Archivi annuali: 2008

Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi… (canzone)

Scheda:
autori: Mogol-Battisti
anno: 1972
edizione: Numero Uno
tonalità: mi minore (strofa), mi maggiore (ritornello)
tempo: 4/4
struttura: Strofa – Ritornello – Strofa – Ritornello – Finale (strum.)
Credo che “Le discese ardite e le risalite” sia ormai una frase fatta, di quelle che si pensa esistano da una vita. Invece sono solo passati trentacinque anni da quando la coppia Mogol-Battisti scrisse questo brano, in cui il paroliere racconta nella sua maniera piuttosto criptica un modo di convincere una donna che è stata lei a farci tornare a sorridere alla vita, mentre il capellone di Poggio Bustone per una volta inserisce un numero di accordi molto più alto della sua dose usuale… almeno a prima vista.
Struttura armonica:
Strofa

      |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Mim         |
Mim: i             iv                   V      i
    |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Mim         |
    i             iv                   V      i
    |Sol   Do7+   |Fa7+   Si   |Mim    Mim7   |Do          |
Mim: III   VI      II     V     i              VI
Sol: I     IV      bVII   III   vi             IV
      |Mim   Mim/Re |Lam7        |Lam6    Si    |Lam6        |
Mim:   i             iv                   V      iv

La strofa è composta di sedici battute, almeno così dice lo spartito: io sarei tentato di dimezzare il tempo e quindi raddoppiarne il numero, ma mi adeguo. Queste battute divise in quattro gruppi da quattro con un formato melodico AABA’: in pratica il primo e il secondo gruppo sono identici, e il quarto quasi, mentre il terzo gruppo varia. La tonalità è solidamente incardinata in mi minore tranne che nel terzo gruppo dove si trova un tentativo di modulazione al sol maggiore, vale a dire alla tonalità relativa maggiore. Una struttura di questo tipo non è affatto rara, anche se probabilmente è più legata alle melodie degli anni ’20 e ’30, soprattutto per quato riguarda la modulazione nella terza sezione: un esempio più moderno di struttura AABA’ è dato da Good Morning Good Morning dei Beatles… ma si sa che nei Fab Four sempre si può trovare praticamente tutto!
Concentrandoci sulla parte melodica, notiamo che la sottosezione A presenta uno sviluppo assolutamente standard i-iv-V-i impreziosito da due effetti: una serie di passaggi melodico-cromatici nelle battute 1 e 3 che cambiano il colore dell’accordo, e l’asimmetria temporale ottenuta ritardando il passaggio dell’accordo di si maggiore alla seconda metà della battuta 3. L’effetto complessivo è quello di rallentare la velocità percepita del brano, che già non è veloce di suo. Addirittura le frasi cantate, ciascuna delle quali copre un gruppo di due battute, termina all’inizio della seconda, e non c’è nemmeno un gioco strumentale di riempimento armonico, proprio come se Battisti facesse fatica ad esprimere quello che sente e parlasse con frasi smozzicate.
La sezione B inizia con una serie di accordi maggiori per quinte discendenti, due per battuta, che possono appunto far pensare a una modulazione alla relativa tonalità maggiore; gli accordi sono spesso di settima maggiore, quindi leggermente dissonanti. La serie si ferma brutalmente con un tritono, il passaggio dal fa7+ al si (nemmeno una nota in comune!) che riporta il brano al mi minore, nonostante un’interrogativa cadenza sul do maggiore. Infine la sezione A’ termina la strofa con una cadenza sospesa _implicita_. Uno si aspetterebbe che il passaggio iv-V-iv (con pivot sul fa#, aggiunto all’accordo di la minore, invece che con il più usuale la aggiunto all’accordo di si) si completasse con un’altra istanza del si maggiore: e invece no. Ci si ferma lì in sospeso, mentre Battisti canta “ma se vuoi…” Una domanda che rimane in un certo senso senza risposta.
Ritornello

     |Mi     |La     |Si    |Mi     |La     |Si     |
Mi:   I       IV      V      I       IV      V
     |Mi     |La     |Si    |Mi     |La     |Si     |
      I       IV      V      I       IV      V

