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il bollino sui condizionatori

Stamattina su Facebook trovo un post che linka questo articolo di Libero: “Renzi approva la tassa sul condizionatore: batosta da almeno 200 euro”. Incuriosito, ho fatto qualche ricerca per capire cosa è successo, e ho scoperto…

Ok, così fa molto da clickbait, ma volevo seguire lo stile di Libero, e soprattutto non c’è da cliccare nulla, a meno che uno non voglia leggere i link da soli. Una ricerca su Google “condizionatori renzi” dà qualche decina di risultati che però a quanto pare riprendono tutti quell’articolo, quindi non danno molte altre informazioni. Leggendo l’articolo in questione, veniamo a sapere che «Il provvedimento è stato emanato dal governo Renzi alla fine di giugno di quest’anno» (2015: l’articolo è datato 22 luglio 2015). Non c’è non dico un link ma almeno un numero della legge per cui recuperare altrimenti il testo del provvedimento. L’articolo continua poi « Il comune di Roma è il primo a prendere la palla al balzo e a trasformare la tassa (potenzialmente corretta per il rispetto ambientale) in una mannaia sulle tasche dei contribuenti: la situazione nella capitale è descritta minuziosamente da Davide Giacalone su Libero in un articolo pubblicato a inizio giugno.» (L’articolo è questo). Notate nulla di strano? Il provvedimento è di fine giugno, ma il comune di Roma già a inizio giugno sapeva tutto e così «l’ATI CON.TE, organismo tecnico, ha attivato il servizio di censimento e controllo degli impianti di climatizzazione estiva ed invernale previsto dal D.Lgs. 192/2005, così come modificato dal Decreto Legge n. 63 del 4 giugno 2013 n. 90 del 03/08/2013» (Oh, finalmente qualche fonte esplicita).

Il testo del decreto e della sua conversione in legge lo potete trovare per esempio qua. A parte notare che a giugno e agosto 2013 il PresConsMin era Enrico Letta e non Matteo Renzi, e scoprire che nel 2013 è stato fatto un decreto legge «recante disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010» (per onestà intellettuale, l’inizio dell’articolo di Libero questa cosa la diceva), e cercando più attentamente si può trovare questo articolo del Giornale dell’ottobre scorso che avvisa che dopo una proroga di quattro mesi è entrato in vigore il decreto del 10 febbraio 2014 del Ministero dello sviluppo economico che istituisce il libretto di impianto per la climatizzazione.

Insomma, se non ho capito male la storia, il governo Letta due anni fa aveva emanato una legge e l’anno scorso (mentre #stavasereno) l’ha completata con il libretto per il climatizzatore: il comune di Roma ha (forse, non ho trovato la delibera) detto a CON.TE di provvedere anche alla verifica dei condizionatori e non solo delle caldaie; Libero ha shakerato il tutto senza accorgersi delle date e infilandoci dentro Renzi quando avrebbe potuto tranquillamente prendersela con Marino… Forse c’è chissà quale ragione dietro.

Aggiornamento: Agostino De Matteis ha trovato questo link, che afferma che l’obbligo è per gli impianti che hanno «una potenza superiore a 10 kw per quelli invernali e 12 kw per quelli estivi.» Direi che a casa stiamo tutti tranquilli.

Aggiornamento 2:Leggete anche Nextquotidiano. Per la cronaca, 12 kW equivalgono a qualcosa come 40.000 BTU.

Ultimo aggiornamento: 2015-07-23 14:02

Emanuele Mastrangelo e Wikipedia

Per un progetto che non so se riuscirò mai a condurre in porto mi sono finalmente deciso a procurarmi il libro Wikipedia: L’enciclopedia libera e l’egemonia dell’informazione di Emanuele Mastrangelo ed Enrico Petrucci, uscito per i tipi di Bietti a fine 2013. Dopo che l’avrò finito farò come al solito la mia recensione, ma visto che buona parte dei commenti che dovrei fare non sono certo asettici, ho deciso di fare anche questo post più puntuale a proposito soprattutto delle prime due parti del libro; nel seguito gli autori entrano negli attacchi ad hominem e non vale molto la pena discutere.

Prima di entrare nel merito, però, ecco una lunga serie di disclaimer. Per prima cosa: quel libro è scritto da due persone, ma parlerò solo di Mastrangelo perché è lui che si è sempre esposto in pubblico. È possibile che certe affermazioni che metterò in bocca a Mastrangelo siano di Petrucci, insomma. In secondo luogo, io sono il portavoce di Wikimedia Italia, un admin di Wikipedia in lingua italiana, e quindi è possibile che per quanto io mi sforzi di essere oggettivo possa inserire affermazioni che non lo siano: non fidatevi ciecamente di quanto io scriva, ma guardate anche i link. Ho avuto a che fare con Mastrangelo all’interno di Wikipedia (qui), ma non ho partecipato alle discussioni che hanno portato al suo ban (qui e qui). Infine, Mastrangelo è politicamente schierato a destra, e i suoi interessi su Wikipedia sono stati prettamente storici, con particolare enfasi sulle popolazioni dell’ex Repubblica Veneta, sul Ventennio e sulla seconda guerra mondiale in Italia. E ora, via con il libro, non senza ricordare che un’analisi meno legata a Wikipedia è stata scritta da Salvatore Talia sul sito dei Wu Ming.

