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Il GRIM test

Un tipo ha un cestino di mele. Io gli chiedo “qual è il peso medio di una delle tue mele?” e lui risponde “142 virrgola 857 grammi”. Cosa posso inferire da questa frase? Che il mio interlocutore non ha idea di come si arrotondano i risultati, che il cestino contiene 7 mele, o un multiplo di 7, e probabilmente che la bilancia che ha usato non è molto sensibile. Quel numero si ottiene infatti dividendo 1000 per 7 e mantenendo un numero assurdo di cifre, che sono tutto tranne che significative.
E cosa pensereste se vi dico che ho chiesto a dieci persone di dare un voto da 1 a 10 al mio blog – solo voti interi – e che la media che ho ottennuto è 9,248? Occhei, immagino che la prima cosa che vi verrebbe in mente è che gli interpellati hanno mentito; la seconda è che è impossibile che la media aritmetica di dieci numeri interi sia un valore con più di una cifra decimale.

Quest’ultima cosa, oltre che con il buonsenso, è stata trattata da Nicholas Brown e James Heathers in un loro articolo del 2016; gli autori hanno chiamato questo controllo il GRIM test, dal retroacronimo “granularity-related inconsistency of means” (inconsistenza delle medie dovuta alla granularità”. Il GRIM test si applica quando il numero di osservazioni da cui si ricava la media è molto piccolo, come capita spesso nelle scienze molli; esso indica probabilmente che i dati sono costruiti a caso da una persona che non è avvezza alla matematica, a differenza che nel primo caso in cui l’interlocutore non è comunque avvezzo alla matematica ma ha probabilmente fatto i conti senza rendersi conto che le precisione non può essere troppo elevata. C

Come Erik Seligman racconta nel suo Math Mutation, Brown e Heathers notano che potrebbero esserci anche altre ragioni per il GRIM effects; per esempio i dati sono stati calcolati su un insieme di dimensioni maggiori di quello finale, perché alcuni dati sono stati espunti in un secondo tempo perché incompleti. Resta però un punto fondamentale: gli articoli accademici che non superano il GRIM test sono troppi – più della metà degli articoli controllati dai due ricercatori – e non superare il test dà la certezza che ci sia qualcosa che non va. Soprattutto, ciò rende impossibile un controllo sui dati di partenza, che dovrebbe essere alla base della replicabilità dei risultati. Mettiamola così: per fortuna la gente non sa barare bene.

Moltiplicare con una parabola

moltiplicatore parabolico, da https://www.futilitycloset.com/2023/10/13/a-parabolic-calculator/

Al Mathematikum, museo interattivo della matematica a Gießen, trovate anche questo moltiplicatore parabolico mostrato in fondo a questo post. Come vedete, un filo è teso per mezzo di due pesi: si mette il filo in modo che passi per due punti della parabola corrispondenti a due valori dell’asse x, e nel punto in cui il filo incrocia l’asse y si può leggere il prodotto dei due numeri. Il bello è che si può anche cambiare la scala relativa dei due assi, come ho fatto io: il sistema funziona lo stesso. Trovate un esempio interattivo qui.

Ma come mai funziona? Bisogna fare un po’ di conti, usando la geometria analitica. Nella figura qui sotto, sia a il punto sul lato sinistro dell’asse x e b quello sul lato destro. Sappiamo allora che la pendenza del segmento obliquo è m = (b² − a²)/(b − (−a)) = ba. L’equazione generica di una retta è yy0 = m(xx0); sostituendo a m il valore appena trovato e a x0 e y0 rispettivamente b e b², otteniamo yb² = (ba)(xb). Infine, visto che ci interessa il punto in cui questa retta incontra l’asse y, sostituiamo a x il valore 0 e ricaviamo y = ab.

Questo moltiplicatore parabolico è un esempio di calcolatore analogico. Prima dell’avvento dei calcolatori digitali, esistevano ingegnosi apparecchi che permettevano di trovare il risultato di operazioni con tecniche di questo tipo. Il regolo calcolatore è l’esempio più noto, ma per operazioni specializzate si potevano costruire calcolatori analogici specializzati. Per la moltiplicazione non ne vale la pena, ma per certi tipi di operazioni, come equazioni differenziali sì. Il guaio è che per ogni tipo di operazione occorre un calcolatore analogico diverso: volete mettere il vantaggio di averne uno digitale che si può programmare?