Il ritornello è formato da due ripetizioni identiche di una frase di sei battute, un numero non esattamente standard ma nemmeno troppo inusuale. In effetti qualcosa di strano c’è, anche se mascherato dalla struttura assolutamente rigida – un accordo ogni battuta – e dall’uso dei soli accordi di primo, quarto e quinto grado. Come già detto, il ritornello passa dal mi minore al mi maggiore, e fin qua non c’è nulla di strano. Le prime due battute, con la loro successione I-IV-V-I, formano una progressione piuttosto normale, che però viene in un certo senso contraddetta dalla successiva che porta a una cadenza evitata IV-V. Quaando nella seconda parte del ritornello Battisti canta all’ottava superiore, ci si potrebbe aspettare che il finale sia modificato per avere una cadenza autentica… e invece no, si rimane ancora una volta sospesi, pronti per tornare nella tonalità minore.
Se però guardiamo la progressione melodica invece che quella armonica, scopriamo che la situazione non è esattamente la stessa. Infatti abbiamo quattro gruppi di tre battute che si ripetono identiche, a parte naturalmente il salto di ottava. La linea melodica è formata da una discesa (ardita :-) ), una risalita e una seconda discesa; semplificando al massimo, i tre segmenti sono composti rispettivamente da fa#-mi-si (basso), mi-fa#-sol#-la, la-sol#-fa#. Questa differenza tra la struttura armonica e quella melodica assomiglia parecchio a quanto può accadere in poesia, dove il fluire delle parole e la struttura dei versi spesso vanno ciascuno per conto proprio, e credo che non sia stata lasciata per caso o per sbaglio.
Finale

     |:Mi     |La     |Si    :|
Mi:    I       IV      V      

Non c’è molto da aggiungere sul finale, che riprende le tre battute del ritornello – e in questo caso si sente che sono effettivamente tre – ripetendole dapprima sulla melodia, e poi a piacere per sfumare.
Due parole per terminare
Battisti, come del resto faceva spesso in questo periodo, ha scelto di non esagerare nella tessitura armonica e di limitarsi a pochi accordi senza voli pindarici. Il risultato però è tale che uno non si accorge nemmeno di questa povertà di accordi, e gli sembra di sentire molto di più di quello che c’è. Un indubbio segno di grandezza, come lo è la relazione perfetta tra quello che viene cantato e la melodia corrispondente; sono cose che non si notano consciamente, ma fanno il loro bell’effetto. Garantisco.
(e qui ve la potete riascoltare)

Ultimo aggiornamento: 2008-09-09 11:27

lavori smarriti

Ieri sera, visto che mi trovavo su viale Monza all’altezza della Martesana, ho pensato di prendere la pista ciclopedonale che costeggia il canale. Sapevo che questa primavera era stata chiusa per lavori di rinforzo del ponte ferroviario, ma la data indicata per la fine dei lavori era il 15 giugno.
Come avrete immaginato (sennò perché avrei scritto questa notiziola?) è ancora tutto bloccato. In effetti il cartello continua ad esserci, e continua a indicare 15 giugno come data di termine lavori.
È possibile che io sia molto stordito, e i lavori in effetti dovessero terminare il 15 giugno 2009 (si sa, cosa volete sia un anno e tre mesi di lavori rispetto all’eternità, o anche solo all’autostrada Torino-Milano?) Ma ritengo più probabile che non solo siano tre mesi in ritardo, ma che a nessuno sia anche solo venuto in mente di correggere il cartello. Non mi metto a pensare alle penali: non sta bene mettersi a sghignazzare così da soli.
Ho provato a chiedere lumi scrivendo al comune di Milano. Vi farò (eventualmente) sapere.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-09 10:21

Chimica in versi (libro)

