Non so se abbiate letto la lettera di Matteo Renzi sulla Stampa, nella quale ieri mattina – prima di chiedere la fiducia sulla nuova legge elettorale – il nostro premier spiegava le sue ragioni.
Io non ho pregiudiziali di partenza contro una o l’altra legge elettorale: personalmente posso accettare che ci sia un premio di maggioranza e che questo premio sia per il partito e non per la coalizione – anzi quest’ultima cosa mi pare anche più pulita. Il fare tanti collegi relativamente piccoli non è neppure quello un problema: è più o meno quello che si fa in Spagna, e anni fa si parlava della possibilità di seguire quella legge elettorale e non il doppio turno francese o il casino programmato tedesco. (Poi mi devono spiegare come si riesce con i resti a limitare al 3% la soglia di sbarramento, ma non avendo letto tutte le minuzie della legge non posso escluderlo in linea di principio). Non ho neppure problemi con il turno di ballottaggio che in teoria potrebbe far dare 340 seggi a una lista che ha ottenuto meno del 30% dei voti: l’impianto generale è evidentemente maggioritario, quindi questo caso sarà piuttosto improbabile persino in un sistema tripolare come quello uscito nel 2013.
Il diavolo però si nasconde nei particolari. Perché nel «rottamare il cosiddetto Porcellum» è rimasta la clausoletta «Contestualmente al deposito del contrassegno di cui all’articolo 14, i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica. Restano ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall’articolo 92, secondo comma, della Costituzione.»? Perché «sono proclamati eletti, fino a concorrenza dei seggi che spettano a ciascuna lista in ogni circoscrizione, dapprima, i capolista nei collegi, quindi i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di preferenze;» e soprattutto i capilista possono essere candidati in più collegi, fino a dieci? Questi punti non hanno nulla a che fare con il tipo di legge elettorale, ma servono solo a perpetuare il potere dei segretari di partito e del primo ministro (che ricordo non essere il primo ministro ma il Presidente del Consiglio dei Ministri). Renzi come fa sempre parla, parla, parla nascondendo abilmente questi punti; l’opposizione interna al PD parla, parla, parla e fa solo casino; il resto dell’opposizione parla, parla, parla senza sapere cosa dire.
In tutto questo il ricorso alla fiducia su una legge elettorale (a parte i ricordi della legge Acerbo e della legge Scelba detta anche legge truffa) diventa strumentale: proprio perché è un “o con me o contro di me” («Se non passa, il governo va a casa») Renzi dimostra che non è la legge elettorale quello che gli interessa davvero. Proprio perché vale per tutti i gruppi politici, la legge elettorale non dovrebbe essere associata alla fiducia: sarebbe stato molto più logico fare prima una legge di un solo articolo che affermasse che le votazioni legate a una legge elettorale devono essere palesi – sempre per le ragioni di cui sopra – e poi votare. In quel modo non si sarebbero mischiati gli ambiti… ma a me continua a sembrare che invece questo mischione sia fortemente voluto. E questo non è bello.
(p.s.: a proposito del mischiare gli ambiti, la legge in dibattimento è l’unione di una proposta di iniziativa popolare e di varie proposte di iniziativa parlamentare, non di una proposta di iniziativa governativa. Capite perché porre la fiducia è pretestuoso?)
Ultimo aggiornamento: 2015-04-30 18:19