Aggiornamento (11:00) Roberto Zanasi mi ha detto che per dimostrare che in effetti quel segmento corrisponde al prodotto delle due misure è più semplice usare il teorema di Talete. Nella figura qui a fianco potete vedere che AM/OH = OH/BN, cioè /x = x/ da cui x = ab.

Ultimo aggiornamento: 2023-10-18 11:17

Carnevale della matematica #172

“canta, canta intrepido”
(Poesia gaussiana)

logo-carnevale_matematica
Benvenuti all’edizione numero 172 del Carnevale della matematica, dal tema libero! Il 172 si fattorizza 2×2×43: la cellula melodica ha un intervallo di seconda aumentata, che come tutti sanno è diverso dalla terza minore ma si canta praticamente allo stesso modo.

Proprietà del 172? Boh, ormai ci si ripete, quindi le salto. Faccio solo notare che è un numero binario bilanciato (nel senso che ha lo stesso numero di 0 e 1 nella sua rappresentazione binaria: OEIS li definisce Digitally balanced numbers), che è un quasi controesempio all’ultimo teorema di Fermat, perché 135³ + 138³ = 172³ − 1, ed è un “cubo ispessito“, perché è l’arrotondamento per eccesso del cubo di un numero della forma n+0,5. Passiamo dunque subito ai contributi.

Dioniso, in Maieutica teorema di Pitagora e duplicazione del quadrato nel Menone di Platone, racconta come molti testi riportano che la prima dimostrazione a noi pervenuta del teorema di Pitagora si trovi negli Elementi di Euclide. Tuttavia, nessuno dei testi che aveva letto citava il Menone di Platone: leggendo The Mathematics of Plato’s Academy – A New Reconstruction di David Fowler, ha scoperto che quel dialogo contiene una dimostrazione semplicissima di un caso particolare del teorema di Pitagora, che emerge dalla tecnica per la duplicazione di un quadrato.

Roberto Zanasi continua l’analisi dell’Inferno con Inferno – Canto XX, dove si parla della scollatura dell’idraulico e della fisica dei viaggi nel tempo.

Annalisa Santi si prende qualche libertà ed esce un po’ dall’argomento strettamene matematico con un articolo che ha scritto in occasione dell’assegnazione degli Ig Nobel 2023: “Ig Nobel 2023…prima si ride poi si pensa”. Anche se la storia degli Ig Nobel è piena di premi assegnati a ricerche assolutamente incredibili molte hanno poi portato a riflessioni e considerazioni sul loro effettivo valore scientifico così come recita il loro slogan: “premiare studi e ricerche che prima hanno fatto ridere e poi pensare”. A volte, anche se non spessissimo, è stato assegnato anche il premio Ig Nobel per la Matematica che, come si sa, manca invece tra le discipline del prestigioso premio svedese. Quest’anno non c’è stato, ma il premiko per la Fisica è andato a un folto gruppo di ricercatori “per aver misurato quanto la miscelazione dell’acqua dell’oceano sia influenzata dall’attività sessuale delle acciughe”.

Come sempre, MaddMaths! è ricchissimo di spunti.

Didattica

  • Basta con le classiche interrogazioni! Una proposta pratica
    Dopo le tre proposte di Giovanni Righini, continua la discussione sul cambiamento dell’insegnamento della matematica nella scuola secondaria, con il suggerimento pratico sulle interrogazioni di Claudia Zampolini, insegnante di matematica e fisica presso il Liceo Scientifico statale “Galeazzo Alessi” di Perugia.