[copertina] Uno può anche capire perché Alberto Cavaliere, pur essendosi laureato in chimica, preferì evitare per quanto possibile di esercitare la professione, dandosi piuttosto alla scrittura. Le definizioni chimiche in questo libro (Alberto Cavaliere, H2O: Chimica in versi, Mursia – Interventi, 20042 [1926], pag. 247, € 14, ISBN 978-88-425-3282-8) sono tutte formalmente corrette: peccato – o per fortuna! – che siano scritte in versi. Per la chimica inorganica si hanno quartine di quinari, o se preferite distici di endecasillabi cesurati; per quella organica, dove si sa che i nomi sono più lunghi, la metrica varia. Così per l’idrogeno leggiamo che “È un gas insipido, / senza colore, / di peso minimo, / buon conduttore. // Anche, volendolo, / si liquefà, / ma con grandissima / difficoltà” e via rimando. Per la precisione questa è la ristampa della seconda edizione del 1965, quindi non è esattamente il testo che il giovane Cavaliere usò per studiare la materia e che poi dette alle stampe nel 1926, ma l’idea è comunque quella. Non so se possa servire per ricordarsi tutte le varie proprietà e formule; confesso di essermi perso nella seconda parte con la chimica organica, che del resto non ho mai studiato. Sicuramente però è una lettura divertente, anche se forse è meglio centellinarselo; la poesia dopo un po’ può diventare stucchevole.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-09 07:00

Ignazio La Russa

Chissà se il nostro attuale ministro della difesa pensa che le SS «soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d’Italia».
Mi sa di sì.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-08 19:54

tutti gli anni me lo dimentico

Martedì scorso (lunedì no) ero convinto fossero tutti tornati a Milano, o per la precisione per le strade di Milano (se se ne stanno davanti alla tv, in genere non mi danno fastidio).
Stasera mi sono accorto che non era vero. Tornare a casa è stata una tragedia, nonostante la bicicletta occupi davvero poco spazio. Oltre agli idioti che vedono perfettamente che non possono attraversare l’incrocio ma si mettono comunque in mezzo perché si sa, ogni tanto i miracoli avvengono e le auto davanti a loro possono venire inghiottite dal buco nero del CERN che ha lanciato una propaggine oltre lo spazio-tempo usuale, ci sono gli altri idioti che mettono le loro automobili nelle posizioni più adatte a un Car-masutra che a un parcheggio, e permettono agli idioti più sopra di mostrare le loro doti.
A parte tutto questo, quello che mi preoccupa è che ogni settembre scrivo un post così, e ogni settembre mi sono dimenticato di averlo scritto dodici mesi prima.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-08 19:31

I Beatles risvegliano l’italica stampa

Stamattina, guardando cosa c’era di bello nei feed, ho visto questo articolo della BBBC che raccontava del progetto Magical Memory Tour: in due parole, chiedere alla gente di raccontare un evento legato ai Beatles. In fin dei conti, quest’anno Liverpool è la capitale europea della cultura. Bene, con una rapidità encomiabile, sia Repubblica (stamattina) che Corsera (oggi pomeriggio) hanno tradott… ehm, ripreso l’articolo. Occhei, per la cronaca la versione del Corriere è leggermente diversa dall’originale. Sarebbe interessante fare una ricerca su quali sono le cose che colpiscono di più i giornalisti, non trovate?
Per la cronaca, non ne so abbastanza di neuroscienze per capire se l’affermazione riportata nell’articolo – che cioè i problemi con la memoria non sono tanto nella quantità di dati da salvare quanto nella difficoltà di rileggerli – possa essere dimostrata o no con questo approccio; ma sono sempre stato un convinto assertore del concetto di WOM (Write-Only Memory), quindi la cosa non mi stupisce.
Per i curiosoni, il mio ricordo legato ai Beatles risale a quando il Secondo canale RAI trasmise per la prima volta Yellow Submarine. Era un sabato sera autunnale (perché sul Canale nazionale c’era Canzonissima), direi del 1969, la trasmissione credo fosse Mille e una sera e mi appassionai così tanto da cercare di registrare con un Philips le canzoni, apprezzando soprattutto “Eleanor Rigby”. Magari adesso capite perché sono uscito fuori così.

