Mentre si sfilava il costume, Marco si chiese per l’ennesima volta chi glielo avesse fatto fare; e per l’ennesima volta si dette la stessa risposta. Era vero che l’amministratore delegato aveva ribadito che la partecipazione alla recita natalizia aziendale era assolutamente libera e volontaria: ma anche il rinnovo del suo contratto a tempo determinato è assolutamente libero e volontario. Senza contare che la recita veniva considerata come lavoro straordinario: due ore di paga in più non saranno molto, ma aiutano ad arrivare con maggior tranquillità alla fine del mese. Aggiungiamo ancora la gratifica per aver fatto parte del coro che cantava Happy Xmas – War is Over, e si arriva a una discreta sommetta. A proposito del coro, per fortuna che il vescovo non si è accorto che la melodia non era Tu scendi dalle stelle! Ma forse, vista la generosa offerta per il restauro del vecchio organo del duomo, sua eminenza avrà pensato che la musica avvicina in ogni caso a Dio. Ammesso poi che abbia fatto caso alla melodia, e non sia rimasto ben più scioccato da altre licenze poetiche riguardo al racconto della Natività, come ad esempio l’aggiunta di due pastorelle alla scena; era davvero difficile non accorgersene, visti gli abiti che (non le) vestivano. Il Bambinello è rimasto al freddo e al gelo, ma aveva il bue e l’asinello che lo riscaldavano; chissà invece loro!
Certo che quelle due escort sono sicuramente state pagate ben più di me, pensò ancora Marco: ma la cosa non lo faceva arrabbiare. In fin dei conti, il loro non era il tipo di lavoro che a lui piacerebbe fare; molto meglio starsene davanti a un PC a programmare, senza correre il rischio di dovere interagire con una persona che non gli andasse a genio o che lo facesse sentire a disagio. Ognuno ha il suo stile di vita, e quello di Marco non prevedeva certo incontri più ravvicinati del dovere salutare qualcuno mentre strisciava il badge. Quello che mi fa arrabbiare adesso, pensò, è piuttosto la cerniera di questo costume. Già non funzionava bene, ma adesso sembra essersi bloccata del tutto, e stanno per chiudere il teatro. Al diavolo: tanto la macchina è qui vicino e la posso comunque guidare; arrivo a casa e lì con un po’ più di calma riuscirò a togliermelo, questo stramaledetto costume da pecora.
Il rientro in effetti non fu particolarmente problematico, a parte il risolino del custode del teatro. Per strada non c’era quasi nessuno: alle dieci e mezzo di sera della vigilia di Natale non è che ci sia molta gente che abbia voglia o necessità di muoversi. Marco arrivò al suo palazzo, parcheggiò l’auto nel box, prese l’ascensore pregustandosi la liberazione dal suo costume. Piano -2, -1, 0, 1, 2… stop. L’ascensore si era bloccato, le luci si erano spente e la cabina era illuminata solo da una debole lampada di emergenza. Marco da piccolo soffriva di claustrofobia, e ancora adesso aveva qualche problema negli ambienti chiusi: ma era così stravolto che non pensò nemmeno ad aver paura e schiacciò con rabbia il pulsante per chiamare soccorso. Dopo qualche istante, una voce adrenalinica – ma dove trovano gente così pimpante il 24 dicembre notte? – senza lasciare a Marco nemmeno il tempo di spiccicare una parola proruppe: “Via John Lennon 42, scala B? Il nostro tecnico è già in zona, tra cinque minuti sarà da lei. Grazie per averci chiamato” e riattaccò. Marco rimase un attimo stranito, ma ripensandoci fu felice di non aver dovuto dire nulla, e benedisse in cuor suo l’efficienza della società manutentrice.
Erano passati sette minuti e Marco stava chiedendosi se richiamare il soccorso, quando sentì la voce di una donna.
– “È ancora bloccato dentro l’ascensore?”
– “Sì – rispose Marco – ma dovrebbe arrivare il tecnico.”
– “Il tecnico sono io. Aspetti che salgo al locale macchine”
Marco non sapeva se rallegrarsi perché stava per essere liberato, oppure tremare al pensiero che la sua salvezza passasse per le mani di una donna. Non aveva nulla contro l’altra metà del cielo, e non faceva affatto distinzioni tra colleghi maschi e femmine: saper programmare non dipendeva certo dall’avere la coppia di cromosomi XX o XY. Ma questo era un lavoro da uomo! Come fa una donna a girare a mano gli argani di sicurezza? Eppure l’ascensore si stava muovendo lentamente ma con sicurezza verso l’alto, e tra le porte iniziò a vedersi una lama di luce. Di nuovo la sua voce: “Ho portato la cabina al piano. Dovrebbe trovare una levetta in alto a destra, la prema e le porte si dovrebbero sbloccare.” Quasi ipnotizzato, Marco eseguì, sentì un clac, allargò le porte e si trovò davanti una giovane in salopette, sorridente.
– “Ehm… grazie per il saltimbanc… no, il salvataggio, e mi scusi per il costume da piovr.. da pecora volevo dire. Sa, non è colpa mia, ma…”
– “Ma la cerniera si è inceppata. Conosco quel modello di costume, una volta mi è capitato di indossarlo. Ci vuole un’altra persona per disincastrarla. Senta, tanto ho finito il mio turno di lavoro: se vuole le do una mano io.”
Marco stava meccanicamente rispondendo “No, grazie”. Poi la guardò in viso, e si sentì tutt’a un tratto stupido. Perché non dovrei farmi aiutare? Devo dimostrare di essere un vero macho?
– “Se non le è di disturbo…”
– “Macché disturbo! È una cosa di pochi secondi!”