Partiamo con una nota positiva: la descrizione tecnica di come funziona Wikipedia, nel bene e nel male (nel senso di Wikipedia, non della descrizione!) è ben fatta. Da questo punto di vista il libro ha indubbiamente un suo valore. Peccato che la veste grafica piacevole sia rovinata da alcuni banali refusi, che mostrano poca attenzione nella rilettura delle bozze. Finché sbagliano a scrivere il mio cognome possono sempre dare la colpa a quel cattivo correttore ortografico, ma il “Larry Sgeanr” di pagina 150 magari poteva venire notato :-) Ma è un peccato ancora maggiore che nell’affannarsi a esprimere il suo punto di vista personale, con effetti a volte curiosi come vedremo in seguito, Mastrangelo si dimentichi spesso dei suoi utili consigli e di quale sarebbe il lavoro dello storico. Questo lo vediamo già nella quarta di copertina, dove Mastrangelo afferma di sé in terza persona «Nel 2011 fu espulso da Wikipedia per aver sostenuto che la storiografia italiana non è rimasta ferma agli anni Ottanta». Già non avere verificato che si era nel novembre 2010 non depone molto a suo favore, ma la discussione mostra che anche se “forzatura di fonti” (cioè far dire alle fonti quello che uno vuole) equivalesse a “sostenere che la storiografia italiana non è rimasta ferma agli anni Ottanta” l’espulsione non fu per questo ma per violazione del primo, secondo e quarto pilastro: un po’ diverso da quanto da lui affermato a pagina 228, che cioè «Sebbene bandito per “falsificazione di fonti”, l’accusa non è mai stata provata e, anzi, risultano falsificate le prove condotte contro di esso.». Un esempio minimale di fonti usate un po’ allegramente lo troviamo nell’esergo del primo capitolo, con la citazione «L’informazione è la moneta corrente della democrazia – Thomas Jefferson (attribuita)» e una pagina dedicata a raccontare di cosa Jefferson direbbe oggi, con la foglia di fico di quell'”attribuita”. Peccato che il secondo presidente degli Stati Uniti non abbia mai affermato nulla di simile: non lo dico io né Wikipedia – che in effetti non ne ha traccia – ma il sito monticello.org, il sito della The Thomas Jefferson Foundation. Tra l’altro pare che a coniare la frase sia stato il politico di sinistra radicale americano Ralph Nader… Ma anche la “citazione gramsciana” a pagina 369 del libro, a detta di Talia, non è stata pronunciata dal pensatore comunista… anche se era scritta su Wikipedia. Colpa di qualche sinistro sinistorso, indubbio.

Un leit motiv del libro è l’allarme contro «la deriva autoritaria che minaccia Wikipedia in italiano, portata da gruppi più o meno organizzati di wikipediani.» (pagina 7) e l’«ombra […] delle derive autoritarie che si insinuano tra i liberi e volenterosi contributori dell’enciclopedia» (pagina 8: già qui si vede come un’asciugatura del testo che togliesse le mille ripetizioni sarebbe stata opportuna). Non mi è ben chiaro quali siano i “gruppi più o meno organizzati” che portano alla deriva autoritaria e quale sia la differenza con gli altri utenti portati come esempio positivo e che nelle discussioni si trovano sempre dallo stesso punto di vista: magari è solo un problema di prospettiva. Prospettiva un po’ strana, in effetti. Gli autori affermano «Ma anche le potenziali necessità dei lettori passano in secondo piano di fronte alla natura libertaria e anarchica del progetto ; […] un Pokémon su Wikipedia potrà avere la stessa dignità e lo stesso spazio dedicato a un Nobel per la pace come Albert Schweitzer.» (pagina 19: corretto, e visto anche da loro positivamente). Ma continuano poi con «Wikipedia funziona anche da amplificatore: tesi minoritarie trattate sull’enciclopedia riprese dai media mainstream diventano esse stesse fonti per l’enciclopedia. Si crea quindi un meccanismo di retro-azione in cui più Wikipedia parla di un argomento “minoritario”, più questo ha possibilità di essere ripreso dai media, amplificato e per questo reso sempre meno di nicchia» (pagina 35). La prima parte è corretta, sulla seconda non ci giurerei troppo all’atto pratico ma soprattutto non ha un grande senso nel campo storico e storiografico, dove le fonti non dovrebbero essere tanto i media quanto gli storici; ma sicuramente utenti come Barbicone, Jose Antonio, Presbite e Theirrules, tutti citati assai positivamente nel libro – Presbite è citato a pagina 300 come «uno dei migliori contributori di Wikipedia in italiano, perseguitato su quella in inglese dalla cricca croata» – cercano di far parlare degli argomenti “minoritari”, o per meglio dire delle teorie minoritarie su argomenti che minoritari non sono, con frasi tipo “ho contattato un mio conoscente sloveno insegnante di scuola” (Presbite, pagina 167). Insomma dagli esempi “positivi” portati da Mastrangelo e Petrucci possiamo notare le «meccaniche di deduzione ed estrapolazione [che] sono il sale della ricerca accademica in ogni campo e in ogni livello, ma in una enciclopedia finiscono per inserire un’inevitabile distorsione a favore dell’opinione del compilatore.» (pagina 82). Oops, forse non erano riferite a loro. Ah, la frase che ho estrapolato è all’interno delle quattro pagine di discussione sulla famosissima battaglia di Tarnova.

