Archivi annuali: 2009

autarchia!

A gennaio, leggo dal Corsera, le esportazioni verso l’UE sono diminuite del 22,9% mentre le importazioni sono diminuite del 24.3%. E non parliamo di quelle extra UE.
Il fatto è che questo non capita solo in Italia ma in tutto il mondo: vedi Giappone, Germania, e finanche Cina.
È solo una mia impressione o questo calo generalizzato è ben maggiore del calo dei consumi nelle varie nazioni? Se ho ragione, ciò significa che ci stiamo avviando verso un periodo autarchico mondiale, senza che nessuno lo stia dicendo (non venitemi a parlare dei chilometri zero, che non muovono certo i grandi numeri). La domanda successiva è appunto “perché non lo stanno dicendo?” La globalizzazione è così un Bene che non può essere messa in questione da nessun editorialista?

Ultimo aggiornamento: 2009-03-19 11:28

Io sono sempre controtendenza

C’è una categoria di post che è più frequente di quella sulla fine dei giornali: parlo dei post sulla fine dei blog. L’ultimo a parlarne è stato Andrea Beggi, che martedì ha spiegato come scrivere un post costi sempre fatica e tempo che dopo un po’ iniziano a farsi sentire e a mancare, che oggidì noi abbiamo già detto (quasi) tutto, se non l’abbiamo detto noi è probabile che tra i millemila altri blog qualcuno abbia già espresso il nostro pensiero, e che ci sono tanti altri strumenti oltre al blog. Fin qui nulla di nuovo. Ma una cosa nuova, anche se non nuovissima, c’è: la colpa di FriendFeed che assorbe le discussioni e drena via commenti dal blog, tarpando l’ego del bloggher.
Innanzitutto un’affermazione del genere implica che il blogocono è davvero piccolo, una specie di piazza virtuale. Non c’è un risultato per la googlata “friendfeed” sugli articoli di www.repubblica.it, ce n’è uno solo (di nientemeno che Elmar Burchia!) su www.corriere.it. Sarà vero che l’Italia segue immediatamente gli USA nel buzz su questo servizio, ma a parlarne sono sempre i soliti noti. Ma questo non è poi così importante per un egocentrico quale io sono. Più divertente leggere appunto che FriendFeed ruba commenti al blog. Sarà che i miei ventun lettori sono da un lato molto affezionati a me e dall’altro dei grafomani, ma non mi sono mai accorto della cosa: su FF i miei post sembrano essere dei lebbrosi da quanto poco sono commentati, o anche solo segnalati, mentre qua sul blog ci sono alcuni temi che hanno il loro bel dibattito, vedi anche il post sull’economia di ieri. (Recensioni e matematica da questo punto di vista appaiono rari nantes in gurgite vasto, ma non si può pretendere troppo dalla vita.)
Insomma, da queste parti siamo tutti dei bastian contrari ;-)

Ultimo aggiornamento: 2009-03-19 08:00

Spam via Google Notebook

Come forse magari non sapete, non tutti i prodotti di Google funzionano bene, e ogni tanto a Mountain View ne cancellano alcuni: un esempio è Google Notebook, che doveva servire a salvarsi delle pagine Web annotate. Amen, ci sono molti altri sistemi per farlo, e nessuno piangerà per questo… nemmeno io che ho ancora qui in basso a destra sul mio Firefox l’iconcina per l’estensione. D’altra parte sono molto pigro.
In compenso, sembra che qualcuno sia riuscito a craccare il sistema… oppure Google Notebook è stato chiuso perché il sistema era stato craccato troppe volte. Un messaggio di spam di quelli cinesi che mi arrivano via ufficio aveva infatti come link una pagina pubblica del notebook: il testo del messaggio è infatti
Salva ora se davvero Adobe prodotti da noi. Leggi in che modo e possibile risparmiare il 50%.
Cosi si puo davvero risparmiare. Tuttavia tale azione Gils solo in primavera, ora disponibile!
http://www.google.com/notebook/public/09617793467796484069/BDQgkQgoQ6JqMxYEk
e la poesia presente nel link merita davvero di essere letta:
“Vuoi veramente con i nostri prodotti software salvare? In primavera, e un segreto il codice promozionale ADBE-1803”
A parte le solite battute, messaggi come questo diventano più difficili da filtrare, perché non c’è nessun appiglio facile per trovare parole sentinella: insomma, tempi duri per chi combatte lo spam.

