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Perché Mentana ce l’ha con l’anonimato in rete?

Enrico Mentana è generalmente noto al mondo dell’internette per la sua capacità di fare dirette televisive chilometriche e per il “blastare” i commentatori utonti che commentano in maniera beota i post che lui scrive su Facebook. Ma uno dei pallini di Mentana è l’obbligare chiunque posti su Internet a farlo con nome e cognome, e ogni tanto riprende questa sua solitaria battaglia.

Sarebbe facile rispondere alla sua domanda retorica “Perché in un social network di un paese democratico dovrebbe essere garantito l’anonimato?” dicendo che se il paese diventa non democratico l’anonimato non verrebbe certo ripristinato, ma sarebbe barare. Per come la vedo io, il punto è sostanzialmente diverso. Innanzitutto, non è poi vero che ci sia tutto questo anonimato: nel caso ci siano minacce reali (mi piacerebbe scrivere “REATO PENALE!”, ma in pochi capirebbero la battuta) basta fare denuncia. A questo punto la polizia postale ha la possibilità di raccogliere tutti i dati e non ha grandi problemi a risalire a chi ha pubblicato queste minacce. Certo, uno davvero bravo riuscirebbe comunque ad anonimizzarsi, ma questo lo farebbe in ogni caso, anche se ci fosse l’obbligo di presentarsi con le proprie generalità. Certo, lo stato se volesse potrebbe anche costringere i provider a bloccare questo tipo di accessi: in Cina per esempio lo sanno fare molto bene, e credo che in Turchia stiano imparando. Né il problema può essere quello delle bufale in rete: molti bufalari scrivono con nome e cognome, e la gente va loro dietro senza problemi.

Resta tutta la parte dei beceri insulti, quella dei leoni da tastiera che accorrono a frotte non appena qualcuno che è appena un po’ famoso interagisce in rete. Ecco, la risposta a questa gente non dovrebbe essere lo spiattellamento delle proprie generalità – e poi che fai, mandi a casa loro una ronda per corcarli di botte? – ma l’ignorarli. Ignorarli nei commenti ai post, ignorarli negli articoli di giornale, evitare una volta per tutte di parlarne. Certo, occorre comunque un intervento legislatorio, altrimenti ci ritroviamo con sentenze come questa e caschiamo dalla padella alla brace. Ma molti insultatori seriali lo fanno per recuperare un po’ di notorietà riflessa, e il silenzio li seppellirebbe.

(Che io scriva sempre con nome e cognome è irrilevante, naturalmente. Questa è una mia scelta, non un’imposizione)

Ultimo aggiornamento: 2017-01-05 12:12

La scienza non è democratica. E la sua comunicazione?

In questi giorni forse avete sentito dell’ultimo sfogo di Roberto Burioni, medico immunologo che ha un certo qual seguito su Facebook. Dopo un suo post in cui – rispondendo indirettamente ai manifesti di Forza Nuova che accusavano i migranti di essere gli untori dei casi di meningite – mostrava come i ceppi europei e nordamericani sono di tipo diverso da quelli asiatici e africani, il che rendeva impossibile che fossero loro la casa del contagio – ci dev’essere stata la solita sfilza di commenti xenofobi, tutti cancellati da Burioni che ha poi commentato dicendo più o meno che non intende perdere ulteriore tempo con certa gente e terminando con le frasi “Spero di avere chiarito la questione: qui ha diritto di parola solo chi ha studiato, e non il cittadino comune. La scienza non è democratica.” Tutto questo è stato poi ripreso per esempio dalla Stampa e dal Fatto Quotidiano; ma poi è arrivato il controcanto, esemplificato da questo post di Valigia Blu ma che ha anche suscitato una vivace polemica tra chi fa comunicazione della scienza. Trovate qualcosa nei commenti a quest’altro post di Burioni, ma ci sono anche discussioni in gruppi chiusi Facebook. Il punto di vista dei comunicatori è che azioni come quelle del virologo in realtà sono controproducenti, perché allontanano proprio quelli che avrebbero più bisogno di capire.

Parlando di solito di matematica, io vivo in un’isola felice: mi è capitato solo una volta ai tempi di Usenet di discutere con uno che era convinto che 0×1 facesse 1. No, non sono riuscito a convincerlo. No, non mi sono stracciato le vesti. Ma come dicevo, il campo in cui sono esperto è completamente diverso, e non si possono fare generalizzazioni. Dal mio punto di vista di puro dilettante, però, direi che in questo caso entrambe le parti hanno ragione.