[Intermezzo con due note molto pedanti da matematico: la frase «È davvero arduo fare un’analisi sociologica di una comunità dove solo lo 0,8% degli iscritti ha una qualche attività effettiva di contributo e sviluppo di Wikipedia.» di pagina 165 è assolutamente incomprensibile. Se il 99,2% degli iscritti non contribuisce né sviluppa Wikipedia, non fa parte della comunità: non vedo il problema se non il tentativo di dare una legittimazione “oggettiva” a quella che è una scelta soggettiva e cioè di non tentare un’analisi sociologica ma limitarsi a esempi tutti presi da una parte. D’altra parte, come detto a pagina 171, «Il media Wikipedia evidentemente risulta particolarmente attraente per individui caratterizzati da certi interessi, e non da altri.».
La seconda nota è sul grafico a pagina 235 dove si vede schizzare in alto la percentuale di segnalazioni chiuse contro il segnalatore stesso. Quando c’è 1 (una) segnalazione, o si ha 0% oppure 100%: ma in entrambi i casi il significato statistico è virtualmente nullo per mancanza di dati. Pensate a un sondaggio fatto su un campione di una sola persona]

Sicuramente però Mastrangelo ce l’ha molto con gli admin, segnalando a pagina 234 che la pagina per segnalare gli admin problematici non c’è più ma dimenticandosi di aggiungere che è stata unita a quella degli utenti problematici, e lamentandosi che nessun admin è mai stato deflaggato d’ufficio sempre dimenticandosi che per questo ci sono le votazioni e che un admin bloccato è automaticamente deflaggato. A pagina 268 afferma poi che in pratica gli admin si cooptano da soli, il che – visto il numero di partecipanti tipici a una votazione per un admin – implicherebbe che chi admin non è non va mai a votare; salvo poi affermare a pagina 287 che l’aumento della partecipazione (che pure aveva detto essere in calo…) ha rovinato la cricca degli admin. La sua soluzione sarebbe come minimo obbligare ogni admin a saltare un anno dopo due anni di servizio, e continuare a lavorare come semplice utente: confesso di non aver capito la ratio di una simile ipotesi, a parte ridurre di un terzo il numero degli amministratori e presumibilmente (se le ipotesi di Mastrangelo fossero vere) istituire un sistema di segnalazioni online oppure offline per avvisare chi non è al momento stato decimato su cosa “devono provvedere” a fare: un po’ come scrive a pagina 221 «un altro admin, Dry Martini, dovette provvedere a revocare l’azione di Domenico circa un’ora dopo.» (perché dovette provvedere non è dato sapere: ma forse un semplice “annullò” non sarebbe stato troppo gradnguignolesco).

Tralascio il capitolo 3.6 che spiega con dovizia di particolari le tecniche di guerra e guerriglia «non certo per spingere i contributori onesti a farne uso» (pagina 334): in fin dei conti anche Gesù nei vangeli esorta i discepoli dicendo loro “siate avveduti come i serpenti” e in effetti «alla fine della fiera, l’unico gruppo che in Wikipedia sia riuscito a sfidare in qualche misura l’egemonia culturale è quello cattolico, con risultati alterni e non del tutto soddisfacenti.» (pagina 379). Tralascio anche il Manifesto dove l’invito a togliere la burocrazia è associato a un nuovo insieme di regole e regolette. Mi preme invece segnalare che è vero che «Oggi, invece, i territori vergini da colonizzare sono sempre più ristretti, sia per quanto riguarda le voci da scrivere ex novo, sia per quelle da approfondire.» (pagina 347), ma è anche vero che dopo la prima colonizzazione esiste la sistematizzazione, e sicuramente di lavoro da fare ce n’è molto, anche se spesso umile. Termino invece con due citazioni che in un certo senso riprendono quanto scrissi all’inizio, e che fanno parte di una divagazione nel capitolo 4.3, “L’ennesimo esempio di partita persa (a tavolino) per le culture non post-marxiste in Italia”: quello insomma con la citazione gramsciana farlocca. A pagina 373: «Il politicamente corretto, insomma, sta lentamente succhiando via il midollo a quei caratteri nazionali così antichi che si erano mantenuti come un filo rosso dai fescennini ancestrali.» che termina un paragrafo iniziato con «Per un dirigente della Sinistra contemporanea sarebbe impensabile spendere parole di apprezzamento in una recensione di un film come Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda, in cui Veltroni, per la Fenech, arrivò a scomodare persino Truffaut.»