Ultimo aggiornamento: 2009-03-19 07:00

Economia

Ho trascorso la pausa pranzo andando al Poli a sentire la conferenza “Modelli matematici e crisi finanziaria”, nell’ambito dei Seminari di Cultura Matematica del dipartimento di Ingegneria Matematica. Sì, lo so che ho appena scritto un ossimoro.
Premetto che io di matematica ne capisco abbastanza, di statistica un po’ e di economia nulla, e aggiungo che sono riuscito a resettare il mio palmare prima di salvare gli appunti che mi ero preso, quindi può darsi che io abbia preso delle cantonate: tanto ci sono fior di economisti tra i miei ventun lettori, che saranno lesti a correggere. La netta sensazione che però ho avuto è che il sistema bancario prenda gli strumenti matematici e poi li usi in maniera tale che i fisici in confronto sono dei formalisti puri.
Innanzitutto c’è il leverage, vale a dire quanti soldi la banca dà in giro rispetto al suo capitale (troppi, soprattutto negli ultimi anni…), ma questo con la matematica c’entra poco. Più interessante il racconto di Emilio Barucci su come funzionano le cartolarizzazioni dei mutui casa. Se un mutuatario ha probabilità x di non poter pagare, con varianza σ2, basta prendere mille mutuatari e mettere insieme i loro mutui. Se le loro probabilità di default sono indipendenti, un po’ come quando si lancia un dado N volte, la probabilità di default del pacchettone continua ad essere x, ma la varianza scende a σ2/1000, il che mi torna: se provate a disegnare la distribuzione binomiale di dieci oppure diecimila lanci di moneta nella stessa scala, vedrete che la seconda sembra una gaussiana molto più stretta. A questo punto si prende il pacchetto dei mille mutui e si fanno delle quote: non però uguali, ma dividendolo in tranche. In pratica ci sono le quote più rischiose, che però quando le cose vanno bene danno tanti soldi, e quelle via via più sicure, con rating che arrivava anche ad AAA (cioè una possibilità su 20000 di diventare carta straccia entro un anno). Queste quote sicure sono state vendute come obbligazioni sul mercato: solo che le banche americane, invece che fare come da noi dove le obbligazioni venivano rifilate agli utenti finali, se le compravano tra loro, spostando le voci nel bilancio ma rimanendo comunque fregate con una crisi come questa.
Ma anche questo non c’entra con la matematica light, se non per un punto fondamentale: la varianza si riduce così tanto solo se i vari mutui sono statisticamente indipendenti. Nel caso ci sia correlazione perfetta, la varianza rimane ovviamente σ2; altrimenti ci sarà un valore intermedio. Cosa facevano allora quelli che erano incaricati di suddividere il pacchetto dei mutui nelle varie tranche? Semplice: giocavano con i parametri, e soprattutto con la correlazione tra i mutui, per trovare i risultati che gli andassero bene. Un po’ insomma come i “sondaggi televisivi” dove facciamo una domanda a una decina di persone e mostriamo le tre risposte che ci piacciono di più.
Ma il secondo punto “molto matematico” è quello del Valore a rischio, o VaR. Questo numeretto misurerebbe qual è il valore minimo che ci aspettiamo il nostro portafoglio avrà in una certa data nel 95% dei casi: in pratica nel 5% dei casi scenderemo sotto quel valore, nel 95% invece lo supereremo. In condizioni perfette – leggasi, distribuzione del rischio sotto forma di gaussiana pura – il VaR è un’ottima misura del rischio. Peccato che non solo le condizioni non sono generalmente perfette, ma è anzi vantaggioso mettere investimenti molto più rischiosi in quel 5%, visto che al mondo sono nascosti (il VaR resta lo stesso) ma si può guadagnare di più… se le cose vanno bene, naturalmente.
Insomma, il concetto di base mi pare essere “prendiamo le formulette matematiche, e facciamo finta funzionino sempre; se non funzionano, cominciamo a spostare i numerini fino a che non dicono quello che vogliamo noi”. Belle cose, e poi uno si stupisce che stia andando tutto a catafascio!

