatto: in Italia l’Iva sui libri è al 4% (assolta alla fonte dall’editore: per quello negli scontrini l’Iva non è indicata) mentre quella sugli ebook è al 22%. Su quello non ci piove. Perché questa differenza? Non si sa esattamente: da un lato occorre notare che un ebook non è venduto ma viene data un licenza d’uso, proprio come un vidceogame – e quindi non è così strano che venga fatta pagare la stessa Iva, no? – e dall’altro sembrerebbe che ci fosse una direttiva europea che impedisse di mettere un’Iva più bassa sugli ebook. È vera quest’ultima cosa? Non proprio. Per esempio, in questo momento il Lussemburgo ha un’Iva del 3% sugli ebook e anche la Francia ha abbassato l’aliquota al 5,5%. È permesso fare questa cosa? Sì e no. Lussemburgo e Francia sono state deferite alla Corte Europea di Giustizia, ma c’è appena stata una sentenza, perché un editore finlandese aveva presentato un ricorso perché l’Iva sui libri in formato digitale su ebook era diversa da quella sui libri di carta. La sentenza afferma che le singole nazioni possono (non “devono”, attenzione) applicare aliquote diverse. Resta tutto come prima, insomma, o quasi. La sentenza non si applicherebbe comunque direttamente agli ebook, visto che afferma che non è vietato che «books published in paper form are subject to a reduced rate of value added tax and books published on other physical supports such as CDs, CD-ROMs or USB keys are subject to the standard rate of value added tax.»; quella potrebbe essere l’unica ragione per cui Franceschini potrebbe cercare di mettere d’accordo i 28 sul fatto che gli ebook scaricabili siano equiparabili ai libri di carta, anche se la procedura di infrazione contro Francia e Lussemburgo sembra ferma, probabilmente per le ragioni che spiego sotto.

In effetti, quando nell’articolo si accenna alle lamentele degli editori (che, cito dall’articolo, «vorrebbero dal governo un “passo concreto” analogo a quello compiuto da Francia e Lussemburgo, che nel 2012 hanno deciso di sfidare le direttive europee e abbassato l’Iva sugli ebook»), la cosa non è così chiara. In effetti per capire esattamente il problema occorre sapere che dal prossimo gennaio una legge comunitari eliminerà il cosiddetto “Amazon loophole”. Se voi avete comprato ebook chez Bezos vi sarete accorti che sono spediti dal Lussemburgo. Perché? Perché così l’Iva è appunto al 3% e non al 22%. Ma dal primo gennaio 2015 l’Iva da calcolare sarà quella della nazione dove risiede il consumatore: quindi per noi tornerà al 22%. Cosa significa? Semplice. Se voi avete comprato il mio librino a 1,99 euro da Amazon, la suddivisione di quei soldi è questa:
– 0,06 €: IVA
– 0,58 €: Store (in questo caso, Amazon)
– 0,14 €: distributore (sì, negli ebook esiste sempre il distributore)
– 1,21 €: editore e autore (nel mio caso, 42 centesimi a me e 79 all’editore, se non ho fatto male i conti)

Trovate le stesse suddivisioni del totale se l’avete preso su iTunes o su Kobo. Se invece l’avete comprato su LaFeltrinelli.it, le cifre diventano 0,36 €, 0,49 €, 0,11 € e 1,03 € (36 centesimi per me e 67 per l’editore). Cosa succederà quindi dal primo gennaio prossimo? Che gli editori perderanno parte dei loro guadagni (li perderanno anche tutti gli altri attori, ma nel contesto dell’articolo è irrilevante). Non è così strano insomma che stiano premendo su Franceschini: quello che è strano è che, visto il pronunciamento della Corte di Giustizia, Franceschini dica che bisogna muoversi tutti insieme. Questa è una palla: proprio perché non ci sarebbe più distorsione della concorrenza – io il mio libro lo pagherò comunque con l’Iva italiana – la Corte Europea di Giustizia non dovrebbe più preoccuparsi.

Certo, Franceschini afferma: « «Abbiamo valutato varie opzioni, tenendo presente anche lo specifico del contesto italiano, nel quale non si può portare l’Iva dal 22 al 4% perché l’aliquota del 4% è già in deroga rispetto all’Europa.» Vero o falso? È vero che l’aliquota del 4% è “in deroga”, in un certo senso: ma se andiamo a leggere l’articolo 98 della direttiva europea sull’IVA, troviamo scritto

«1. Gli Stati membri possono applicare una o due aliquote ridotte.
2. Le aliquote ridotte si applicano unicamente alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi delle categorie elencate nell’allegato III.

e il punto 6 dell’allegato III recita

6) fornitura di libri, inclusi quelli in locazione nelle biblioteche (compresi gli stampati, i fogli illustrativi ed il materiale stampato analogo, gli album, gli album da disegno o da colorare per bambini, la musica stampata o manoscritta, le mappe e le carte idrografiche o altri tipi di carte), giornali e periodici, escluso il materiale interamente od essenzialmente destinato alla pubblicità;

. Insomma, la deroga è semplicemente perché quell’aliquota Iva non è la standard, esattamente come la mortadella paga il 10% e non il 22%.