Ma forse è meglio la citazione di pagina 377, che parte dalla nascita del termine “veline” ai tempi del MinCulPop e prosegue così: «Nel 1988 la trasmissione di Canale5 Striscia la notizia affibbiò alle soubrette che entravano in scena con abiti sexy-littori e canzoncina simil-fascista il nome di “veline”, perché inizialmente portavano ai conduttori delle finte notizie che dovevano rappresentare la “voce del padrone”. […] Se il regista Antonio Ricci nel 1989 poteva fare uno stacchetto comico in TV prendendo in giro il Fascismo, oggi un’iniziativa simile, in un’egemonia del politically correct, verrebbe accolta da cori di indignati che griderebbero allo scandalo e alla mancanza di rispetto per le “vittime del deprecato regime”.» È stato davvero così? Mah. La notizia dell’origine del termine è presente in Wikipedia, è stata aggiunta nel marzo 2006 e non riporta alcuna fonte a suo sostegno. Quanto agli abiti sexy-littori, qui c’è una foto delle prime veline: decidete pure voi.

In definitiva, leggete pure il libro di Mastrangelo e Petrucci, sfruttate gli utili spunti presenti, ma non prendete come oro colato gli esempi “in positivo” che porta, se non come corroborazioni dei guai di chi scrive pensando alle sue idee e non al progetto.

Post Scriptum: Per il caldo mi sono dimenticato di aggiungere un altro esempio pratico di bispensiero che potete leggere nel libro. Pagine e pagine sono dedicate alla voce di Wikipedia sull’attentato di via Rasella, con i cattivi sinistri che non volevano assolutamente usare quel termine e preferendo un asettico “Fatti di via Rasella”. Dopo un duecentocinquanta pagine di lettura (o semplicemente andando a consultare Wikipedia) si scopre che… toh, la voce si chiama Attentato e non Fatti: modifica effettuata nel 2012, “come da consenso emerso in discussione”. Ma come? Non c’era la cricca degli admin di sinistra che bloccava tutto? C’è stata una grande vittoria di Mastrangelo e dei suoi amici che circondati da preponderanti forze nemiche hanno tenuto alta la bandiera della verità? O forse – molto più banalmente – la cosiddetta cricca prima di criccheggiare si attiene ai fatti e al consenso?

Ultimo aggiornamento: 2015-07-13 09:28

Jean-Marie Cavada e il non-diritto di panorama

Jean-Marie Cavada è un politico settantacinquenne francese, presidente del movimento politico francese Nous Citoyens, ed europarlamentare nel gruppo ALDE (i liberali, semplificando). In questi ultimi giorni Cavada è assurto agli onori della cronaca per un emendamento all’eurodirettiva sul diritto d’autore che ha proposto, e che impedirebbe di pubblicare foto utilizzabili commercialmente di monumenti pubblicamente visibili: ne ho accennato su Voices. Per la cronaca, in Italia – e in Francia, il che non è poi così strano visto lo statalismo e il centralismo dei transalpini – questo non è già possibile, ma ci sono dei paesi cattivissimi dove invece è permesso.

Cavada è stato forse frainteso? Per nulla. Se andate a vedere sul suo sito, lo fa capire chiaramente: per lui la redattrice della proposta Julia Reda, lungi dal voler difendere il libero accesso alle opere, vuole permettere ai monopolisti americani come Facebook e Wikipedia di sfuggire al pagamento dei diritti d’autore ai creatori. (Nota: tutte le traduzioni sono mie, non è stato usato Google Translate. Avete comunque il link al testo originale, se non vi fidate). Questo non è poi così strano, se pensiamo che Nous Citoyens è stato fondato dall’imprenditore Denis Payre; è abbastanza facile intuire che il suo emendamento non è nato per caso, insomma. Ma andiamo più nel dettaglio, almeno per quanto riguarda Wikipedia.

Il guaio di Wikipedia, secondo Cavada, è semplice. Nel quadro delle negoziazioni con i creatori e i loro rappresentanti essa richiede sistematicamente tre condizioni contrattuali inaccettabili: che le immagini siano ad “alta definizione”, siano modificabili e possano essere utilizzate a fini commerciali. Tecnicamente la prima di queste condizioni non è vera, nel senso che si chiede la più alta definizione possibile ma alla fine ci si può accontentare anche di meno, mentre le altre due sono in effetti la trasposizione della mancanza delle clausole -ND- e -NC- nella licenza d’uso di Wikipedia. Ma mettersi a parlare di questo, e rimarcare che la Wikimedia Foundation non fa nessun uso commerciale delle immagini, significa cadere nella trappola di Cavada, che ha scientemente spostato la questione per nascondere il vero punto del suo intervento. Non ci credete? Rileggete l’inizio di questo capoverso: si parla di negoziazioni con i creatori e i loro rappresentanti. Tu sei un fotografo e non vuoi pubblicare la foto su Wikipedia, perché pensi di poterci fare dei soldi per conto tuo? Sei liberissimo di farlo, e se qualcuno prova a mettere illegalmente una copia di una tua foto su Wikipedia noi la cancelliamo non appena ce ne accorgiamo. Il diritto d’autore è sacro. Peccato non si parli davvero di questo.