Se parlassimo in termini politici, è verissimo che i post di Burioni non spostano un voto. Sono fatti bene, spiegano con parole chiare concetti complessi, e hanno il giusto mix tra semplificazione e correttezza formale. Contengono anche le fonti, quindi chi vuole può verificare per conto suo se sta contando balle. Ma tutto questo può al più avvicinare qualche indeciso, oltre a dare certezze maggiori a chi è già convinto della validità della vaccinazione. Resta però il fatto che Burioni non sta facendo nulla di ufficiale (nota per i disattenti: non ho scritto che lo fa gratuitamente. Sono due cose diverse), e quindi può ben scegliere il suo modo di comunicare, facendo l’elitista ed evitando di impelagarsi in discussioni dove non potrebbe portare alcun contributo. Diciamo solo che io sono più elitista di lui e al suo posto avrei scritto che la scienza non è un’oclocrazia, ben sapendo che ben pochi avrebbero compreso.

Ma d’altra parte è anche vero che se vogliamo che la gente impari qualcosa non possiamo comportarci in questo modo; quello che è peggio è che così noi rischiamo che i media riprendano “il paladino dei vaccini”, perché prese di posizione di questo tipo portano lettori e quindi clic e quindi proventi pubblicitari, e quindi lo spazio per interagire con chi è contrario e insegnargli qualcosa si riduca ancora di più. Io sono notoriamente un pessimista e sono convinto che la battaglia per insegnare alla gente ad usare il senso critico – non solo in Italia, intendiamoci – sia persa, e che l’unica speranza di un rovesciamento delle sorti sia un lavoraccio all’interno delle scuole di cui non vedo però traccia… e dire che io al liceo ho avuto come istigatore un prete, il che prova che tutto è fattibile. Ma per l’appunto bisognerebbe ridurre al minimo le distrazioni, e capisco perfettamente chi fa fatica a comunicare la scienza e si trova in un certo senso a dovere anche combattere il fuoco amico.

In definitiva, allora? Non lo so. Come scrivevo, non ho abbastanza competenze per avere una risposta. Sarebbe bello se si riuscisse a trovare un modo per operare da alleati, ciascuno secondo il suo modo di fare; ma non saprei proprio da dove partire.

Ultimo aggiornamento: 2017-01-04 09:40

Le tre post-verità

A quanto pare, la parola di moda in questi ultimi scorci del 2016, anche se è nata più di vent’anni fa, è “post-verità”. Non so quanto la storia durerà: si sa che le mode passano molto in fretta. Questo è dunque il momento di fermarsi un attimo e cercare di capire cosa sia esattamente la post-verità; o meglio, cosa io ho capito essere. La cosa che non mi è saltata agli occhi – mi ci sono volute alcune settimane per metterla a fuoco – è che come capita spesso il termine viene usato per significare cose diverse. La cosa più peculiare è che in questo caso non sono due i concetti collassati nel parolone con cui riempirsi la bocca, ma tre, almeno in Italia. (Non ho verificato come post-truth venga trattata nel mondo anglofono).

Il primo concetto è quello che è probabilmente alla base del fenomeno, e nasce nel campo dei media. In pratica, mentre un tempo ci si poteva aspettare che giornali, periodici e televisioni – quelli seri, perlomeno – prima controllassero le notizie e poi le pubblicassero, ora le cose funzionano alla rovescia. La fretta di essere i primi, in un mercato nel quale i tempi sono sempre più frenetici, porta alla pubblicazione immediata di qualunque cosa arriva; se poi ci si accorge che la notizia era una bufala allora la si corregge, arrivando insomma alla verità a posteriori. Questo problema è diventato tanto più evidente quanto più i ricavi dei media, sia per il calo delle vendite che per quello parallelo della pubblicità, costringe i vari attori a una feroce lotta per accaparrarsi i pochi lettori rimasti e cercare di mantenersi a galla ancora per un po’. È praticamente impossibile per i lettori difendersi da questa deriva, che oramai è tracimata dai colonnini infami dei quotidiani online e ha inquinato anche la colonna di sinistra che una volta era quella delle notizie.