A onor del vero il terzo comma dell’articolo 98 dice che «Le aliquote ridotte non si applicano ai servizi di cui all’articolo 56, paragrafo 1, lettera k)» e i servizi in questione sono «i servizi prestati per via elettronica, segnatamente quelli di cui all’allegato II»; se però andiamo a vedere l’allegato non si parla di libri ma di

1)Fornitura di siti web e web–hosting, gestione a distanza di programmi e attrezzature;
2)fornitura di software e relativo aggiornamento;
3)fornitura di immagini, testi e informazioni e messa a disposizione di basi di dati;
4)fornitura di musica, film, giochi, compresi i giochi di sorte o d’azzardo, programmi o manifestazioni politici, culturali, artistici, sportivi, scientifici o di intrattenimento;
5)fornitura di prestazioni di insegnamento a distanza.

e dunque torniamo al punto iniziale: se l’editore ti dà una licenza d’uso dell’ebook e non ti dà un libro, non può pretendere che l’Iva sia diversa da quella di un videogioco (e non stiamo a rompere sul fatto “sì, ma l’ebook si duplica come niente”: certo, ma non è che dire che hai la licenza d’uso ti impedisce di duplicarlo).

Ma quanto ci guadagna lo Stato dal mercato degli ebook? Partendo da questi dati dell’Associazione Italiana Editori, il mercato 2013 è stato (prezzi di copertina) di 1,23 miliardi di euro. Se il digitale vale il 5%, parliamo di 60 milioni, e quindi di una differenza (teorica, perché come detto sopra buona parte di quel 5% è stato venduto partendo dal Lussemburgo) di una dozzina di milioni di euro. Vogliamo essere ottimisti, pensare che il mercato quasi raddoppierà (probabilmente gli editori direbbero di no, perché significherebbe cannibalizzare le edizioni cartacee) e porterà il totale dei mancati incassi Iva a venti milioni di euro? Facciamolo.

Ultimo aggiornamento: 2014-09-29 16:37

inPoste.it®, tNotice®, SHA-7, e le “raccomandate certificate”

Qualcuno di voi ha mai sentito parlare dell’algoritmo crittografico SHA-7? No? Male, vuol dire che non siete per nulla aggiornati. Esiste da almeno due anni, come si può leggere su Facebook: cito la parte iniziale dello status, e avviso che se non volete usare Facebook potete anche leggere qui come funzionerebbe il sistema.

«Il nuovo algoritmo di crittografia SHA-7 è stato sviluppato per risolvere il problema della unicità di documenti digitali aggiunto all’interno del nuovo codice digitale della Pubblica Amministrazione in Italia.
La cifratura SHA-7 consente di generare un unico “digest del messaggio” del contenuto di un messaggio in relazione al sistema di comunicazione e trasmissione che viene utilizzato.
SHA-7 è più robusto rispetto all’attuale standard di SHA-2 diminuendo la probabilità di collisione di oltre 3 milioni di volte in meno rispetto alla incorruttibile e inattaccabile SHA-2. Tuttavia, è quattro volte più veloce di quest’ultimo, essendo realizzato con un minor numero di cicli di crittografia di permutazione.»

Lo scorso aprile avevo scritto un commento su quel thread Facebook, chiedendo qualche lume in più: purtroppo non ho mai ricevuto risposta. In compenso mi ha appena scritto Jacopo Notarstefano, segnalandomi che era stato oggetto di un ATTO DI DIFFIDA da parte di Claudio Anastasio: presumibilmente per aver parlato male di tNotice®, il servizio che implementa SHA-7. Jacopo mi ha anche segnalato che a quanto pare il comune di Priverno (LT) starebbe adottando tNotice (se ne parla anche qui).

Non sono riuscito a trovare il testo esatto della “delibera di indirizzo” – che per quanto ne so poteva semplicemente affermare che il comune è invitato a passare dalle raccomandate cartacee alla posta elettronica certificata in genere – ma mi ha lasciato molto perplesso il nome “Raccomandata elettronica®”: diffido sempre dai nomi che assomigliano ad altri termini. Sono così andato a cercare notizie più precise direttamente sul sito di inposte.it®, società di cui Claudio Anastasio è presidente del CdA e legale rappresentante.

Nella home page del sito campeggia l’annuncio che

inPoste.it ha conseguito autorizzazione postale n. AUG/3432/2014 dal Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento Comunicazioni – Direzione Generale – Divisione II, in data 6 marzo 2014 per il servizio di “Raccomandata Elettronica – tNotice”, con uguale valore legale della “raccomandata tradizionale” ai sensi e per gli effetti dell’art. 6 D.Lgs. n. 261/1999. Primo e unico Operatore Postale a certificare il valore probatorio del contenuto della trasmissione a norma della sentenza di legittimità della Suprema Corte di Cassazione n. 10021/2005.