Quello che l’europarlamentare francese – e non si sa quanti altri – vuole fare è scardinare la libertà di panorama estendendo ben oltre il suo significato originale il diritto di riproduzione. Questo è una parte del diritto d’autore, e nasce perché certe opere sono intrinsecamente copiabili. Se io scrivo un libro o eseguo un brano musicale, non è che rimanga una sola copia della mia opera: il libro viene stampato, e la mia esecuzione può finire in un disco. Se qualcuno fotocopia il mio libro o registra la mia esecuzione e poi la rivende, sta violando i miei diritti di riproduzione e quindi è sanzionabile per legge. Inutile dire che oggi la copia è per lo più digitale: siamo però tutti d’accordo che il libro cartaceo e il pdf oppure l’epub con il testo del libro sono la stessa cosa dal punto di vista del diritto d’autore. Ma un monumento e la foto di quel monumento non sono affatto la stessa cosa, come avrebbe del resto detto Magritte! Che cosa c’entra la ri-produzione – produrre una copia conforme dell’originale – con una raffigurazione? Se è vietato commercializzare l’immagine di un monumento sulla pubblica via, allora deve anche essere vietato commercializzare un quadro che raffigura quel monumento, e finanche commercializzare una descrizione a parole di quel monumento: non vedo nessuna differenza logica. Tutto questo indipendentemente dal fatto che l’immagine sia caricata su Wikipedia o su Facebook.

Dovrebbe essere insomma chiaro chi sono per Cavada i veri creatori e i loro rappresentanti: le archistar che vogliono guadagnarci non solo dalla progettazione e costruzione di edifici e monumenti – cosa di cui hanno pieno diritto – ma anche su tutto il possibile indotto. Aggiungiamo che Facebook e affini non si preoccuperanno più di tanto anche se passassero quell’emendamento: al limite faranno qualche accordo con i suddetti rappresentanti, così i soldi girano come dai dettami del libero mercato, che è libero solo per i soliti noti. Purtroppo mi pare che almeno in Italia di queste cose non ne parli nessuno: le scie chimiche sono indubbiamente più interessanti e cromaticamente visibili…

P.S.: Come faccio di solito in questi casi, ero andato su archive.org per salvare il testo attuale della pagina, perché editare un testo è molto facile. Ho scoperto che qualcuno ci aveva già pensato. Siamo in tanti a essere delle brutte perZone.

Ultimo aggiornamento: 2015-06-27 22:44

Amazon vende libri senza averne il diritto

mateliof-amazonIo ho pubblicato qualche libro. So perfettamente che esistono in giro copie pirata dei miei libri, e non me ne sono mai preoccupato più di tanto: parto dal principio che chi scarica quella copia non si sarebbe mai comprato il libro, e quindi lascio correre. Però ci sono dei limiti.

Quella che vedete qui a fianco è questa pagina di Amazon (qui la copia salvata su Web Archive). Quello è un mio libro, Matematica liofilizzata, che avevo scritto alla fine del 2010 raccogliendo i primi post che avevo scritto sul Post. Qualcuno ha preso il pdf, ci ha lanciato un OCR senza nemmeno controllarlo – guardate l’anteprima… – e sta cercando di venderlo su Amazon col mio nome. Peccato che il libro, come potete controllare scaricandolo, ha una licenza CC-BY-NC, quindi può essere copiato a piacere ma non venduto. Amazon quindi ha fatto un contratto con una persona che sta vendendo qualcosa che non è suo, per guadagnarci anch’essa in caso di vendite del libro: il tutto si avvicina molto al reato di ricettazione. (E lasciamo perdere il caso in cui il qualcuno di cui sopra fosse direttamente Amazon) Ovviamente non mi sarei accorto di nulla se il testo di quel libro fosse stato attribuito a un altro autore, magari anche con un altro titolo: ma chiunque sia stato a inserire quel libro nei cataloghi di Amazon ha messo apposta il mio nome sperando che qualcuno che aveva acquistato gli altri miei libri prendesse anche quello “che tanto costava poco”, danneggiando così la mia immagine.

Sto per scrivere ad Amazon (se trovo l’indirizzo giusto…). Come dice il buon senape, stay tuna!

Aggiornamento (h 14.45) Ho appena risposto a una mail semiautomatica di Amazon che diceva tra l’altro
«Prima di poter intervenire sulla Sua segnalazione, La invitiamo a chiarire in che modo questi articoli violino i Suoi diritti e di dimostrare la titolarità di tali diritti.» Il vantaggio di avere regalato una copia cartacea alla biblioteca di Crescenzago :-) Vista la copertina, direi che chi ha mandato il libro su Amazon sono questi; e infatti il libro lo trovi su Amazon.com.