   Letture matematiche

  • Matematica in campo, Paolo Alessandrini (recensione) – Alessandrini racconta i molti punti di contatto tra calcio e matematica. Ce ne parla Alberto Saracco. Recensione scritta e video (diversi tra loro).
  • Rivoluzioni matematiche: Il teorema del punto fisso di Banach-Caccioppoli – Con il numero di Ottobre de Le Scienze troverete in allegato il tredicesimo dei venti volumi della collana dedicata ad alcuni tra i maggiori teoremi matematici. La collana è stata elaborata in collaborazione con la redazione di MaddMaths!. Questo nuovo volume è dedicato al Teorema del punto fisso di Banach-Caccioppoli ed è a cura di Eugenio Montefusco.

   La lente matematica di Marco Menale

   News, a cura di Stefano Pisani

  • Scoprendo Shakespeare con le tecniche computazionali

    Scoprendo Shakespeare con le tecniche computazionali


    Hai mai considerato un’immersione nel lessico del Bardo? Alcuni ricercatori dell’Università di Lancaster hanno dato un tocco tecnologico ai testi di Shakespeare; armati di linguistica dei corpora, ci hanno regalato un “Dizionario shakespeariano”! Confrontando le parole del Cigno dell’Avon con sia i suoi contemporanei che l’inglese moderno, è un tour de force linguistico. Chi avrebbe pensato che “cattivo successo” avesse una volta avuto un tale fascino? E un applauso per “ear-kissing” e “bone-ache”. La tecnologia sta riscrivendo (letteralmente!) la nostra comprensione del Grande Bardo.

Daniela Molinari ci racconta di come in occasione di BergamoScienza il suo liceo abbia presentato… una conferenza senza bordi. Lascio a lei la parola: «Il Liceo Celeri di Lovere, nel quale insegno, ha partecipato alla XXI Edizione del Festival di BergamoScienza, realizzando dei laboratori sulla topologia. Quasi al termine del percorso (il festival si chiude domenica 15) abbiamo deciso di presentare una conferenza senza bordi, dal titolo “Topologia è…”, aperta alla cittadinanza. La conferenza è una metafora di ciò che è stata la nostra partecipazione al Festival: è senza bordi, perché come in una bottiglia di Klein non c’è un dentro/fuori, durante il festival cade la consueta separazione tra docenti e alunni. Nella realizzazione di questi laboratori, l’opinione dell’alunno conta quanto quella del docente e tutti sono chiamati a mettersi in gioco. La realizzazione di questi laboratori richiede un lavoro corale e questa conferenza è stata un lavoro corale, nel quale ognuno di noi ha portato ciò che è, visto che le parti sono state “costruite” in base agli interpreti, ma anche ciò che ha imparato della topologia in questi mesi. La matematica che si ritrova tra le righe è talmente variegata da far girare la testa: c’è il rigore dei teoremi, ma ci sono anche l’originalità e la fantasia dei matematici, ci sono le applicazioni pratiche, e c’è, soprattutto, l’essenza della matematica, espressa molto bene dalle parole di Maryam Mirzakhani: “Le persone sono diverse tra loro e quindi ci sono modi diversi di fare matematica. ma se vuoi ottenere una buona idea, devi spendere un sacco di tempo pensando pazientemente, senza lasciarti abbattere quando ti tocca tornare sullo stesso problema. È mantenendo la fiducia che magari, un giorno, avrai una buona idea.”»

I Rudi Mat(h)ematici questo mese sono un po’ più parchi del solito (per mia fortuna).

  • Libera nos a malo è un PM, insomma un Paraphernalia Mathematica, come sempre scritto da Rudy. Parla di metodi per spartirsi più o meno equamente le cose, a partire da quello che tutti conoscono quando due persone devono dividersi una torta: uno taglia, l’altro sceglie.
  • Spiegare le pieghe è il post istituzionale di soluzione al quesito pubblicato su Le Scienze di Settembre, che proponeva di piegare un foglio di carta per un numero impossibile di volte, e poi chiedeva di che tipo fosse una certa piegolina tra le millanta generate.
  • Puluc è un post di tipo Zugzwang!, insomma descrizione di un gioco. In questo caso, il gioco si chiama appunto Puluc, e pare sia originario dei Ketchi, popolazione del Guatemala.
  • Oltre Platone 3 – Non è la parte più difficile è un altro PM: fa parte della serie “Oltre Platone”, ed è evidentemente la terza parte. Si parla di solidi poco platonici.
  • Per ultimo resto al solito io come anfitrione. I quizzini sono stati La parola intrusa, che per una volta non è matematico ma gioca con le parole. Due quadrati è geometrico e abbastanza semplice, se non vi fate ingannare dal disegno. Cento carte (che mi è stato cancellato da Facebook come sedicente spam…) aveva anche un mio suggerimento errato. Feng Shui 1 racconta infine di una piastrellatura con alcuni vincoli.

