Gita andata male

Stamattina avevamo deciso di andare a Como a vedere la mostra su Magritte. Ci siamo così svegliati a un’ora indecente per essere un giorno festivo, e alle 10:30 siamo partiti trulli trulli, mentre iniziava a piovicchiare – ma quello era previsto, altrimenti che 25 aprile sarebbe stato?
Arrivati a Como, abbiamo scoperto che non ci sono parcheggi nella zona nemmeno a pagarli cari; abbiamo così lasciato l’auto praticamente alla stazione (pagando, ovvio) e ci siamo avviati lemme lemme verso Villa Olmo, scoprendo che qualche parcheggio in realtà c’era, ma bisognava capire come arrivarci. Ma il peggio è stato arrivare, vedere la coda che si snodava, e capire che ci saremmo passati un paio d’ore sotto l’acqua. Risultato: ci siamo ripresi l’auto e siamo tornati a casa.
Prima che qualcuno ci dica “volpini, potevate ben prenotare”: ho provato a farlo adesso, e ho scoperto che non è possibile prenotare se non si è almeno in dieci, e viene spiegato che “i singoli possono acquistare il biglietto direttamente all’ingresso”. Dev’essere.

Edoardo II (teatro)

Dopo qualche problemuccio con charta.it per riuscire a recuperare i biglietti last minute, ieri sera siamo riusciti ad andare al Grassi per vedere quest’opera marlowiana. A proposito di last minute: vorrei sapere come il Piccolo decida di suddividere i posti tra quelli internet e gli altri, visto che da rete sembrava fosse strapieno mentre le ultime cinque file erano vuote, e vorrei anche sapere perché il biglietto costava 10 euro più 0.90 di prevendita, ma noi l’abbiamo pagato 12.45. C’è anche una post-prevendita?
Ma lasciamo perdere queste bieche considerazioni venali, e passiamo piuttosto all’opera, che potremmo riassumere in breve come “I PACS all’epoca dei Plantageneti”. Marlowe, genio maledetto morto non ancora trentenne, non è certo delicato come il suo contemporaneo Shakespeare: ci si ammazza che è un piacere. L’allestimento del Teatro Stabile dell’Umbria è molto bello, anche se ha scioccato parecchi degli habitué del Piccolo. Passi avere una bara sul proscenio, ma vedere come prima scena Edoardo II completamente nudo che va a prendersi la corona posta sulla bara non è proprio un inizio standard…
Danilo Nigrelli ha tra l’altro un dannato fisicaccio, ma tutta la compagnia è comunque ben piazzata fisicamente, anche perché la scelta della regia è stata di eliminare praticamente i costumi (no, non sono nudi! semplicemente hanno tutti dei lunghi vestiti grigio scuro, e delle specie di elmi in maglia), lasciare quasi sempre tutti gli attori in scena nascosti sullo sfondo giocando sulle luci che illuminano i protagonisti, e fare “cambi scena in corsa”, uniti a una specie di danza in alcune scene, e accelerare al parossismo il passaggio da una scena all’altra, quasi in stile spot pubblicitario. Anche gli inserti in latino e in gregoriano all’interno del testo accrescono quest’aria cupa che dà il suo bel fascino: le due ore e mezzo abbondanti (con intervallo) filano via che è un piacere. I duetti tra Edoardo e Gaveston-Marco Foschi sono poi favolosi.
Punti negativi? per quasi tutto il primo tempo, la colonna sonora di sottofondo era più che altro un rumore che sembrava di stare in metropolitana. Ma soprattutto c’è l’assassinio della grammatica italiana, per la precisione del congiuntivo. La traduzione di Letizia Russo l’ha praticamente abolito, e ogni volta che sentivo dire cose tipo “voglio che tu sei mio” sobbalzavo dalla sedia. Ognuno ha i suoi limiti nella sperimentazione.

corsi e ricorsi

Supponiamo che ci siano le elezioni del presidente del Senato della Repubblica Italiana. L’opposizione in Senato ha un solo seggio di svantaggio; visto che la maggioranza ha deciso che occuperà entrambe le cariche, prova a lanciare la spariglia candidando una persona che sicuramente ha un grande valore istituzionale, essendo stato in passato ministro e premier.
No, questa non è cronaca, ma storia. Sto parlando infatti delle elezioni del 1994, dove l’opposizione (di centrosinistra) candidò Giovanni Spadolini.
Fossi in Andreotti, mi comincerei a preoccupare.

pulizie primaverili

Con la storia che ci sono otto gradi sopra la media stagionale, e che l’inverno è stato sotto la media quindi l’aumento percepito di temperatura è ancora maggiore, Anna ha deciso che è l’ora del cambio di armadi. Quindi si svuota tutto, si lava tutto, e si rimette tutto in un ordine diverso, sperando che il volume non si sia accresciuto durante la permutazione.
Tutto questo ovviamente nella giornata in cui Telecom mi obbliga a fare ferie coatte. Non so chi dei due capi sia il più cattivo.