(segue qui)

Ultimo aggiornamento: 2015-06-15 12:44

La Treccani ai tempi del web

Ieri su Repubblica è apparso un articolo, «La Treccani ai tempi di Wikipedia conquista il web», dove Riccardo Luna racconta come il portale Treccani sta per raggiungere il milione di voci disponibili gratuitamente per tutti. «E soprattutto, certificati. Autorevoli. Niente bufale.», continua Luna che per l’occasione ha intervistato il direttore generale della Treccani, Massimo Bray. Bisogna dire che i tempi sono proprio mutati: ancora qualche anno fa Wikipedia anelava a confrontarsi con la Treccani, mentre ora le parti si sono invertite ed è la nonagenaria enciclopedia che spiega come essa sia molto meglio della giovane concorrente, mettendosi persino a competere sulla quantità. Detto tra noi, le gare a chi ce l’ha più lungo (l’elenco di voci) mi sembrano stupide: sarei molto più felice se l’impegno nel creare nuove voci di Wikipedia fosse invece usato per migliorare quelle esistenti, ma un limite dell’enciclopedia libera è che nessuno può essere costretto a fare qualcosa che non gli interessi. E per il resto?

Come espresso molto bene dal presidente di Wikimedia Italia Andrea Zanni al termine di quell’articolo, «Se Treccani davvero mette contenuti autorevoli in rete, rende più facile il nostro lavoro, per noi sono una fonte». (Io avrei cambiato l’interpunzione, ma il concetto resta quello). Luna e Bray hanno ragione quando affermano che consultando la Treccani – la veneranda enciclopedia cartacea di cui è appena uscito l’ultimo aggiornamento, oppure i nuovi prodotti editoriali – si trovano risultati senza bufale, nel senso di informazioni false inserite appositamente da qualcuno; risultati certificati, data la redazione pagata e che ci mette il nome. Sulla sua autorevolezza poi non credo che ci siano dubbi. Qualcosa però non mi torna.

Ieri sera, mentre scrivevo questo articolo, il portale permetteva una “Ricerca tra 997.531 lemmi e vocaboli”. Lemmi e vocaboli non sono la stessa cosa: questi ultimi sono infatti molto più semplici da certificare, come si può immaginare facilmente prendendo un dizionario. È un lavoro fatto più o meno una volta per tutte: certo, un vocabolo può assumere un nuovo significato oppure può nascere un neologismo, ma sono casi percentualmente molto ridotti. Lasciamo fuori dal conto un 200.000 vocaboli e concentriamoci sugli 800.000 lemmi. Un vecchio articolo di quattro anni fa indicava in 300.000 il numero di lemmi a disposizione, esclusi vocabolario e dizionario biografico (che a detta della Treccani ha 30.000 voci: nei nostri conti spannometrici possiamo tralasciarle).

Vediamo insomma che in quattro anni è stato certificato mezzo milione di voci. Notate che non ho scritto “creato”: il punto di forza della Treccani, come detto sopra, è la sua certificazione e il controllo dei testi. Quanto tempo ci vuole a certificare e controllare una voce? Un’ora mi pare una buona stima: scendere troppo nel tempo significa limitarsi a copiare senza andare a verificare. Mezzo milione di ore in quattro anni significa 125.000 ore l’anno, il che a sua volta significa 60 persone che a tempo pieno hanno condotto quest’opera indubbiamente meritoria. Beh, forse non è proprio così, se sono vere le notizie di appalti esterni che effettivamente permetterebbero di arrivare a questi numeri. Non so. Come italiofono preferirei di gran lunga avere meno voci nella Treccani ma essere certo che esse siano ben curate: a questo punto le preferirei a quelle di Wikipedia pur sapendo che saranno inevitabilmente meno aggiornate.

Post scriptum: non ho scritto a caso quella definizione di bufala. Ci possono essere errori in buona fede in qualunque enciclopedia, per quanto essa sia curata. Prendiamo per esempio il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Secondo la Treccani, Mattarella «[h]a militato nell’Azione cattolica e nella Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).». Persino secondo la FUCI stessa, la sua formazione è stata «all’interno dell’associazionismo cattolico, della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e della FUCI». La voce di Wikipedia però non reca traccia di tale militanza. Come mai? Semplice. Come alcuni wikipediani mi hanno fatto notare, c’è tutta una discussione in proposito nella quale si fa notare come non ci siano fonti ufficiali al riguardo, e che anzi Mattarella a quei tempi era dirigente GIAC e appare dunque improbabile che fosse anche membro di un’associazione concorrente seppur nella tradizione cattolica. Pare inoltre che la prima attestazione di una sua appartenenza alla FUCI… sia stata una bufala su Wikipedia: un’aggiunta di un utente anonimo non supportata da fonti, e che presumibilmente è stata citata dai vari media prima di essere ripresa dalla Treccani, che ancora a ottobre 2014 non aveva molti dati. Mettiamola così: Wikipedia le bufale riesce spesso a eliminarle.