    Ecco le recensioni. Importanza dei simboli in matematica, un microtesto (lo trovate anche su Wikisource) di Giuseppe Peano ancora interessante a distanza di un secolo e più. Sofia Kovalevskaja, di Alice Milani, è la biografia a fumetti (“graphic novel”, come dicono oggidì) di una donna che non è solo stata una matematica.

    Ho poi inaugurato i mercoledì matematici, per essere sicuro di scrivere anche di matematica. In
    Quante nuove soluzioni al problema dei tre corpi! spiego che ne esistono tante: quella che non esiste è una soluzione generale. In I numeri di Dedekind spiego cosa sono, in occasione della scoperta di D(9) che probabilmente sarà l’ultimo che conosceremo. L’intelligenza artificiale e la morte della matematica parla di due post di Sunil Singh che predicono che l’avvento dell’intelligenza artificiale metterà la pietra tombale sulla già tragica situazione dell’insegnamento della matematica.
    Il teorema di Pitagora prima di Euclide prende spunto dal post di Flavio quassù e mostra quale sarebbe potuta essere una prima dimostrazione del teorema di Pitagora, ipotizzando il perché si sia persa.

    Infine nella povera matematica ci sono due post. In Essere più vecchi di chi è nato nel nostro anno spiego che un articolo di Bloomberg è stato al solito tradotto da una persona che non ha idea di cosa sia la matematica; ma anche l’articolo originale pecca. In Quanta precisione!, dico che non mi fiderei troppo di uno studio di fattibilità così preciso.

    Questo è tutto. Arrivederci a novembre, con MaddMaths!

Il teorema di Pitagora prima di Euclide

Flavio Ubaldini racconta nel suo blog di come si possa trovare la dimostrazione di un caso particolare del teorema di Pitagora in uno dei dialoghi platoniani, il Menone: Socrate prende uno schiavo e mediante la famigerata maieutica gli fa dimostrare che se abbiamo un triangolo rettangolo con i due cateti uguali l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è il doppio di quella del quadrato costruito su un cateto. Vabbè, per quanto mi riguarda la maieutica è semplicemente il modo in cui chi sa qualcosa fa sì che il suo interlocutore ascolti gli aiuti che gli vengono dati e tiri fuori la risposta pur senza saperla, ma non divaghiamo. La domanda di Flavio è un’altra: “Ma è stato davvero Euclide a dimostrare per primo il teorema di Pitagora?”

Ve lo dico subito. Io non ho prove, ma per me la risposta è un secco no. Intendiamoci, io parlo di una dimostrazione, non della conoscenza del teorema: è abbastanza assodato che i babilonesi e forse gli egizi lo conoscessero già, ma non sapessero dimostrarlo, né gli sarebbe comunque venuto in mente di farlo. Il punto è che la dimostrazione di Euclide, che potete per esempio vedere qui, pare chiaramente fatta per intimorire il lettore. Schopenhauer non aveva tutti i torti quando scrisse che nella dimostrazione di Euclide “si disegnano delle righe e non sappiamo il perché, e solo in seguito scopriamo che erano una trappola (“eine Mausefallenbeweise”) che si chiude all’improvviso e imprigionano il consenso dell’attonito studente”. Euclide aveva le sue buone ragioni per terminare il suo primo libro degli Elementi con questa proposizione, anzi per amor di precisione con quella successiva che è il suo inverso; era un exploit per mostrare che i teoremi di uguaglianza delle aree che aveva dimostrato in precedenza avevano una certa utilità. Ma è molto probabile che la prima dimostrazione trovata fosse sulle stesse linee di quella del Menone ma più generale.