La seconda post-verità, che è quella assurta ultimamente agli onori delle cronache, è di tipo completamente diverso. Ora infatti non si scrive pensando eventualmente di correggere le cose a posteriori, nemmeno dopo che la falsità della notizia è stata dimostrata al di fuori di ogni dubbio: le notizie false sono invece un vero e proprio manifesto politico (non per nulla in inglese il termine è un aggettivo, e si parla per esempio di post-truth politics). L’idea orwelliana che sta sotto a tutto questo è che una bugia ripetuta a sufficienza diventa una verità, e quindi le bufale sono qualcosa che è successivo alla verità, che non è più importante. Da noi, a parte il click-baiting dei siti (pseudo)giornalistici ufficiali che in effetti a prima vista ha molti punti in comune ma spesso a una seconda occhiata rivela che gli scoop promessi sono poi notizie di scarso o punto interesse, questo tipo di post-verità si manifesta principalmente con una serie di siti (tipo il Fatto QuotidAIno e il GioMale, ma i primi esempi come il Corriere del Corsaro sono stati creati su Altavista) che scientemente pubblicano solamente notizie false. Sulle prime non avevo capito cosa stava succedendo. Ero convinto che questi siti cercassero di lucrare sul successo di Lercio – che scrive sì notizie false, ma con un chiaro intento umoristico e parodistico, riprendendo la definizione latina della satira “castigat ridendo mores” – per acchiapparsi un po’ di click e quindi di introiti pubbliicitari. Mi chiedevo insomma perché questi non fossero in grado di strapparmi neppure un mezzo sorriso. Dopo un po’ ho compreso che i proventi pubblicitari sono solo un sottoprodotto, utile per farsi un po’ di soldi e pagarsi le spese, ma secondario rispetto al loro vero scopo di propaganda destrorsa, quella che mira a fare INDIGNARE la gente (il maiuscolo è doveroso in questo caso, come chiunque può accorgersene vedendo quello che succede con i commenti aggiunti quando i post vengono condivisi). D’altra parte, quando l’altra settimana è stato dimostrato che in realtà tutti questi siti hanno un’origine comune non mi sono per nulla stupito, perché almeno quello mi risultava chiaro. Per questo tipo di post-verità noi utenti possiamo però fare qualcosa per limitare la diffusione. Anche senza vedere il nome del sito che le pubblica, le “notizie” riportate sono così malfatte che non ci vuole molto a capire che sono bufale. Ecco: cominciamo a non condividerle nemmeno per burlarci di chi ci casca o annunciare che sono false, e commentiamo brevemente nelle bacheche di chi le posta spiegando il motivo per cui la cosa non è vera. Se il postatore originale si arrabbia, lasciamo pure perdere, tanto costui è ormai perduto; se si accorge del suo errore abbiamo aggiunto un mattoncino alla verità senza post.

Ma a quanto pare noi in Italia abbiamo un terzo tipo di post-verità, come evidenziato dall’intervista del Garante Antitrust (che ha a che fare con la materia?) in un’intervista al Financial Times (perché non a un quotidiano italiano?). Nell’intervista, Giovanni Pitruzzella lancia l’idea di una regolamentazione a livello europeo, con un non meglio identificato ente pubblico – su questo è stato esplicito, deve essere pubblico – che dovrebbe controllare, mettere un bollino di non-verità ed eventualmente far rimuovere le bufale. Come spero vi siate accorti, siamo arrivati a un livello completamente diverso. Non importa più sapere cosa è verità e cosa no; quello che conta è che ci sia un Fratellone che faccia una scelta per noi e ci liberi dal fardello di usare il nostro raziocinio per discernere le notizie. Le bufale sono insomma una banale scusa per potere censurare, con il consenso del popolo tutto. La verità diventa così una verità di Stato. Non fosse che Beppe Grillo con la post-verità del secondo tipo ci campa, verrebbe voglia di essere al suo fianco quando denuncia il fatto… Invece mi limito a lavorare in parallelo ;)

(ah: Carlo Felice Dalla Pasqua ci ha ricordato che Pitruzzella non è nuovo a queste esternazioni, e in effetti aveva già usato il Corrierone)

Ultimo aggiornamento: 2017-02-07 23:02

Stazione Centrale e controlli

Dicono di avere filmato Anis Amri alla Stazione Centrale di Milano, mentre stava uscendo. Certo, la Centrale è piena di polizia, ed entrare ai binari è difficile (ma non impossibile: se uno vuole ammazzarsi con una bomba non è che gli costi tanto comprare un biglietto del treno ed esibirlo ai controlli…). Ma uscirne come capita spesso non è un problema. Dunque mi spiegate perché ci sono tutti questi controlli?

