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Abissine, copy e shitstorm

il testo originario La storia delle “abissine” del pastificio La Molisana – trovate la storia su bufale.net e un racconto molto più completo su Gambero Rosso mi pare un classico esempio di come il combinato disposto tra la sciatteria dei copy e la voglia di sangue dei social network porti a risultati assurdi.

Guardando il testo che da un paio d’anni era presente nel sito del pastificio – e ancora reperibile su Web Archive, se uno sa come cercarlo… per comodità l’ho anche copiato su archive.is – si capisce senza ombra di dubbio che bisognerebbe applicare una moratoria alla professione di copy, visto che buona parte dei testi da loro prodotto non hanno alcun senso pratico. Per la precisione, al copy che ha scritto quel testo bisognerebbe togliere immediatamente la tastiera. Uno che scrive «formato dal nome che è già “storytelling”…» dimostra sin dall’inizio che non ha idea di cosa deve fare. Non parliamo poi della frase successiva, “La pasta di semola diventa elemento aggregante? Perché no!”. Se davvero il copy avesse scoperto che il MinCulPop aveva inviato una velina ai pastifici, perché celebrassero anche nei formati della pasta le Grandissime Vittorie dell’Italia, allora sì che sarebbe stato uno scoop. Ma quei nomi con ogni probabilità erano stati dati per la banale ragione che al tempo erano di moda, e sono pronto a scommettere che il copy ha persino pensato che la frase fosse divertente, anzi “intrigante”, soprattutto con quel “perché no?” finale. In compenso dovrebbe essere chiaro a tutti che l’inciso “Di sicuro sapore littorio” si riferisce al nome della pasta, e non certo al suo gusto; qua la colpa non è del copy, insomma, ma delle conoscenze di analisi logica della gente.

Detto tutto questo, non mi stupisco troppo che Niccolò Vecchia abbia fatto partire la shitstorm (nota: io non posso visualizzare quel post, non so se perché è stato cancellato o perché lui pubblica solo per i suoi amici). Non mi stupisco per nulla che Laura Boldrini abbia ripreso il tutto. Mi stupisco invece della rapidità con cui, nonostante la festa dell’Epifania, i gestori del sito della Molisana siano riusciti a cambiare al volo la pagina incriminata, non solo togliendo il testo incriminato ma anche modificando il nome del link alla ricetta (che inizialmente parlava di abissine) e persino l’immagine del pacco di pasta. Ok, si sono dimenticati di cancellare l’immagine originale, ma nessuno è perfetto.

Ma quello che mi preoccupa seriamente è la scelta del pastificio, che anziché limitarsi a eliminare il testo e assicurare che sarebbe stato riscritto in modo che fosse chiaro che non si intendeva alcuna apologia di fascismo hanno scelto di cancellare un pezzo di storia semplicemente per una protesta in rete. Lo so. Mentre sto scrivendo i supporter di Trump hanno assalito il Senato USA, in quello che a tutti gli effetti è un tentativo di golpe; uno potrebbe pensare che il calare le braghe da parte della Molisana sia una cosa da nulla. Non sono d’accordo. Sono in rete da più di 35 anni; so che se cominciano a passare queste autocensure ci troveremo in un amen in un sistema che non permetterà più di esprimersi in libertà.

Assange non sarà estradato

Per quanto Julian Assange mi stia sulle palle come persona, sono felice che sia stata rifiutata la sua estradizione in USA. La richiesta era legata al fatto di avere pubblicato nella piattaforma Wikileaks documenti riservati: quello che una volta si sarebbe chiamato “giornalismo d’inchiesta”. D’accordo, viviamo in un periodo storico dove più che vere inchieste ci troviamo ad avere a che fare con montagne di dati che devono essere spulciate e verificate da qualcun altro, ma dobbiamo accontentarci di quello che passa il convento… e soprattutto ricordarci, come dicevo all’inizio, di distinguere il giudizio sulla persona da quello sulle azioni.

Ultimo aggiornamento: 2021-01-04 14:57

Il camioncino dei vaccini

Come sempre in Italia, l’inizio della vaccinazione Covid ha portato una lunga scia di polemiche. Ad alcune si può rispondere facilmente, come quella sulla quantità di dosi già arrivate in Germania in confronto a noi. Banalmente, mentre in Germania si erano già preparati a vaccinare da noi si pensava ai padiglioni petalosi.