Nella figura qui sopra vedete due quadrati uguali suddivisi in modo diverso. I quattro triangoli rettangoli A, B, C, D sono tutti uguali tra di loro, semplicemente posizionati in modo diverso; i quadrati colorati sono quello costruito sull’ipotenusa da una parte, e quelli costruiti sui cateti dall’altra: il teorema di Pitagora ne segue immediatamente. Una dimostrazione di questo tipo è perfettamente valida (se si accetta l’assunto che spostare una figura non ne cambi la superficie, ma spero che me lo concediate), e alla portata della matematica greca da ben prima di Euclide, anche se posso immaginare come per un precisino come lui potesse sembrare raffazzonata perché non usa la struttura tipica delle sue dimostrazioni. Certo Platone avrebbe potuto farla usare a Socrate, al posto di quella semplificata che troviamo nel dialogo: ma mi sa che la temesse troppo difficile per il filosofo medio…

P.S.: avevo già raccontato la storia tanti anni fa sul Post, qui una copia del testo. Decidete voi quale delle due spiegazioni è la migliore.

L’intelligenza artificiale e la morte della matematica

Sunil Singh

Sunil Singh

Sunil Singh ha scritto vari libri sul “lato umano” della matematica. Non è dunque così strano che su Medium stia pubblicando una serie di articoli nei quali traccia il percorso che sta portando alla morte della matematica, o almeno in quella che si insegna a scuola. (Lui ha insegnato in Canada, ma almeno parte del discorso si applica anche da noi).

La tesi che espone in The “Climate Crisis” In Math Education: There Is No Mathematics è fondamentalmente “Stiamo insegnando sempre meglio ma con sempre meno contenuto”. In pratica i programmi cercano di introdurre i concetti di base (e non solo) della matematica secondo tutti i crismi e seguendo le nuove scoperte pedagogiche per semplificare l’assorbimento della conoscenza, dimenticandosi però la parte fondamentale della matematica: la curiosità. È inutile avere una modalità perfetta di insegnamento, se poi la materia viene vista come qualcosa di noioso. A.I. Is Helping Accelerate Math Education Towards Its Final Resting Place: Dehumanization spiega qual è il vero pericolo dell’intelligenza artificiale, almeno per quanto riguarda la matematica: che l’accesso rapido e illimitato a infiniti contenitori di conoscenza sarà il canto di morte per la curiosità, il fascino e l’umanità che si aveva nell’imparare.

Vero o falso? Come sapete, io non sono per nulla bravo a insegnare, nel senso che parlo di matematica ai convertiti. Me ne accorgo quando (sin troppo spesso) sono costretto a spiegare matematica ai miei figli. Io vedo le cose in un certo modo, di solito diverso da quello riportato nei testi, ma non riesco comunque a passare loro questa mia visione. Ma sono anche convinto che sia una questione ben più ampia che la sola matematica! Io mi perdo a saltare tra le voci di Wikipedia proprio come da ragazzo mi perdevo – con maggior lentezza, ovvio – tra le voci di un’enciclopedia. La curiosità insomma non è tanto legata alla matematica ma è un approccio generale alla conoscenza; i contenitori sono solo un punto di partenza, non di arrivo come paventa Singh. Per quanto riguarda la pedagogia, i libri attuali mi sembrano semplicemente malfatti in modo diverso rispetto a quelli che usavo quasi cinquant’anni fa. Quelli avevano una serie infinita di dati, questi vorrebbero avere un approccio più interattivo ma non ci riescono. Non che io abbia idea di come fare a migliorarli, come scrivevo sopra; però ho il forte sospetto che il problema non sia solo dell’insegnamento della matematica ma sia su tutte le materie. Dovremo forse ripensare tutto l’insegnamento, e non limitarci al nostro orticello. Ma come?