Sono andato a vedere cos’è l’autorizzazione generale richiesta: il sito del ministero spiega semplicemente che tale autorizzazione consente di offrire di servizi postali di corrispondenza e pacchi. (Come sapete, PosteItaliane non ha più il monopolio del servizio postale). D’altra parte, quella è una legge del 1999 pentre il primo DPR per l’uso della posta elettronica certificata è del 2005. Il Certificato Postale Forense (CPF) non è definito da nessuna legge, e quindi non può avere valore legale checché venga indicato qui. D’altronde, non essendoci obbligo di essere iscritti al servizio tNotice® è possibile ricevere una raccomandata elettronica® e non essere in grado di leggerla, il che rende le cose piuttosto difficili: la PEC funziona infatti solo tra due caselle/domini certificati, altrimenti diventa un semplice messaggio non certificato.

A questo punto mi piacerebbe saperne di più, ma non ho trovato dati sufficienti. Le mie domande sono molto semplici:

– Dove è indicato all’interno del sito dell’Agenzia per l’Italia Digitale l’iscrizione di inPoste.it® come soggetto titolato a fornire il servizio di Posta elettronica certificata?

– Dove è sentenziato che tNotice® certifica il valore probatorio del contenuto della trasmissione?

– Dove posso leggere le specifiche tecniche dell’algoritmo SHA-7? (Capisco che l’algoritmo possa essere proprietario, e quindi io non possa implementarlo: ma questo non significa che io non possa sapere come è fatto)

– Dove posso leggere il testo completo della delibera di indirizzo del comune di Priverno e quello dell’offerta di inPoste.it®/tNotice®?

I miei ventun lettori sanno che io sono una persona curiosa: questo servizio sarà sicuramente innovativo, ma a me sembra tanto non avere alcun valore legale. Sarò lieto di essere smentito, ma con documenti ufficiali, non per mezzo di comunicati stampa: quelli so scriverli anch’io…

Nota: Raccomandata elettronica®, inPoste.it® e tNotice® sono marchi registrati da Claudio Anastasio e Luca Mastroianni, e qui utilizzati solamente per indicare i servizi e siti corrispondenti.

Aggiornamento: (16 novembre 2017) tNotice® continua a imperversare.

Ultimo aggiornamento: 2017-11-16 09:12

gli “inconvenienti” del copyright

L’Agenzia delle Entrate ha un sito, l’Osservatorio del Mercato Immobiliare, con delle bellissime mappe, di quelle vettoriali e non raster (il che significa che si possono scalare a piacere, perché edifici e altro non sono delle immagini ma sono calcolati con le coordinate). Questo sito è il fiore all’occhiello dell’Agenzia, tanto che nel 2010 il suo creatore, Sogei, ne tesseva le lodi. Facile, direte voi: quelli lì hanno tutti i dati catastali e li hanno sfruttati per la creazione delle mappe.

Macché. Sogei ha comprato lo stradario Navteq – e fin qui passi, dopo tutto le vie non sono accatastate – e l’ha appiccicato sopra le mappe prodotte dai volontari di OpenStreetMap, l’alternativa libera e costruita dal basso alle mappe di Google, di Virgilio o di Michelin. Come faccio a saperlo? Semplice: Simone Cortesi, vicepresidente di Wikimedia Italia e attivista OSM, si è accorto che quelle mappe contenevano il giardino e lo stagno di casa sua, che lui aveva aggiunto alla mappa per divertirsi. Eh sì, perché nel sito non c’era traccia dell’attribuzione di quelle mappe. Eppure usarle è assolutamente permesso, e non costa nulla: gli unici obblighi sono quelli di indicare da dove sono state prese le mappe e di lasciare i risultati con la stessa licenza. Dopo due mesi di infruttuosi tentativi di contattare l’Agenzia delle Entrate – dovete sapere che nell’Italia Digitale esiste la Posta Elettronica Certificata che è legalmente equivalente alle raccomandate; peccato che a tre mail PEC non è mai giunta risposta – gli amici di OSM hanno preparato un sito di accusa, intitolato “Agenzia Uscite” per una ragione che spiegherò dopo, e hanno iniziato uan campagna di informazione, alla quale ha anche contribuito il vostro affezionato bloggher scrivendo questo comunicato.

Risultato? Sogei è stata costretta a scusarsi ufficialmente, come si può leggere qui. E in effetti ora le mappe riportano anche il copyright OpenStreetMap, secondo la Open Database License. Tutto a posto, dunque? No. Leggetevi quel comunicato. A parte tutta la sbrodolata autopubblicitaria, Sogei «si scusa per l’inconveniente relativo all’uso di OpenStreetMap». Una violazione di copyright loro la chiamano “inconveniente”. Ovvio, no? Se mai qualcuno di voi verrà rinviato a giudizio, può sempre provare a spiegare al giudice che si è solo trattato di un inconveniente.