Ultimo aggiornamento: 2008-09-08 15:46

do you speak English?

Come forse potete immaginare, uno dei punti deboli dei messaggi di phishing è la lingua usata per scriverli. Dato che la maggior parte dei phisher non sono di madrelingua inglese, hanno spesso dei problemi a scrivere un testo grammaticalmente corretto; è vero che credo che molti americani non si accorgano della differenza, ma non si sa mai, ed è sempre bene presentarsi al meglio.
Sono convinto che il messaggio di spam di stamattina sia proprio inteso a raggiungere tale scopo. Un sedicente signor “dare gawain” (che per la cronaca posta da un sito turco) mi chiede se sono interessato a un lavoro part-time:
«We will provide you with the texts for our employees with the important information and you will correct the texts as an english speaking person and send them back to us.»
Devo dire che se non fossi così pigro aprirei un’email usa-e-getta e risponderei all’amico, giusto per vedere cosa mi manderebbe!

Ultimo aggiornamento: 2008-09-08 13:43

_Galata – Museo del Mare_

Per la serie “evitiamo per quanto possibile la spiaggia”, domenica 17 agosto Anna mi ha gentilmente concesso di andare a Genova a vedere Galata, il museo marittimo. Il museo è grande. Molto grande. Ci abbiamo messo tre ore a visitarlo, per darvi un’idea. Il biglietto è adeguato, visto che costa dieci euro: nove con la Carta Più Feltrinelli, per la precisione. Non che nessuno ci abbia chiesto il biglietto, a dire il vero, né che ci siano guardie in giro: gli unici che ci è capitato di vedere sono stati alcuni alla bella mostra interna “La Merica” sull’emigrazione verso Ellis Island.
Galata è un museo di tipo didascalico, che racconta la storia delle navi e di riflesso del porto e di Genova dal 1400 al 1900. Ci sono dei reperti originali, soprattutto per quanto riguarda le armi, i libri e i dipinti di argomento navale, oltre che quelli raffiguranti il porto nei vari secoli; ma la parte più importante è sicuramente costituita dai diorama e dalle ricostruzioni, compresa quella di una galea di 40 metri studiata apposta per riempire uno dei locali dell’antica Darsena, dove il museo si trova. Ah, l’estetica è davvero bella, anche se la donna di casa che c’è in Anna mi ha fatto notare che ardesia sugli scalini e acciaio sui mancorrenti sono tanto belli, ma dovrebbero essere anche manutenuti. La multimedialità la fa da padrona, con voci che arrivano più o meno ovunque per integrare le spiegazioni dei numerosi cartelli (in italiano e inglese). Il museo di per sé dovrebbe essere pensato anche per i bambini, con un cartello all’ingresso che dice “lasciateceli qua, e tornate tra due ore”; e in effetti ci sono vari punti interattivi, come il “guida la barca verso Capo Horn”. Ma si sa che può capitare coi bambini: a un certo punto abbiamo sentito un improvviso rumore in una sala vicino a noi. Era nella “saletta dell”artista”, dove erano esposte alcune opere in terracotta di una tipa contemporanea. Diciamo che quando siamo poi passati noi di opere ce n’era una in meno, e c’erano un po’ di cocci in più. Se mi è concesso un giudizio critico, non è stata una grande perdita :-)
All’interno del museo c’è la solita caffetteria e il solito bookshop, ma anche una terrazza panoramica – senza un tetto, ma con vetri su tutti i lati – da dove è possibile vedere una parte del centro di Genova. Ultima raccomandazione: io non sono riuscito a trovare un guardaroba, e mi sono dovuto portare lo zaino per tutto il tempo. Non che fosse pesante, ma magari un turista “mordi e fuggi” potrebbe avere qualche problema!

Ultimo aggiornamento: 2016-01-13 17:37