Più interessante è probabilmente parlare del camion col vaccino, con tanti che si chiedono perché non fossero stati spediti in aereo… ed effettivamente da Pratica di Mare sono poi partiti i voli militari. Anche qua di per sé una risposta è abbastanza semplice. Queste prime dosi erano solo simboliche, e sarebbero dovute essere inoculate domenica 27 in tutta la UE, anche se ci sono stati i soliti furbetti del vaccino (si sa, i sovranisti su queste cose ci sguazzano). Quindi non serviva a nulla fare più in fretta e spedire in aereo, e si poteva tranquillamente preparare la narrazione dei camion che partono dai laboratori e si dipanano per tutta Europa.

L’unico problema è che se vuoi fare la narrazione allora la devi fare per bene. Cosa sarebbe costato fare arrivare il camion a Palermo, fermandosi man mano a consegnare le (ripeto, simboliche) dosi alle varie regioni nel suo percorso? Il tempo per l’appunto c’era, e l’immagine sarebbe stata molto più potente. Ecco: questa sciatteria a me dà molto più fastidio di tutto il resto della storia.

(p.s.: e i novax? dove sono?)

Ultimo aggiornamento: 2020-12-28 10:22

sempre sul mancato lockdown

Vorrei fare una precisazione sulla mia lamentazione di domenica scorsa. È ovvio che tutte le persone in giro ne avevano pieno diritto. (Non avevano diritto di camminare con la mascherina abbassata, ma quella è una storia collaterale). Il punto è un po’ diverso. Io non mi aspetto che l’italiano medio – ma nemmeno il tedesco medio, se per questo – pensi alle conseguenze delle sue azioni e quindi agisca per ridurre il rischio globale. Pertanto mi aspetto che sia il legislatore a fare in modo che l’italiano medio sia costretto a farlo, esattamente come Angela Merkel ha fatto in modo che il tedesco medio lo faccia. Non si vuole farlo? Si ritiene preferibile avere qualche morto in più ma salvare lo shopping natalizio? Nema problema. Basta appunto dirlo chiaramente e non lamentarsi dopo.

Ultimo aggiornamento: 2020-12-16 13:20

Non ce la faremo

Oggi la Lombardia è entrata in zona gialla. Anna e io siamo così andati dai suoi genitori (senza gemelli per evitare possibili contagi) per una mezz’oretta, anche perché dovevo capire cosa il teNNico aveva fatto al loro computer. Ci siamo trovati bloccati a Monza. Evidentemente tutti avevano gli anziani genitori da andare a trovare (spesso a piedi e senza mascherina)

Ultimo aggiornamento: 2020-12-13 19:29

Cashback di Stato – sempre più difficile

Allora, oggi parte il cashback di Stato. Rispetto alla scorsa settimana ne so qualcosa in più, e provo a spiegarvelo.

Innanzitutto c’è un sito ufficiale, che si chiama… Cashless Italia. Stranamente il sito non è nel dominio gov.it; non si capisce perché, dato che il titolare del sito è il MEF e per esempio PagoPA è regolarmente sotto .gov.it. A parte questo, il sistema funziona attraverso l’app IO, ma anche “per mezzo di issuer convenzionati”. Ecco perché Satispay ha già avvisato i propri utenti della possibilità: con un click si è già attivi. Sicuramente meglio di IO dove almeno a ieri l’unico metodo di pagamento elettronico accettato è la carta di credito. Posso immaginare che la parte di backoffice sia già pronta almeno a ricevere i dati, se non trattarli, mentre la magnifica e progressiva app IO sia ancora bene indietro.

L’altra cosa che non era affatto chiara è che occorre fare un numero minimo di transizioni nel periodo: 50 ogni semestre e 10 nella versione “casback di Natale”, e soprattutto che mentre non c’è un valore mimino per una transazione ce n’è uno massimo, vale a dire 150 euro. Se uno fa la spesa da 300 euro, insomma, il cashback eventualmente ottenuto è di soli 15 euro e non 30. Mi aspetto pagamenti multipli quando vado a fare la spesa settimanale :-) L’unica cosa buona è che si spera che, a differenza della lotteria degli scontrini, tutto il giro sia alla fine automatico e l’unica cosa da fare sia entrare nei negozi e pagare con gli strumenti elettronici.

In definitiva, continuo ad avere forti dubbi sul funzionamento del tutto, ma spero di sbagliarmi…

IO app e cashback: la solita presa in giro?

Ieri mattina ho provato a vedere come funzionava la storia del cashback per i pagamenti elettronici. Sì, lo so che non è ancora partito ufficialmente. Ma lo pubblicizzano già e così tanto valeva provare. Come prima cosa ho dunque installato l’app IO. In realtà io l’avevo già installata per la beta privata: ma quando hanno chiuso la beta l’hanno eliminata, e ho dovuto riprenderla da capo.