Ma quello che a me dispiace di più non riguarda Sogei ma l’Agenzia delle Entrate; non per nulla il comunicato di Wikimedia Italia era diretto a loro e non a chi aveva prodotto il software. L’Agenzia ha a disposizione una serie di dati, quelli catastali, che sono pubblici e dovrebbero essere liberamente utilizzabili da chiunque: se questi dati fossero disponibili, OpenStreetMap potrebbe migliorare ancora più la qualità delle proprie mappe, e tra l’altro sarebbe possibile scoprire finalmente la quantità di edifici non accatastati, con un vantaggio anche per l’erario. Lo scopo principale della campagna “Agenzia Uscite” era proprio questo: “usciteci questi dati”, in un italiano sgrammaticato ma sicuramente efficace. Paradossalmente, il successo dal lato Sogei ora bloccherà quest’altro tentativo. Sappiamo tutti che il ministero dell’Economia non lascerà certo la presa su quei dati, e l’unica speranza che abbiamo è un bombardamento mediatico: bombardamento che ora è impossibile (e se qualcuno pensa che la risposta così rapida di Sogei, che è controllata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, sia stata fatta pensando a questo non sarò certo io a smentirlo…)

Ultimo aggiornamento: 2014-07-08 22:17

vietato autocoalizzarsi!

Bisogna dire che al Giornale hanno imparato bene ad avere la faccia di tolla. Notizia di oggi: salta il confronto televisivo RAI tra i sei candidati premier (oops… non lo si può dire!). Questo perché il PDL ha fatto sapere che il regolamento approvato dalla Commissione di Vigilanza Rai dice che lo spazio è riservato ai leader delle coalizioni: ma Giannino Grillo Ingroia (in rigoroso ordine alfabetico), non avendo una coalizione, non possono esserci. Bene: che scrive Luca Romano, dipendente di Paolo Berlusconi? Che questa è tutta una mossa di Bersani perché ha paura del confronto faccia a faccia con Silvio Berlusconi. Monti, che pure una coalizione ce l’ha, è evidentemente irrilevante: nel faccia a faccia previsto da Romano probabilmente farebbe da cuscino per il candidato meno alto.
Innanzitutto è ormai certo che Maroni ha accettato (ex articolo 14bis comma 3 della legge elettorale) che il capo della coalizione in cui si trova è Silvio B., ma questa non è chissà quale notizia. Beh, non è nemmeno una grande notizia che al PDL non riescano a concepire il fatto che ci possa essere un partito che non voglia coalizzarsi preventivamente con nessuno: se paradossalmente esistesse un’unica coalizione e tanti partiti separati, secondo la loro interpretazione, il capo della coalizione avrebbe una tribuna elettorale tutta per sé.
Ma è istruttivo leggere il resoconto della riunione della Commissione di Vigilanza che ha approntato il regolamento elettorale, soprattutto negli emendamenti accolti. Nella bozza si parlava infatti di “candidati premier”, e solo nella riunione tutti si sono affrettati a correggere il testo in “capi della coalizione” prima che il presidente della Repubblica facesse loro notare che almeno per il momento la Costituzione non prevede il candidato premier. Naturalmente si sarebbe dovuto correggere la bozza scrivendo “i capi delle forze politiche e delle coalizioni indicati nei programmi elettorali depositati”, ma scrivere leggi e regolamenti non sembra più alla portata dei nostri legislatori…

Ultimo aggiornamento: 2013-01-29 17:51

Rimborsi elettorali: ennesima bufala su Facebook

Siamo sotto elezioni, e quale posto migliore di Facebook per condividere le solite bufale? Quella che sta girando adesso (vedi qui) “spiega” che «anche i voti bianchi e nulli entrano nel calcolo del premio di maggioranza, favorendo chi ha preso più voti», e fin qua nemmeno Monsieur de la Palisse avrebbe di che obiettare. Ma poi prosegue “spiegando” che

«ESISTE UN’ARMA LEGALE CONTRO QUESTA LEGGE INDECENTE
 
E ANTIDEMOCRATICA!»

(formattazione loro), e spiega che si può verbalizzare il rifiuto della scheda elettorale. In tal modo,

«EVITERETE CHE IL VOTO NULLO O BIANCO
 
· SIA CONTEGGIATO COME QUOTA PREMIO PER IL PARTITO CON PIÙ VOTI
 
ED EVITERETE CHE INCASSINO I VOSTRI 5€»