I numeri di Dedekind

funzioni booleane monotone con 0,1,2,3 elementi Il matematico tedesco Richard Dedekind è soprattutto noto per la sua definizione dell’insieme dei numeri reali (i “tagli di Dedekind”), e per la sua corrispondenza con Georg Cantor sulla teoria dei numeri transfiniti. Come molti matematici, però, ha anche fatto altre scoperte: tra le altre cose, nel 1897 studiò una successione di numeri che in suo onore sono detti numeri di Dedekind. (Al momento in cui scrivo non c’è la voce di Wikipedia in lingua italiana, ma potete sempre scriverla voi :-) )

I numeri di Dedekind contano quanti sistemi di un certo tipo si possono costruire con 0, 1, 2, … elementi. Che tipo di sistemi? Beh, ce n’è più di uno, il che fa capire che il concetto ha un certo qual interesse teorico, visto che rappresentazioni apparentemente diverse si scoprono essere equivalenti: qui ne mostro tre. Il primo sistema è quello delle funzioni booleane monotone di n variabili. Una funzione booleana ha come ingresso n variabili che possono assumere solo due valori (Vero e Falso, V/F), ed essendo una funzione ha un solo valore di uscita, sempre V o F. In informatica si usano spesso funzioni a due variabili, come AND, OR, XOR, ma nulla ci vieta di aumentare il numero di variabili. Una siffatta funzione si dice monotona se quando cambiamo un qualsiasi valore di input da F a V si possono dare solo due casi: l’output resta lo stesso oppure passa anch’esso da F a V. La funzione AND è per esempio monotona, mentre XOR non lo è perché XOR(V,F) = V ma XOR(V,V) = F. Il secondo sistema è quello delle anticatene. Dato un insieme parzialmente ordinato, un’anticatena è un sottoinsieme di questo insieme in cui nessun elemento è contenuto in un altro elemento. Per esempio, se prendiamo come insieme parzialmente ordinato quello dei divisori di 30, {2, 3, 5} e {6, 10, 15} sono delle anticatene, poiché nessun elemento dell’insieme ne divide un altro, mentre {2, 5, 15} non lo è perché 5 è un divisore di 15. Se prendiamo un insieme di n elementi e consideriamo il suo insieme delle parti, cioè tutti i suoi sottoinsiemi possibili, abbiamo un certo numero di possibili anticatene. Per n=2, cioè con i soli elementi 0 e 1, le anticatene possibili sono {{0,1}}, {{0},{1}}, {{0}}, {{1}}, {{∅}} e {∅} (notate la differenza tra le ultime due anticatene; la seconda è quella vuota, la prima contiene l’insieme vuoto). Il terzo modo consiste infine nel prendere un ipercubo a n dimensioni, metterlo in modo che si poggi su un vertice e abbia il vertice opposto perpendicolare all’iperpiano passante da quel vertice; in due dimensioni abbiamo un quadrato ruotato di 45 gradi, come vedete nel disegno qui sotto. Se la regola è “non possiamo colorare di blu un vertice dell’ipercubo se ce ne sono di bianchi più in alto”, otteniamo di nuovo sei possibili colorazioni.

Insomma, il numero di Dedekind D(n) corrisponde al numero di combinazioni possibili. Quanti sono? Dedekind trovò che i valori da D(0) a D(4) sono rispettivamente 2, 3, 6, 20, 168. Nel 1940 Randolph Church calcolò (immagino con una calcolatrice elettrica) D(5) = 7581; nel 1946 Morgan Ward calcolò D(6) = 7.828.354; nel 1965 di nuovo Church calcolò D(7) = 2.414.682.040.998; nel 1991 Doug Wiedemann calcolò D(8) = 56.130.437.228.687.557.907.88. La successione OEIS corrispondente si fermò lì fino a questa primavera, quando due diversi articoli mostrarono indipendentemente che D(9) = 286.386.577.668.298.411.128.469.151.667.598.498.812.366. Come racconta Quanta, il problema era che D(9) non può essere calcolato direttamente per la banale ragione che non esisterebbe sufficiente potenza di calcolo in tutto il pianeta, e dunque occorre trovare delle scorciatoie. Ottenere lo stesso risultato calcolandolo in due modi differenti ci permette di essere più che ragionevolmente certi che esso sia quello giusto: anche in matematica ogni tanto bisogna fidarsi dell’output dei computer!