proprietà intellettuale all’attacco

Google ha l’abitudine di modificare di quando in quando il proprio logo per commemorare un evento che accade nella giornata. Magari non ve ne siete accorti, ma durante le Olimpiadi di Torino venivano raffigurati vari sport invernali. Bene, oggi è il centotredicesimo anniversario della nascita di Mirò, e Google aveva preparato un bel logo nello stile del pittore. Peccato che, come si può leggere in questo articolo sulla Stampa, abbia dovuto toglierlo in fretta e furia. La Artist Rights Society, che detiene i diritti sulle opere di Mirò, ha infatti affermato che quel logo “è una distorsione dei lavori originali e pertanto viola i diritti morali dell’artista”.
Leggendo l’articolo in lingua originale, si scopre che Google avrebbe dovuto chiedere il permesso di usare quelle immagini: non è chiaro se c’è il sottinteso “e pagare il giusto”., ma non mi stupirei affatto della cosa, visto che la cosa cozza alquanto con i “diritti morali” di cui sopra.
Il problema si era già verificato l’anno scorso con Salvador Dalí e naturalmente la Artists Right Society, quindi Google è recidiva e dovrebbe stare un po’ più attenta. Ma onestamente a me pare che questi loghi siano delle grandi pubblicità gratuite agli artisti, e non riesco davvero a capire perché fare tutto quel casino sopra. O meglio, lo capisco bene e la cosa mi scoraggia.
(via Mantellini, dove potete anche vedere il logo… almeno fino a che la Artists Right Society non glielo farà togliere)

biro a quattro colori

Una delle mie tante manie è quella di raccogliere biro a quattro colori, come ad esempio sanno Laura e Franco che ogni tanto alle Cenerentoliadi mi portano un nuovo esemplare. Un tempo l’unica scelta possibile – le Carioca a dieci colori sono considerate esemplari che non passerebbero l’esame antidoping, e quindi sono escluse dalla mia raccolta – era la Bic blu e bianca, che per i veri fanatici annuncio essere la penna preferita da Douglas Hofstadter. Poi è arrivata più o meno timidamente Osama, e si sono aperte le cataratte.
Tanto per dire: oggi ho comprato due biro a quattro colori: stasera alle mai sentita prima (ma ora identificata) penna “Sire”.
Mi meraviglio di questo improvviso boom, ma mi meraviglio ancora di più che la congiura dei media non ne parli affatto…

Un vero leader

Stamattina ho fatto il test Che tipo di leader sei? (via BadGirl, su persone@softwarelibero si trova tanta gente…). Non sono riuscito a salvare il risultato per il crash del browser.
Oggi pomeriggio ho rifatto il test, e mi sono accorto che – scegliendo come l’altra volta 27 domande sulle 45 totali – non venivano proposte esattamente le stesse. Ma non importa: il risultato è stato quello di prima: questo. (non che mi ci veda nemmeno negli altri ritratti…)
Chi mi conosce, lo sappia in anticipo.

Che cosa ha veramente detto Paolo (libro)

[copertina]
Noi non ci si fa mancare nulla: nemmeno l’esegesi biblica. In questo libro (Tom Wright, Che cosa ha veramente detto Paolo [What Saint Paul Really Said], Claudiana – Piccola biblioteca teologica 1999 [1997], pag. 231, € 14.98, ISBN 8870163040, trad. Erik Noffke) l’autore, così ad occhio un teologo anglicano – ma potrei sbagliarmi – cerca di definire quale fosse davvero il pensiero di Paolo nel contesto in cui operava. Le conclusioni di Wright sono molto diverse da quello che generalmente ci si aspetterebbe. Secondo lui, Saulo non solo era un rigido ebreo osservante prima della sua conversione, ma lo sarebbe stato anche dopo; le accuse di ellenizzazione nemmeno troppo strisciante che gli vengono normalmente fatte sono erronee, con tanto di doviziose spiegazioni a partire dai testi delle sue epistole e dagli Atti degli Apostoli. Paolo prefigurerebbe la Trinità come poi definita quasi tre secoli dopo a Nicea e Costantinopoli, ma Dio resta uno; Cristo è il Re, ma è indubbiamente un figlio di Israele; e infine il linguaggio usato per spiegare queste cose ai Gentili rispecchia perfettamente quello dell’Antico Testamento. Non sono così bravo in teologia da poter dare un giudizio, anche se gli argomenti sono indubbiamente esposti bene; sono poi stato sufficientemente pigro da non avere una Bibbia sottomano per leggermi autonomamente i brani citati, accontentandomi dei riassunti fatti. In definitiva, però, una lettura molto interessante.