Ora, l’ortografia è corretta ma la semantica slitta pericolosamente dal “premio di maggioranza” inteso come seggi in più al “premio” inteso come rimborso elettorali; ma questo sarebbe il meno. Limitiamoci alla legge, ricordando che una delle poche cose buone che sono state fatte per quanto riguarda le leggi italiane è Normattiva, e partiamo da Wikipedia, che racconta come i soldi dati ai partiti dipendano dalla legge n. 157 del 3 giugno 1999 (per la parte normativa), “Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali” emendata con la legge n. 156 del 26 luglio 2002, “Disposizioni in materia di rimborsi elettorali” per quanto riguarda l’entità dei rimborsi e la legge 51 del 23 febbraio 2006 che fissa a cinque anni l’erogazione dei contributi anche se la legislatura finisce prematuramente (nota: ecco come faceva Lusi ad avere i soldi per l’inesistente partito della Margherita).
Andando su Normattiva, attivando il pulsante “aggiornamenti normativi”, e leggendo l’articolo 2 e l’aggiornamento relativo che abbassa le percentuali, si scopre che il contributo è dato a tutti i partiti che abbiano raggiunto l’1 per cento dei voti validamente espressi in ambito nazionale (grassetto mio). Quindi potete votare scheda bianca, annullare la scheda, rifiutare la scheda, o semplicemente starvene a casa: in ogni caso vi limiterete ad abbassare il numero di voti validamente espressi e quindi al più favorirete la possibilità che un partito piccolo possa superare la mitica quota dell’1% dei voti che non permette di avere rappresentanti in Parlamento ma comunque dà i soldi. Ah, il premio di maggioranza non c’entra un tubo, non è che chi lo vinca ottenga più soldi: quelli sono suddivisi rispetto ai voti validamente espressi. Notate che il fondo è ripartito tra i partiti e movimenti di cui sopra: quindi cercare di disperdere il voto dandolo a partitini dello 0,poco percento serve semplicemente a dare più soldi ai partiti più grandi.
Certo è vero che, come dice l’articolo 2 della legge 26 luglio 2002, n. 156, «Le spese per la campagna elettorale di ciascun partito, movimento o lista, che partecipa alle elezioni, escluse quelle di cui al comma 2, non possono superare la somma risultante dall’importo di euro 1,00 moltiplicato per il numero complessivo dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per la elezione della Camera dei deputati nelle circoscrizioni provinciali nelle quali ha presentato proprie liste». Ma rifiutare a verbale il proprio voto non significa certo togliersi dalle liste elettorali, e comunque per ottenere un qualche risultato occorrerebbe che l’80% dei cittadini si togliesse dalle liste elettorali. Non posso garantire che quello non sia il vero scopo dei “Fasci Littori di Combattimento” che hanno pubblicato il testo su Facebook, ma non credo lo sia di quelli che lo copincollano sulla loro bacheca, perché tanto copiare costa solo un clic…