Ultimo aggiornamento: 2009-03-18 15:05

Pubblicità

Ieri sera mi è capitato di dare uno sguardo a Repubblica cartacea, visto che Anna l’aveva comprata. Più che sugli articoli, mi sono soffermato sulla pubblicità, e specialmente su due paginoni.
Il primo è di un orologio Citizen (quante pobblicità di orologi! non l’avrei mai creduto, forse tutti non vedono l’ora che finisca la crisi) che dopo avere elencato i trenta articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani aggiunge l’articolo 31, “Diritto all’ecologia secondo Citizen”: Ogni persona ha diritto a un orologio Eco-drive. Il pensiero di avere il diritto di spendere dei soldi non è certo una novità, chiedere ad esempio a quelli di Darty, ma mi pare che siamo arrivati a un livello pesantuccio. A quando una foto da Auschwitz con la didascalia “Attento alle cure dimagranti, noi pensiamo anche alla tua salute”?
Il secondo è di un ritrovato per la bellezza e la crescita dei capelli (anche questo un tema molto presente ieri: dopo che la gente se li è strappati per la disperazione, vorrà farseli ricrescere?) che spiega come le CELLULE STAMINALI (maiuscolo) vegetali di Labo (minuscolo) per rughe e capelli diradati facciano miracoli. Anche qua uno con un minimo di neuroni funzionanti si chiede quale possa essere l’utilità di una cellula staminale vegetale, quindi non solo di un’altra persona ma addirittura di un altro regno della Natura. Chissà, forse in testa ti crescerà un bel tappetino d’erba? Poi se uno va a leggere il resto della pubblicità, in un carattere molto più piccolo ti si dice che queste cellule staminali vegetali vengono mischiate ai segretissimi prodotti farmaceutici Labo per ottenere tutti i risultati, e la cosa mi fa tanto venire in mente l’acqua liofilizzata.
A questo punto mi domando se il testo della pubblicità è inserito semplicemente perché qualcuno pensa che lasciare solo le figure – come in genere fanno le case di abbigliamento – sia disdicevole; e se qualcuno effettivamente le legge, queste pubblicità.

Ultimo aggiornamento: 2009-03-18 10:16

Tremonti ha ragione

Il nostro ministro dell’Economia continua a dire che le nostre banche sono sane, mica come quelle americane ed europee (lasciamo perdere le islandesi che è meglio). E tutti noi a sbertucciarlo.
Poi si scopre che Unicredit – che sembrava essere sull’orlo della bancarotta, viste tutte le esposizioni verso l’est Europa – chiude il 2008 con un utile di 4 miliardi. Peggio ancora, si scopre che gli analisti prevedevano “solo” 3,8 miliardi. Sì, ma l’inizio dell’anno andava bene, no? Certo. Infatti il quarto trimestre 2008 vede più che dimezzarsi gli utili: mezzo miliardo.
Mi sa che dell’economia ne ho capito ancora meno di quanto pensassi. (No, gli attacchi al titolo Unicredit li capisco: sono la banale conseguenza che al mondo esistono molti più soldi finti che soldi veri, quindi si può fare di tutto)

Ultimo aggiornamento: 2009-03-18 09:51

Questa sì che è salute!

Ieri Layos mi ha segnalato questo articolo.
D’accordo, stiamo parlando del Quotidiano Nazionale, quindi dobbiamo adeguare a priori i nostri standard. Però leggere che “Il 64% delle donne sposa l’ingegnere, ma sogna di tradirlo col muratore”, a parte la sociologia così spicciola da far cascare le braccia – e dire che questo dovrebbe essere il risultato trovato dall’Osservatorio nazionale della salute della donna! – è un mischione tale che non vale nemmeno la pena di rubricarlo nella povera matematica. Si è preso un numero e lo si è messo in un contesto dove c’entra come i cavoli a merenda: però avere “una statistica” come titolo fa subito sembrare intelligente il tutto, almeno secondo il titolista in questione.
Dulcis in fundo, l’articolone è sulla sezione “Salute”, e in poche righe riesce appunto a dire che il tradimento fa bene, ma fa anche male: un oroscopo non sarebbe riuscito a fare di meglio.

Ultimo aggiornamento: 2009-03-18 07:00

macedonia di nomi e indirizzi

[indirizzi IP e dominii]
Anche questa volta la pagina teNNologica di Repubblica ci dà belle soddisfazioni.
In un articolo che parla del cybersquatting, vale a dire l’accaparramento di nomi a dominio per farci dei soldi a spese di qualcun altro (esempio minimo: il sito wikipedia.it corrisponde a un’associazione Wikipedia Italia che non ha assolutamente nulla a che fare con Wikipedia, il cui sito è it.wikipedia.org) l’anonimo articolista termina con una frase assolutamente senza senso. Quelli che stanno per finire non sono gli “indirizzi web” ma gli indirizzi IPv4, che sono i quattro numeretti esadecimali che i calcolatori usano per sapere dove si trova il sito o più generalmente il computer che si vuole contattare. A un indirizzo IP possono corrispondere un numero indefinito di siti web diversi (e vale anche il viceversa, anche se è meno frequente), quindi le due cose non hanno alcuna correlazione pratica. Men che meno “l’introduzione di nuovi domini di primo livello generici” comporterà problemi con gli indirizzi IPv4, anche se è possibile che qualcuno in più sbagli a digitare il nome di un sito e finisca su un sito farlocco… insomma, concetti pochi ma confusi.

Ultimo aggiornamento: 2009-03-17 16:44