Entrarono in casa – Marco ebbe qualche difficoltà a inserire la chiave nella toppa, ma alla fine se la cavò egregiamente – e l’ascensorista fu di parola: un rapido tocco e la cerniera si aprì come se non fosse mai stata bloccata.
– “Come volevasi dimostrare. Mi sa che queste cerniere hanno una loro personalità. Ah, mi chiamo Angela”, fece mentre Marco si ricopriva rapidamente con un plaid che per fortuna era lì vicino.
– “Marco. Non so proprio come ringraziarla, in pochi minuti mi ha tolto per due volte dai pasticci!”
– “Era mio dovere. E poi diamoci del tu, i contatti per lavoro sono terminati! Ah, in effetti ci sarebbe un piacere che potresti farmi, ma è piuttosto personale e magari non te la senti. Facciamo così: io te lo chiedo, ma non mi offendo se mi dici di no, occhei?”
– “Va bene. Ma cosa può essere di così personale? Adesso mi hai incuriosito…”
– “Giù in macchina ho un po’ di roba per cenare, ma sono da sola in casa e mi sembra una cosa così triste. Hai voglia di dividerla con me? Ce n’è abbastanza per entrambi, davvero. Posso?”
– “No… cioè sì, volentieri. Anch’io sono solo, stanotte”. Come se non se ne fosse già accorta. Marco si sentiva strano; era come se ci fosse qualcun altro che parlasse al posto suo. La cosa più incredibile era però che quello che diceva lo faceva star bene. Al diavolo tutto! Almeno a Natale potrò ben rilassarmi e prendere le cose come vengono, no?
Angela era già tornata con una borsa, dalla quale tirò fuori degli antipasti, uno zampone con le lenticchie, una bottiglia di brut e un quaderno di fogli colorati. “Per favore, riscalda lo zampone, mentre io preparo il presepe”.
– “Il presepe?”
– “Il presepe, certo! È Natale, ci vuole un presepe, e niente di meglio che farlo con gli origami.” Piegava velocemente un foglio dopo l’altro, e in pochi minuti c’era la capanna con la stella, Giuseppe e Maria, bue e asinello, e la culla.
– “Come vedi, non sono una purista: uso le forbici, anche se così non sono veri origmami.” Marco annuì sbalordito. “Ma sono meravigliosi!”
-“Sono carini, sì. Avrei potuto anche fare qualche pecora, ma mi sa che non era il caso.”
Le figurine furono messe su un tavolino mentre Marco apparecchiava, e iniziarono a cenare. Marco temeva di non avere nulla di interessante da dire, ma le parole e il sorriso di Angela lo rincuorarono, e iniziò a parlare dei suoi sogni di quando era ragazzo. Angela lo ascoltava attenta, ma a un tratto si fermò di botto: “Aspetta! È quasi mezzanotte!” Prese un nuovo foglietto, lo manipolò rapidamente, e gli mostrò la figura di un neonato.
– “Ecco qua il Bambinello. È Natale: Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini che Egli ama. Una volta si diceva che a Natale si è tutti piu buoni: in realtà è solo uno di quei rarissimi momenti in cui riusciamo a sentire che possiamo amarci.”
– “Angela, tu riesci a far sembare facili tutte le cose. Ma guardami: sono qua, con un lavoro che non so per quanto mi durerà, solo come un cane e praticamente costretto a indossare un costume da pecora! Ti sembra che io possa avere qualcosa da amare?”
– “Il costume te lo sei tolto, e adesso non mi pare tu sia da solo, no? Non ho detto che tutto è facile: ho detto che è possibile. Se tu non vuoi bene a te stesso, non potrai mai fare il primo passo.”
– “Ma come faccio a volermi bene?”
– “Lo stai già facendo! Non te ne sei accorto? Stai dedicandoti a te. Mi stai tenendo sottobraccio” – Marco si ritrasse come tarantolato, ma Angela ridendo gli riprese la mano – “e parli di cose belle. Ci sono anche cose brutte nella vita, e non serve a nulla nasconderle: ma questo non significa che bisogna sempre macerarcisi su! Piuttosto, non scappar via, stai qua vicino e raccontami ancora di te…”
Il mattino dopo – tardo mattino, a dirla tutta – Marco iniziò a svegliarsi. Allungò la mano per toccare Angela al suo fianco, svegliandosi del tutto non appena si accorse di essere solo. Si chiese per un attimo se avesse sognato quanto successo nella notte, poi notò il biglietto sul comodino. “Ora devo andare: ma ricordati di quello che ci siamo detti. Il primo passo l’hai fatto: adesso ci sono gli altri. Angela.”
Nessun indirizzo, nessun numero di telefono. Marco chiamò subito la società degli ascensori, ma una voce piuttosto seccata gli rispose che non avevano nessuna donna tra i loro dipendenti, e che non risultava loro alcuna chiamata di soccorso per l’impianto di via John Lennon 42. Nelle settimane successive, Marco provò ad andare nei posti di cui Angela gli aveva parlato quella notte, ma senza alcun risultato. Qualcosa stava però accadendo: senza accorgersene, era più sicuro di sé, e tra una ricerca infruttuosa e l’altra la cosa fu notata eccome, tanto che in breve gli fu offerto un contratto a tempo indeterminato con un discreto aumento di stipendio. Qualche mese dopo, quando ormai si era arreso all’evidenza e aveva smesso di cercare Angela, si accorse che una sua collega non solo era carina, ma era anche interessata a lui; iniziarono a frequentarsi più spesso, fino a decidere di convivere.
Marco si sentiva finalmente amato e in pace con sé stesso; gli capitava ancora ogni tanto di pensare ad Angela, e che grazie a quell’incontro così strano la sua vita era completamente cambiata per il meglio. Ma non è proprio a quello, che servono gli angeli?