Ultimo aggiornamento: 2014-04-23 09:51

Grandi rischi, piccole logiche

Poi dite che i processi in Italia non si fanno. I membri della Commissione Grandi Rischi che non hanno previsto il terremoto dell’Aquila e anzi hanno rassicurato la popolazione sono stati condannati in primo grado a 6 anni di carcere per omicidio colposo plurimo: più di quanto chiesto dallo stesso PM che si sarebbe accontentato di soli quattro anni. La loro colpa è di aver dato «informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie» sulla pericolosità dello sciame sismico dei mesi precedenti il terremoto del 6 aprile 2009.
Le motivazioni della sentenza naturalmente non le abbiamo ancora, ma possiamo provare a fare un po’ di fact checking, visto che la parola proprio oggi è di moda. Testi di riferimento: la memoria del pubblico ministero [A] e il verbale integrale della riunione della Commissione del 31 marzo 2009 [B].
La riunione aveva come scopo «l’obbiettivo di fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane», e la «”valutazione dei rischi connessi” all’attività sismica in corso sul territorio aquilano dal dicembre 2008» sarebbe stata «approssimativa, generica ed inefficace in relazione alle attività e ai doveri di “previsione e prevenzione”» ([A], pagina 2). Sia con «dichiarazioni agli organi di informazione sia con redazione di un verbale» la commissione avrebbe fornito «alla cittadinanza aquilana, informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie sulla natura, sulle cause, sulla pericolosità e sui futuri sviluppi dell’attività sismica in esame» ([A], pagina 3)
Passiamo al verbale dalla riunione. Lo scopo era «1) fare una valutazione oggettiva degli eventi sismici in atto in relazione a quanto si possa prevedere; 2) discutere e fornire indicazioni sugli allarmi diffusi nella popolazione.» Per chi non avesse memoria storica, il punto 2 si riferisce alla previsione di Giampaolo Giuliani, che basandosi sulle emissioni di radon prevedette per il 29 marzo un terremoto distruttivo a Sulmona. A dire il vero l’aveva anche previsto per il 13 marzo, sempre con epicentro a Sulmona; la riunione venne indetta in tutta fretta proprio per quella ragione. Giuliani venne denunciato per procurato allarme: non so cosa sia poi successo.
Vediamo che hanno detto gli esperti sul punto 1, con una mia traduzione tra parentesi quadre dopo ogni affermazione.
– Barberi evidenzia come sia estremamente difficile fare previsione temporali sull’evoluzione dei fenomeni sismici. [insomma, boh]
– Eva spiega cha la casistica è molto limitata, anche perchè terremoti così piccoli non venivano registrati nel passato. In tempi recenti non ci sono stati forti eventi, ma numerosi sciami che, però, non hanno preceduto grossi eventi (esempio in Garfagnana). Ovviamente essendo la zona di L’Aquila sismica, non è possibile affermare che non ci saranno terremoti. [di nuovo, boh]
– Boschi spiega che […] la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore. Guardando l’Italia nel suo complesso probabilmente c’è una logica che governa lo sviluppo dei terremoti. […] Ma questa logica non è ancora nota e non è perciò possibile fare previsioni. E’ invece molto noto che il Comune di L’Aquila è classificato in zona 2, e dunque è caratterizzato da una sismicità che richiede una particolare attenzione verso le costruzioni, che vanno rafforzate e rese capaci di resistere ai terremoti. [in Abruzzo di terremoti ce ne sono sempre stati, e quindi ce ne saranno con ogni probabilità altri anche forti. Non si sa però quando, e non si può che costruire bene]
– Calvi fa notare, sulla base del documento distribuito dal DPC, che le registrazioni delle scosse sono caratterizzate da forti picchi di accelerazione, ma con spostamenti spettrali molto contenuti, di pochi millimetri, e perciò difficilmente in grado di produrre danni alle strutture. C’è quindi da attendersi danni alla strutture più sensibili alle accelerazioni, quali quelle a comportamento fragile. [questo è l’unico punto su cui si può discutere. Calvi ha generalizzato il comportamento dello sciame sismico, cosa che non avrebbe dovuto fare]
– Selvaggi evidenzia come ci siano stati anche alcuni terremoti recenti preceduti da scosse più piccole alcuni giorni o settimane prima, ma è anche vero che molte sequenze in tempi recenti non si sono poi risolte in forti terremoti. [di nuovo, boh]
Qual è stata la conclusione? Eccola: «Il Prof. Barberi conclude che non c’è nessun motivo per cui si possa dire che una sequenza di scosse di bassa magnitudo possa essere considerata precursore di un forte evento.». Provo a dirlo con altre parole: il fatto che ci siano tante piccole scosse è indipendente dall’arrivo di una grande scossa. Può darsi che la scossa ci sarà, ma non è certo. Per chi ama la logica proposizionale, non abbiamo P⇒Q, ma due affermazioni P e Q indipendenti tra loro.
Passiamo al punto 2. Cito praticamente tutto l’intervento di Barberi:
«riferendosi a quanto sta accadendo a L’Aquila, spiega come le misurazioni del gas Radon ai fini previsionali dei terremoti sia un problema molto vecchio e oramai a lungo studiato, senza arrivare a soluzioni utili. Sicuramente in preparazione o in concomitanza dei fenomeni sismici ci sono fenomeni geochimici, la cui complessità è, però, tale da non poter essere utilizzati come precursori. Dunque, oggi non ci sono strumenti per fare previsioni e qualunque previsione non ha fondamento scientifico. Il problema va, invece, visto nei termini generali, perché l’unica difesa dai terremoti consiste nei rafforzare le costruzioni e migliorare la loro capacità di resistere al terremoto. Un altro importante aspetto da curare ai fini di protezione civile è migliorare il livello di preparazione a gestire un’emergenza sismica. Tutti i componenti della Commissione concordano con questa valutazione.».
Rimettiamoci a parafrasare il testo: ci può essere una correlazione tra radon e terremoti, ma non si riesce a capire bene quale. [Tanto che nelle due date di Giuliani per il terremoto non è successo nulla, e Sulmona non era comunque l’epicentro del terremoto. Nota scientifica: non commettete anche voi l’errore della logica inversa. Anche se fosse vero che radon⇒terremoti, questo non significherebbe affatto che non_radon⇒non_terremoti, ma semplicemente che non_terremoti⇒non_radon. Però Giuliani ha trovato radon nel posto sbagliato al momento sbagliato: quindi la sua previsione è stata semplicemente inaffidabile e pertanto inutile se non dannosa per i sulmonesi]
Insomma, non vedo proprio – a parte al più quelle del professor Calvi – quali fossero nel verbale le «informazioni contraddittorie». Certo erano «incomplete e imprecise», ma erano le uniche informazioni possibili. A leggerla così si direbbe che queste Commissioni dovrebbero solo rispondere “no comment”: almeno non sbaglieranno… Proviamo allora a vedere dal reperto [A] se si possono evincere alcune di queste informazioni incomplete, imprecise e contraddittorie dalle informazioni date alla stampa.
Le due frasi virgolettate al riguardo a pagina 3 (sono di De Bernardinis, vedi pagina 42 ss) sono «lo sciame sismico […] “si colloca diciamo in una fenomenologia senz’altro normale dal punto di vista dei fenomeni sismici che ci si aspetta in questo diciamo in questa tipologia di territori che poi, è centrata attorno all’Abruzzo però, ha colpito un po’ il Lazio, un po’ le Marche, oscillata diciamo nella zona del centro Italia”» e «”non c’è un pericolo, io l’ho detto al Sindaco di Sulmona, la comunità scientifica mi continua a confermare che anzi è una situazione favorevole perciò uno scarico di energia continuo, e quindi sostanzialmente ci sono anche degli eventi piuttosto intensi, non sono intensissimi, quindi in qualche modo abbiamo avuto abbiamo visto pochi danni”». Notate che De Bernardinis era il vice di Bertolaso, e ci tiene in tutte le interviste a far notare che sì, era accademico ma ormai “è un operativo” e quindi riporta quanto detto dagli esperti. La prima è di nuovo una frase banale che non dice nulla; la seconda è una frase mal scritta. Non parlo della sintassi, immagino che sia la trascrizione di una risposta a voce, ma proprio del contenuto. Certo, è vero che uno sciame sismico abbassa l’energia di un eventuale successivo grande terremoto. È un po’ come dire che se scoppia una pentola a pressione è meglio che prima la valvola abbia fatto sfiatare un po’ d’aria. Ma anche se è vero che questo non è equivalente a “statevene pure tranquilli nelle case”, ed è anche vero che per i sulmonesi alla fine il giudizio è stato corretto, la gente può aver capito male il significato; questo è vero soprattutto per chi ha una visione fideistica dello “scienziato”. Sono andato a vedere allora le trascrizioni integrali delle registrazioni audiovisive.
[A, pagina 41, servizio televisivo a cura della rete televisiva ABRUZZO24ORE]
Cronista: Si possono prevedere i terremoti?
Barberi: Qui la risposta è molto semplice, non si possono prevedere i terremoti, […]
Più chiaro di così, per quanto mi riguarda, è impossibile.
Oltre a quella a Barberi e due interviste a De Bernardinis ce n’è un’altra al sindaco dell’Aquila Cialente, che anch’egli minimizza. Insomma: gli esperti sono stati fumosi, i politici (diretti e indiretti) hanno rassicurato, ma alla fine a essere condannati sono stati i primi perché erano loro che dovevano dare una risposta netta e definitiva su un qualcosa a cui non si poteva dare una risposta netta e definitiva. Sì, si sarebbe potuto fare una comunicazione come quella suggerita (a posteriori…) da Peter Sandman e riportata da Anna Meldolesi. Secondo voi, un’omessa comunicazione equivale a un omicidio colposo plurimo?
Mi pare che siamo passati dall’accettazione fideistica della scienza all’immolazione dello scienziato come capro espiatorio: insomma, siamo scesi ancora più in basso nell’educazione culturale delle persone. E dire che non possiamo neppure dare la colpa all’oppio dei popoli… per una volta di religione di qualunque tipo non se ne parla.