Rientrato, ho provato ad aggiungere un metodo di pagamento, scoprendo che l’app ne conosce tanti – perfino Satispay – ma ne permette uno solo: la carta di credito. Questo non è nemmeno così strano, visto che IO nasce come modo per pagare tasse e imposte con PagoPA e c’è un bell’avviso che spiega con dovizia di termini che lo Stato non può accettare di pagare una commissione per farsi dare i soldi; ecco dunque che la carta di credito, dove le commissioni le paghi tu, diventa il sistema obbligato.

Ma tanto non funziona nemmeno quello: aggiungendo i dati della mia carta di credito mi arriva il messaggio di errore mostrato qui a destra. Scrivo diligentemente all’assistenza, e mi arriva questa risposta:

Ciao, grazie per averci contattato, in questo momento stiamo riscontrando problemi alla sezione portafoglio dell’app IO per cui non è possibile aggiungere metodi di pagamento o effettuare pagamenti pagoPA.

Se il tuo problema è uno di quelli indicati sopra non rispondere a questo messaggio, ti invieremo noi una notifica per aggiornarti della sua risoluzione.

Considerando il burosauro quadratico medio, posso immaginare che per mettere una risposta del genere devono essere almeno dei giorni che non funziona nulla. Insomma, non solo abbiamo un’app che non è pronta per quello che dovrebbe fare a partire dalla settimana prossima, ma non fa neppure quello per cui era nata. Una metafora perfetta dell’Italia, insomma.

(Vabbè, c’è poi la lotteria dello scontrino. Quel sito in effetti funziona, ma in compenso pare che solo un registratore di cassa su tre permette di farlo. Eppure l’anno scorso tutti i negozianti hanno dovuto cambiare registratore di cassa. Possibile che non fosse già predisposto?)

L'”Open Access” di Nature

Non è mai stato un mio problema, non avendo io fatto carriera accademica: ma la pubblicazione su una rivista scientifica di un articolo non è un processo semplice. Uno scrive l’articolo, lo manda a una rivista, che a sua volta lo manda a un certo numero di altri ricercatori in quel campo (i peer reviewer) che lo leggono e decidono se va bene – quasi mai, almeno nella forma originale. A questo punto, se comunque l’articolo è ritenuto interessante, c’è un ping pong con l’autore che modifica il testo per rispondere alle richieste dei peer reviewer e questi che rileggono. Alla fine l’articolo viene sperabilmente pubblicato.

In tutto questo non ho mai parlato di soldi. Il modello classico è che i peer review non beccano un centesimo, l autore non becca un centesimo e l’editore si fa i soldi vendendo a carissimo prezzo la rivista, tipicamente alle università che devono pagare il pizzo per avere la speranza che gli articoli dei propri ricercatori vengano accettati. Di editori ce ne sono tantissimi, ma quelli davvero importanti sono tre o quattro; pubblicare su altre riviste conta poco o nulla. La situazione è abbastanza insostenibile, tanto che almeno per le materie scientifiche in pratica si tende a saltare il passo della peer review e pubblicare direttamente su arXiv che è un gigantesco archivio elettronico. In fin dei conti, in matematica per esempio chiunque (ehm…) può verificare i risultati, se ne ha voglia.

Un’altra possibilità di cui si parla da un pezzo è l’Open Access, dove gli articoli sono liberamente scaricabili dagli interessati. E quindi come funzionano le cose? Che sono gli autori, o le istituzioni dove lavorano, a dover pagare per avere il privilegio di essere pubblicati. Dopo Elsevier, è arrivata anche Springer: ecco dunque che Nature annuncia pomposamente e gioiosamente che dal 2021 avrà un bellissimo sistema Open Access. L’autore dovrà semplicemente pagare 9500 euro ($11390, £8290) per pubblicare un articolo. O se preferisce, prima del processo di peer review l’autore dovrà pagare 2190 € “non-refundable”, insomma a fondo perduto; se accettano il paper bene, altrimenti ciao ciao e amici come prima. I quasi diecimila euro sono molto più alti di quanto richiesti da altre riviste, “ma volete mettere il prestigio di pubblicare su Nature? E poi comunque un po’ di sconto per le riviste meno blasonate nel nostro portfolio possiamo anche concedeverlo”.

Insomma, non c’è solo il problema degli scienziati che pur di contendersi un posticino in tivù si mettono a sparare le peggio idiozie. È tutto il mondo della ricerca scientifica che non funziona più.

Aggiornamento: (17:30) Avevo scritto che i 2190 euro erano in aggiunta ai 9500 euro, ma come mi hanno fatto notare nei commenti in realtà quelle tariffe dovrebbero essere in alternativa; inoltre dovrebbero restare le riviste a closed access.

Ultimo aggiornamento: 2020-11-26 18:59