Aggiornamento: Consiglio anche la lettura di questo pezzo di Luca Corsato che tratta l’argomento da un punto di vista imprenditoriale.

Ultimo aggiornamento: 2015-05-07 16:18

siamo tutti Winston Smith

Brigitta Kocsis è una pornostar. Con la sentenza 633/09 nell’ambito del procedimento RG 85700/05 la signora Kocsis è stata dichiarata «responsabile di contraffazione dei marchi BULGARI / BVLGARI». Tra le pene accessorie, oltre quella di non poter usare più “Bulgari” come cognome d’arte, la sentenza afferma che «ogni richiesta di rimozione dello stesso [nome-e-cognome] andrà accolta ed eseguita, pena l’applicazione dell’art. 388 c.p. (“Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”) a carico di chiunque vi opponga ingiustificato rifiuto.» È questa la ragione per cui io non metto nel testo nome-e-cognome d’arte, per la cronaca; se ho fatto le cose per bene, non dovrebbe nemmeno essere ricercabile con quella stringa.

Fin qua nulla di strano. Ma se andate a vedere questa pagina del Corriere del Veneto troverete una strana frase iniziale: «La pornostar Brigitta Kocsis, nota con il nome d’arte di Brigitta Kocsis ,». Andando in fondo all’articolo, prima del solito «© RIPRODUZIONE RISERVATA», troverete il testo «24 maggio 2010 (modifica il 11 febbraio 2015)».

Avete intuito cosa possa essere successo? Se non ci siete arrivati, la Wayback Machine – finché non verrà assimilata anch’essa – può aiutarvi a scoprire l’arcano. In pratica, gli avvocati di Bulgari non si accontentano di avere impedito alla signora Kocsis di usare quel cognome d’arte, ma stanno attivamente cercando tutte le fonti in cui esso è presente, intimando ai sensi di legge di eliminarlo dalla fonte stessa. Detto in altri termini, tra poco nessuno riuscirà più a sapere che in passato una pornostar ha usato quel nome-e-cognome: e non servirà neppure un Ministero della Verità. Certo, probabilmente le emeroteche conterranno ancora i dati originali: ma chi andrà a vederli?

Ah: a proposito della vicenda del secondo paragrafo, non solo la signora Kocsis è stata assolta ma è stata risarcita per ingiusta detenzione. Ecco. Nel mondo che mi piacerebbe l’articolo sarebbe stato emendato aggiungendo quella notizia, non cambiando il cognome della protagonista.

Ultimo aggiornamento: 2015-02-18 11:14

Google News chiude in Spagna?

Oggi sui giornali, anche italici, si parla molto della decisione di Google di chiudere dal 16 dicembre prossimo il servizio di Google News in Spagna, a causa delle nuove modifiche introdotte dalla Ley 21/2014 che modifica la legge sulla proprietà intellettuale (ma fanno davvero così poche leggi in Spagna? O se preferite, facciamo davvero così tante leggi noi in Italia?) introducendo tra l’altro interessanti punti come il trattamento delle opere orfane

Nel comunicato ufficiale di Google Europe si legge “This new legislation requires every Spanish publication to charge services like Google News for showing even the smallest snippet from their publications, whether they want to or not.” L’articolo 32, comma 2, dice per la precisione

La puesta a disposición del público por parte de prestadores de servicios electrónicos de agregación de contenidos de fragmentos no significativos de contenidos, divulgados en publicaciones periódicas o en sitios Web de actualización periódica y que tengan una finalidad informativa, de creación de opinión pública o de entretenimiento, no requerirá autorización, sin perjuicio del derecho del editor o, en su caso, de otros titulares de derechos a percibir una compensación equitativa. Este derecho será irrenunciable y se hará efectivo a través de las entidades de gestión de los derechos de propiedad intelectual.

e quello che mi lascia perplesso è che – se capisco correttamente lo spagnolo – non sarebbero nemmeno i giornali a richiedere i soldi ma l’equivalente ispanico della SIAE. (Ma dire che il diritto è irrinunciabile è davvero la stessa cosa che dire che deve essere fatto valere? Io credevo che semplicemente non potessi cedere il diritto stesso). Ma lasciamo stare la situazione iberica e vediamo cosa succede a casa nostra.