Ultimo aggiornamento: 2014-11-11 10:53

Il perché dei no ai referendum contro il Porcellum

Ieri sono state depositate le motivazioni della Consulta per la decisione di non ammettere i due referendum contro l’attuale legge elettorale. Siamo in Italia, e così a quest’ora la notizia non è già più nella homepage del Corriere, e galleggia a stento in quella di Repubblica. Si sa, la notizia era “referendum sì, referendum no”: il perché è pleonastico.
Come promesso, invece, due parole su queste motivazioni io le scrivo. Purtroppo non posso darvi il link alla sentenza 13/2012 se non dicendovi di cliccare qui e mettere 2012 nell’anno e 13 nel numero, perché il sito della Corte Costituzionale si aggiudica di gran lunga il titolo di meno internet friendly di tutta Italia: per dire, anche con la ricerca interna l’URL che ottengo è http://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do che ovviamente non dice molto. Vabbè: vediamo.
– La Suprema corte inizia a dire “noi in questa sede non possiamo decidere se la legge attuale è costituzionale o no”, e su questo siamo tutti d’accordo, almeno spero.
– Le due proposte, anche se non lo dicono esplicitamente, tendono entrambe ad abrogare del tutto la legge attuale, la prima direttamente la seconda togliendole il toglibile: e anche qua siamo d’accordo. D’altronde non si vede dove dovrebbe essere scritto esplicitamente, no?
– Occorre che «risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell’organo», e quello lo si spera bene (anche se paradossalmente vengono citate a supporto due sentenze di ammissibilità di referendum, quelli a cui poi non ha votato nessuno)
– Ora però iniziano i miei dubbi. Per il primo referendum, il punto 5.2 afferma che «La tesi della reviviscenza di disposizioni a séguito di abrogazione referendaria non può essere accolta, perché si fonda su una visione “stratificata” dell’ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti.». A me (e a molti costituzionalisti che sicuramente ne sanno più di me) la cosa continua a parere strana: sarebbe forse concepibile nel caso di referendum per abrogare una legge che affermi nel suo ultimo articolo “ogni disposizione di legge in contrasto con il testo di questa legge è implicitamente abrogata”, ma in questo caso il Porcellum modificava solo parti del Mattarellum. Insomma, io non vedo quali potrebbero essere le «conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto». Né il riferimento alla sentenza 28/2011 parrebbe lecito: lì infatti si scrive che il decreto legislativo oggetto della richiesta di referendum «ha espressamente abrogato alcune preesistenti norme concernenti la disciplina in esame» . Nella legge Calderoli c’è un unico comma abrogato, il sesto dell’articolo 58 del D.Pr. 361/1957, che però non c’era già….
– Diciamo insomma che il punto 5.4, «La volontà di far “rivivere” norme precedentemente abrogate, d’altra parte, non può essere attribuita, nemmeno in via presuntiva, al referendum, che ha carattere esclusivamente abrogativo, quale “atto libero e sovrano di legiferazione popolare negativa” (sentenza n. 29 del 1987), e non può “direttamente costruire” una (nuova o vecchia) normativa (sentenze nn. 34 e 33 del 2000)», mi sembra molto tirata per i capelli.
– Paradossalmente, rispetto almeno alla mia idea di due settimane fa, sono pienamente d’accordo con il motivo del rifiuto del secondo referendum. In pratica, cancellando solo i 71 « alinea– cioè le frasi iniziali di ognuno dei commi oggetto della richiesta, che dispongono l’abrogazione o la sostituzione delle norme elettorali prima in vigore», si rischiava di avere delle doppie norme soggette poi a interpretazione. Insomma, non era un triciclo con le ruote sghembe ma un triciclo con due insiemi di ruote che si muovevano in direzioni diverse.
Commento finale? Continuo a pensare che la decisione sia stata molto politica, ma tanto non ci si può fare nulla.