Ultimo aggiornamento: 2016-12-27 19:01

Centro Operativo Postale 2

Essendo oggi sabato, ed essendo la vigilia di Natale, nessuno penserebbe che il mio povero pacchetto si possa essere allontanato dal Centro Operativo Postale di Milano. E invece no! Come vedete, stamattina ha deciso di vedere il mondo, e lo si trova al Centro Operativo Postale… di Bologna, a meno che “BO” non significhi “non sappiamo più dove sia”.
Non sono il solo a vedere di questi giri, intendiamoci. Mi chiedo solo quale sia la logica dietro tutto questo.

Ultimo aggiornamento: 2016-12-24 14:53

E poi arriva Babbo Natale

Oggi Francesco Rei scrive sulla Stampa che per fermare l’offensiva di Vivendi su Mediaset lo Stato sarebbe pronto a investire due miliardi e mezzo, via la Cassa Depositi e Prestiti, per acquistare un 30% di azioni Telecom e prendersi la maggioranza, in modo da stoppare Bollorè.

Supponiamo pure che la UE non bolli l’operazione come aiuto di stato (ci può stare il via libera, se viene considerata come investimento il che è sensato). Teniamo pure conto che al momento Matteo Renzi, noto odiatore di Telecom, non è più PresConsMin e che Gentiloni ha sempre avuto interesse per le comunicazioni. Ma come la si mette con Enel Open Fiber, che ha preciso mandato di fare concorrenza a Telecom per cablare l’Italia? Si dice loro “abbiamo scherzato?”

Diciamo insomma che anche se qualcuno ha effettivamente detto qualcosa del genere l’ha fatto come minaccia, minaccia a cui però non crede nessuno.

Ultimo aggiornamento: 2016-12-23 15:32

Centro Operativo Postale

Ricordate i controller Wii che ho preso in Cina? Ricordate che dieci giorni fa avevo scritto che erano finalmente arrivati in Italia? Bene, anzi male. Continuano a essere “in lavorazione” presso il Centro Operativo Postale di Milano (che poi è Peschiera Borromeo). Peggio ancora: come vedete, nonostante la pessima traduzione in italiano, da lunedì scorso non è neppure possibile tracciare il simpatico pacchetto. (Il risultato è la cache che hanno nel sito di tracking)
Ora qualcuno mi deve spiegare che lavorazione s’ha da fare a un pacchetto che arriva dall’estero (oltre che cosa potrò dire a Cecilia e Jacopo, ché nonostante abbia fatto l’ordine 45 giorni prima di Natale non vedranno il telecomando)

Aggiornamento: (21:00) A tutti quelli che mi hanno detto “evidentemente il tuo pacco è fermo in dogana” faccio notare che la pagina delle poste dice che sotto i 22 euro di valore non ci sono spese né di dazio né di Iva. Ora, il mio acquisto è stato di 20,73€ di merce (ho controllato la fattura), che sono per indubbiamente meno di 22 euro. Anche aggiungendo le spese di assicurazione (che non sarebbero merce) sono arrivato a 21,79€. (ah, sì: adesso il tracking non dà più errore, ma tanto il pacchetto è sempre lì)

Ultimo aggiornamento: 2016-12-23 21:15

Lidl, atto finale

Dopo l’ultima puntata della scorsa settimana, ieri mattina è arrivata la risposta finale definitiva di Lidl è stata

Titolo: referenza #nnnnnnn: mmmmm * Tagliacapelli” pratica

Testo: Gentile Sig. Codogno,In riferimento alla Sua segnalazione, Le comunichiamo che non è possibile reperire pezzi di ricambio presso il fornitore” Lutter & Partner” del prodotto da Lei acquistato poichè quest’ultimo è stato dichiarato fallito.
Nel suo caso, ci spiace comunicarLe che i pezzi di ricambio non sono coperti da garanzia , pertanto non ci è possibile intervenire in alcun modo e dare ulteriore riscontro alla Sua richiesta.

Vabbè, continuerò a usare il regolacapelli attaccato alla spina, non muore nessuno. Ah: inutile dire che la risposta è arrivata per email, non certo per telefono o per lettera.