C’è stata un’interessante discussione su Facebook (sì, si possono fare discussioni interessanti anche su FB, che credete?) con link ad analisi più globali (un articolo ancora di novembre di Bruno Saetta su Valigia Blu) e al nostro giardinetto (Pier Luca Santoro su DataMediaHub). Il mio punto di vista? Beh, quanto scritto da Saetta e Santoro è verissimo, e d’altro canto loro sono sicuramente più esperti di me. Google News serve a Google non per fare soldi – non c’è pubblicità – ma per bloccare i possibili competitor, e i ricavi pubblicitari dei media, come mi ha fatto notare Santoro, crollano per colpa del Programmatic Advertising che salta giornale e concessionaria di pubblicità per mandare direttamente annunci mirati. Saetta è forse perfido nello scrivere che visti i tagli dei fondi governativi per l’editoria la FIEG cerca un’altra mucca da mungere per un tempo indefinito. Ma quello che mi pare interessante è notare come il modello attuale di molti quotidiani è quello di costringerti a cliccare sull’articolo vero e proprio, usando un teaser nella home page che dovrebbe invogliare il lettore a cliccare: ne parlavo qualche mese fa. Ma se il lettore ha a disposizione due ritagli, il primo che non dice in realtà nulla e il secondo che invece dà già qualche informazione, cosa pensate che farà? Se è interessato, probabilmente cliccherà sul secondo; se non è interessato, lascerà perdere tutto. Gli aggregatori di news sono la rovina dei siti meno validi, perché permettono al lettore di accorgersi con uno sguardo che non vale la pena entrarci: volete mettere il bravo internauta che apre coscienziosamente la home page del loro sito e se ne sta lì buonino buonino?

Ultimo aggiornamento: 2014-12-11 15:45

Gli SCOOP di Libero!

Mi è stato segnalato su Friendfeed questo articolo di Libero, nel quale l’ignoto giornalista scrive che «Una giornalista di un canale televisivo ucraino è riuscita ad infiltrarsi nel movimento femminista Femen» e snocciola una serie di scoperte, «riportate dal sito La voce della Russia». L’articolo termina con queste frasi:

Chi è lo sponsor? – Chi finanzia questo movimento e quale sia lo sponsor che pubblicizzano le ragazze mostrando il loro seno, rimane avvolto nel mistero. Ma la giornalista ucraina suggerisce che alcune note persone si sono incontrate con le leader del movimento. Si tratta del miliardario tedesco Helmut Geier, l’imprenditrice tedesca Beate Schober e l’uomo d’affari americano Jed Sunden. L’ultimo sponsor delle Femen, ipotizza la giornalista, forse è Wikipedia.

Sgub!, avrebbe detto Aldo Biscardi. SCOOP!, scrive Libero. E in effetti sarebbe una notizia niente male. Però… Con un po’ di fatica e qualche falsa pista ho scovato questo articolo di “Radio La Voce della Russia”. Sì, è in italiano. Da quanto ho capito il sito traduce – non so con quanta cura: non credo moltissima, come spiego sotto – in svariate lingue. Bene: iniziamo a guardare la data. 22 settembre 2012, due anni fa. Uno scoop un po’ in ritardo, direi: ma la verità viene sempre a palla, come Pasquale Panella scrisse per Lucio Battisti. Leggiamo le ultime frasi di quell’articolo: troviamo scritto

Chi così generosamente finanzia questo movimento e quale sia lo sponsor che pubblicizzano le ragazze mostrando il loro seno, rimane avvolto nella nebbia, come si suol dire “mistero della fede”. Si possono solo fare delle ipotesi. La giornalista suggerisce che alcune note persone si sono incontrate con le leader del movimento. Si tratta del miliardario tedesco Helmut Geier, l’imprenditrice tedesca Beate Schober e l’uomo d’affari americano Jed Sunden. L’ultimo sponsor delle FEMEN forse è Wikipedia.

Toh. Se il testo di Libero fosse stato messo invece su Wikipedia, l’avrei cancellato per violazione di copyright, ma queste sono quisquilie. La cosa più interessante è notare come una ricerca in altre lingue mi ritorna per esempio in portoghese «o homem de negócios americano Jed Sanden. Também a Wikipedia considera que o último é patrocinador do Femen», la “>versione tedesca «und der amerikanische Geschäftsmann Jad Sanded. Der letzte gilt als Sponsor von FEMEN laut Wikipedia», una versione inglese di un paio di mesi prima «WikiPedia claims that they are receiving the financial support from the American businessmen Jed Sunden». Notare il cognome sempre diverso e il fatto che in tutte e tre le altre lingue si dice una cosa diversa: Wikipedia afferma che FEMEN è sponsorizzato da Jed Sunden. Leggermente diverso, vero? Per la cronaca, in effetti lo dice Wikipedia, sia l’edizione in italiano che quella in inglese, ma lo diceva Sunden stesso già nel 2010: kyivpost.com è stato appunto fondato da Sunden, e direi che il caso è chiuso.

Ma la cosa più divertente è un’altra. La notizia, pur senza il coinvolgimento di Wikipedia, era già apparsa più di un anno e mezzo, come potete vedere da questo articolo… di Libero. A questo punto mi sembra abbastanza ovvio che l’unico SCOOP possibile del quotidiano attualmente diretto da Belpietro è che FEMEN sarebbe a loro detta sponsorizzato da Wikipedia, e qui non ci sto. Proverò a mandare loro una richiesta di rettifica: ovviamente via fax, visto che parrebbe l’unico modo possibile. Nel caso ricevessi risposta, non mancherò di aggiornare questo post.

Ultimo aggiornamento: 2014-11-19 00:35