Ultimo aggiornamento: 2012-01-25 12:56

don Verzé: sospeso a divinis oppure no?

Dopo la morte di don Luigi Verzé sono ritornate prepotenti le voci sulla passata sospensione a divinis del fondatore del San Raffaele (che comunque aveva nemici anche tra i cattolici intransigenti, si legga ad esempio qui). C’è stata? non c’è stata? c’è stata ma poi è stata tolta? Essendo io bloccato a casa in quanto malato e spinto da questo thread su FriendFeed, ho pensato di vedere cosa potevo fare come .mau.croft cercando accuratamente in rete e valutando quanto trovato. Ecco qua i miei risultati.
Innanzitutto sono partito da Wikipedia. Non che io creda che dica la verità, ma spero sempre che siano state citate le fonti (uno dei punti fondamentali dell’enciclopedia libera) per valutarle. Attenzione: metto i link alla versione delle voci che ho consultato, in futuro le cose potrebbero cambiare. La voce su Verzé afferma che Verzé fu «”interdetto” dalla Curia milanese il 26 agosto 1964 con “la proibizione di esercitare il Sacro ministero”» (da un libro del 1994 della Kaos edizioni) ed è stato «sospeso a divinis dalla Curia milanese nel 1973» (da un’interrogazione parlamentare di Pannella e altri tre deputati radicali del 1978). Cominciamo dal secondo punto. Nonostante quello che credevo, la sospensione a divinis (cioè il divieto di officiare i sacramenti) può anche essere comminata dal vescovo e non solo dal papa, almeno leggendo il codice di diritto canonico (ho anche chiesto per sicurezza a un monsignore mio amico), anche se la cosa non è usuale. Però, anche se Pannella è pronipote di un omonimo importante prete cattolico dell’Ottocento – vi siete mai chiesti perché non vuole essere chiamato Giacinto? – non credo sia una fonte così valida per accertarsi della sospensione. La voce Sospensione a divinis parla di don Verzé citando nuovamente il succitato libro e ponendo la presunta sospensione nel 1974 (non fate caso alla didascalia “senza fonte”: ce l’ho aggiunta io :-) ). Già un anno di differenza non è malaccio su queste fonti, vero?
Sono poi passato all’Archivio Storico della Stampa, per cercare “vecchie” notizie su don Verzé. Nell’edizione del 15 dicembre 1973 a pagina 11 c’è un articoletto che parla di uno scandalo sulla costruzione del San Raffaele (toh…), e si legge «don Luigi Maria Verzé, 53 anni, d’origine veronese, che nella diocesi di Milano non può, per superiore decisione ecclesiastica, esercitare il suo ministero.» Questo ricorda abbastanza il primo punto di cui sopra, vero? Il mistero inizia forse a chiarirsi. Un prete opera (tecnicamente si dice “è incardinato”) in una diocesi. Se cambia diocesi deve chiedere il permesso al vescovo locale, e a quanto pare questo permesso non gli è stato dato oppure gli è stato poi tolto: cosa ben diversa dalla sospensione a divinis, che vale su tutto l’orbe terracqueo. Per curiosità, nella cache di Google del sito della diocesi di Verona (vedi immagine qua) c’era effettivamente una pagina dedicata a don Verzé, il che fa immaginare che continuava a essere incardinato nella sua diocesi originaria.
Nonostante Google dal mio PC sia insolitamente tarpato, tanto che ho dovuto usare il telefonino per scoprirlo, sono poi riuscito a trovare gli Acta Apostolicae Sedis di gennaio 2006, nelle quali a pagina 78 si annuncia che il sac. Luigi Verzé (Verona) è stato nominato “Cappellano di Sua Santita”. Non essendoci altri Verzé nella diocesi veronese, direi che è proprio il nostro Luigi Maria: quindi nel 2006 la sospensione sicuramente non c’era. Possiamo discutere se c’era stata in passato: ma allora probabilmente si sarebbe trovato un qualche sito che commentava la notizia al tempo, no? Non che tutto questo cambi una virgola sul giudizio da dare all’imprenditore-prete, però potrebbe cambiarlo sul giudizio da dare a tutti questi copioni in rete che prendono una non-notizia e la diffondono così tanto da farla diventare vera…

Ultimo aggiornamento: 2012-01-03 10:06