Inutile dire che le battute sulla frase pronunciata dal papa al sinodo di ieri (“I soldi scompaiono: solo la parola di Dio è solida”) si sono sprecate. Stamatina Gianmarco Bachi chiedeva al professor Di Stefano quant’è il rendimento della parola di Dio (questa però è facile: “il centuplo quaggiù”, oltre all’eternità che però è difficile conteggiare in un piano finanziario).
A parte le battute anticlericali, quello che molti hanno fatto notare è che il Vaticano sembra non avere risentito piu di tanto della crisi finanziaria, visto che l’anno scorso, consigliato dai suoi analisti, aveva convertito molti titoli in oro, tanto che adesso ne aveva una tonnellata per un valore equivalente di 19 milioni di euro. Da questa notizia si possono trarre varie conclusioni. Innanzitutto, che il Vaticano sembra aver fatto tesoro del disastro dello IOR, e scelto gente magari senza tonaca, ma che ci capiva qualcosa di finanza. Tanto Marcinkus è morto. La seconda cosa è che i giornalisti non sono capaci di fare i conti. Anche se il Vaticano è picolo e non puo avere chissà quale bilancio, 19 milioni sono davero pochi. Se non sbaglio, solo l’Obolo di san Pietro, la donazione annua di tutte le chiese cattoliche nel mondo, vale dal doppio al triplo di tale cifra. (Sì, lo so che l’8 per mille dà circa un milardo di euro l’anno, ma lo dà alla CEI, non al Vaticano). E in effetti, se si va a leggere Il Giornale, si scopre che a parte l’oro il Vaticano ha anche disinvestito in titoli e tenuto in valuta l’equivalente di 340 milioni di euro, oltre a 520 milioni di euro in obbligazioni. Insomma, un totale più di quaranta volte maggiore delle riserve auree. Però volete mettere il fascino della parola “oro” (e forse la difficoltà di arrivare al secondo paragrafo del rapporto originale)?
Ultimo aggiornamento: 2008-10-07 11:15