Si potrà mai conoscere D(10)? Secondo Patrick De Causmaecker, coautore di uno degli articoli, tra qualche decennio potremmo farcela. Ma Christian Jäkel, che ha scritto l’altro articolo, è scettico. La cosa buffa è che però esiste una stima analitica che sbaglia di pochi punti percentuali il valore di D(n). In altre parole, abbiamo un’idea abbastanza precisa di quante sono queste funzioni, ma il diavolo si nasconde nei dettagli…

Immagine di Watchduck, da Wikimedia Commons.

Quante nuove soluzioni al problema dei tre corpi!

I punti lagrangiani del sistema Sole-Terra, https://commons.wikimedia.org/wiki/Image:Lagrange_points2.svg

Come sapete, la teoria della gravitazione newtoniana permette di calcolare le orbite di due corpi celesti che interagiscono tra di loro, dando una formulazione teorica alle leggi di Keplero. Il guaio comincia quando i corpi sono tre: il povero Poincaré pensava di aver trovato una soluzione al problema, ancorché con le orbite descritte per mezzo di una serie infinita di potenze, ma si accorse di aver fatto un errore, e le soluzioni non convergevano. Anche i migliori a volte si sbagliano (ma si accorgono da soli di avere sbagliato); e comunque Poincaré sfruttò l’errore per far nascere la teoria del caos, quindi ci abbiamo comunque guadagnato.
In generale insomma non è possibile prevedere le posizioni relative di un sistema a tre corpi se non per un periodo di tempo limitato; spesso se si lancia un terzo corpo in un sistema a due corpi si può vedere un balletto e poi uno dei tre corpi se ne va via. Questo però non vuol dire che non ci sia nessuna soluzione. Per esempio, già Lagrange aveva scoperto che considerando il sistema Terra-Luna esistono alcune posizioni, i punti lagrangiani appunto, dove si può aggiungere un corpo che rimarrà fermo in quella posizione relativa se non ci sono forze esterne. Nella figura vedete i punti lagrangiani.
Ma quante sono le soluzioni possibili? Il New Scientist riporta che Ivan Hristov, con Radoslava Hristova, Veljko Dmitrašinović e Kiyotaka Tanikawa, hanno preso un supercomputer e trovato 12392 nuove soluzioni che si aggiungono alle meno di 2000 che si conoscevano. Le soluzioni, a differenza di quelle lagrangiane o quelle dei quasi satelliti come Cruithne, prevedono che i tre corpi abbiano la stessa massa. Il risultato è interessante da un punto di vista teorico, perché mostra come almeno in teoria possa esserci stabilità nelle orbite: le condizioni sono però così particolari che non c’è un vero interesse pratico, per la gioia di chi preferisce che la matematica non serva…

(vorrei ricominciare a postare un po’ di matematica tutti i mercoledì, come appuntamento fisso. Non so quanto riuscirò a mantenere il buon proposito)

Ultimo aggiornamento: 2023-09-20 10:02

Perché non fidarsi delle AI generative, parte N

come ChatGPT sbaglia Se volete chiacchierare con una AI, non ci sono problemi. Se volete trovare la risposta a una domanda matematica, io ci starei attento. Nella figura qui sopra vedete l’incipit della risposta di ChatGPT alla domanda “49 + 610 + 320 è primo? Come lo posso dimostrare?”. Se andate su Quora potete cliccare e leggere tutto il suo “ragionamento”.
Peccato che quel numero non sia un multiplo di 13. Probabilmente il metodo predittivo aveva un bias verso certi numeri. Lo si vede fin dall’inizio, quando scrive «We can start by noting that [math]4^2 \equiv 1 \pmod{13}[/math]»: quattro al quadrato fa 16, che chiaramente è congruo a 3 modulo 13 e non a 1. Insomma, evitate di usarlo se volete barare sui compiti a casa: ci sono siti molto più accurati :-)

Ultimo aggiornamento: 2023-09-07 10:40